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33 organizzazioni della società civile palestinese hanno rilasciato una dichiarazione che condanna la proposta di un accordo teso ad approvare il finanziamento militare del sistema Iron Dome di Israele in cambio di aiuti per Gaza.
In risposta all'atteso voto favorevole di Bernie Sanders e di altri senatori statunitensi ad un accordo che vedrebbe approvato il finanziamento militare del sistema Iron Dome del regime di apartheid israeliano in cambio di aiuti per Gaza, 33 organizzazioni della società civile palestinese hanno rilasciato la seguente dichiarazione di condanna.
Votare a favore della continua occupazione, dell’assedio di Gaza e dei continui massacri da parte del regime di apartheid israeliano equivale ad una chiara e ingiustificabile (dichiarazione di, NdT) complicità. Ciò non può essere moralmente “compensato” o mascherato attraverso concessioni caritatevoli a favore dei 2 milioni di palestinesi sottoposti all’assedio israeliano al fine di aiutarci a tollerare le brutalità di Israele, finanziate dagli Stati Uniti.
Impegnarsi nel Congresso degli Stati Uniti per porre fine a tutti i finanziamenti militari all'apartheid israeliana è un obbligo morale e legale di prim'ordine. È anche l'espressione più importante di solidarietà con la lotta dei palestinesi a Gaza e ovunque per la libertà, la giustizia e l’uguaglianza.
Organizzazioni firmatarie:
- Federazione Generale Palestinese dei Sindacati PGFTU-Gaza
- Unione Generale delle Donne Palestinesi
- Segreteria dei Comitati degli Studenti Universitari – Gaza
- Associazione dei Comitati degli Studenti Universitari
- Unione Generale dei Lavoratori Palestinesi
- Unione palestinese dei lavoratori delle poste, informatica e telecomunicazioni
- Coalizione sindacale palestinese per il BDS (PTUC-BDS)
- Rete delle ONG palestinesi (PNGO)
- Istituto nazionale palestinese per le ONG
- Federazione dei sindacati indipendenti
- Coalizione globale per il diritto palestinese al ritorno
- Ordine degli avvocati palestinese
- Associazione Medica Palestinese
- Iniziativa Palestina e alture del Golan siriano occupate (OPGAI)
- Unione Generale degli Insegnanti Palestinesi
- Federazione palestinese dei sindacati dei professori e dei dipendenti universitari (PFUUPE)
- Unione generale degli scrittori palestinesi
- Unione degli agricoltori palestinesi
- Campagna palestinese di base contro il muro dell'apartheid (STW)
- Campagna palestinese per il boicottaggio accademico e culturale di Israele (PACBI)
- Comitato di coordinamento della lotta popolare (PSCC)
- Coalizione civica per la difesa dei diritti dei palestinesi a Gerusalemme
- Coalizione per Gerusalemme
- Comitato nazionale per la commemorazione della Nakba
- Unione dei dipendenti pubblici nel settore civile-palestinese
- Unione Generale dei Contadini Palestinesi
- Unione delle organizzazioni caritatevoli palestinesi
- Unione delle Associazioni Professionali
- Campagna delle donne per il boicottaggio dei prodotti israeliani
- Osservatorio economico palestinese
- Unione dei Centri di Attività Giovanili-Campi profughi palestinesi
- Unione Cooperative Agricole
- Comitato Nazionale per la Resistenza di Base
Fonte: Comitato nazionale palestinese per il BDS (BNC)
Traduzione di BDS Italia
Il 29 settembre 2021, la coalizione “Don’t buy into occupation” (DBIO) ha pubblicato un rapporto, che, sulla base di una ricerca di Profundo (una società indipendente no-profit di ricerca e consiglio, NdT), denuncia il ruolo delle istituzioni finanziarie europee in quanto finanziatrici di 50 imprese commerciali coinvolte nell'impresa di insediamento illegale di Israele.
Da questo rapporto, apprendiamo che a partire da maggio 2021, il colosso assicurativo multinazionale francese AXA si è classificato al 30º posto tra i primi 100 investitori europei nelle imprese che facilitano l’impresa di insediamento illegale di Israele, tra cui molti sono elencati nel database delle Nazioni Unite di febbraio 2020.
Mentre, nel marzo 2021, gli investimenti di AXA ammontavano a 5,95 milioni di dollari in quattro banche israeliane (Bank Hapoalim, Bank Leumi, Israel Discount Bank, Mizrahi Tefahot Bank), il rapporto della coalizione DBIO mostra che entro maggio 2021, AXA aveva disinvestito da due di loro (Bank Hapoalim, Mizrahi Tefahot). Il rapporto conferma inoltre che AXA non ha reinvestito nel costruttore militare israeliano Elbit da quando ha venduto le sue azioni nel dicembre 2018.
Inoltre, un esame degli azionisti di Equitable Holdings (EQH) ha mostrato che entro la fine di giugno 2021, AXA deteneva solo lo 0,07% delle azioni di EQH, in calo rispetto al 9,93% di marzo. Ciò significa che AXA non può più influenzare o controllare le decisioni di investimento di EHQ, avendo venduto quasi tutte le sue azioni in un processo che ha fatto sì che EQH lasciasse il gruppo AXA e abbandonasse l'acronimo AXA dal suo nome.
Tuttavia, AXA continua ad essere implicata nel sistema di colonialismo, occupazione militare e apartheid di Israele nei confronti del popolo palestinese: come confermato dal rapporto della coalizione DBIO, AXA detiene ancora quote per un valore di 6 milioni di dollari in due banche israeliane, la Bank Leumi (5 milioni di dollari) e l’Israel Discount Bank (1,2 milioni di dollari).
Il rapporto mostra anche che entro maggio 2021, AXA ha investito in altre società coinvolte negli insediamenti illegali di Israele, tra cui General Mills, Manitou, CETCO Mineral Technology Group, RE/MAX Holdings, Solvay e Terex. Alcuni di queste aziende sono già presenti nel database delle Nazioni Unite, mentre tutte soddisfano i criteri delle Nazioni Unite per l'inclusione in futuri aggiornamenti del database. Con un investimento totale di 845 milioni di dollari, la coalizione DBIO posiziona AXA al 30º posto tra i primi 100 investitori europei presenti nell'impresa di insediamento illegale di Israele.
Alla vigilia dell’assemblea generale annuale di AXA del 29 aprile 2021, il relatore speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani nei Territori Occupati Palestinesi, Michael Lynk, ha invitato il gigante assicurativo francese a disinvestire completamente dalle banche israeliane, spiegando che "Considerate le gravi violazioni dei diritti umani associate agli insediamenti israeliani, è impossibile per un’azienda essere economicamente impegnata nell'impresa di insediamento di Israele e contemporaneamente rispettare i suoi obblighi in materia di diritti umani internazionali e diritto umanitario."
La coalizione "Stop AXA Assistance to Israeli Apartheid" esorta AXA a seguire l'esempio di KLP, il più grande fondo pensioni della Norvegia, che ha disinvestito - con riferimento al database delle Nazioni Unite - da 16 aziende complici nell'impresa di insediamento illegale di Israele.
Unitevi alla coalizione e boicottate AXA fino a quando non disinvestirà dall'apartheid israeliana!
Appello firmato da BDS Italia (vedere il testo originale per la lista dei firmatari)
Lettera aperta agli Stati firmatari del Trattato sul Commercio di Armi (ATT) sulla necessità di imporre a Israele un embargo completo e bilaterale sulle armi
Noi, appartenenti alla sottoscritta coalizione globale di leader - dalla società civile al mondo accademico, dell’arte, media, affari, politica, comunità indigene e religiose e persone di coscienza in tutto il mondo - invitiamo gli Stati firmatari del Trattato sul Commercio delle Armi (ATT) ad agire con decisione per porre fine al famigerato uso israeliano di armi ed equipaggiamento militare per commettere gravi violazioni del diritto internazionale umanitario e dei diritti umani contro i civili palestinesi, imponendo immediatamente un embargo completo e bidirezionale sulle armi a Israele.
Nella primavera del 2021, il mondo ancora una volta ha guardato con orrore mentre le forze di occupazione israeliane attaccavano civili palestinesi indifesi nella Striscia di Gaza, in Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est, e all’interno di Israele. I civili palestinesi che protestavano pacificamente contro la colonizzazione della loro terra sono stati aggrediti con proiettili d’acciaio ricoperti di gomma, bombe sonore, gas lacrimogeni e acqua maleodorante. La micidiale aggressione militare di Israele contro la popolazione civile palestinese nella Striscia di Gaza è stata la quarta in un decennio. In 11 giorni sono stati uccisi 248 palestinesi, di cui 66 bambini. Migliaia sono stati feriti e gli effetti dell’uso di armi esplosive che si ripercuotono su ospedali, scuole, sicurezza alimentare, acqua, elettricità e rifugi continuano a colpire milioni di persone.
Questa brutalità sistematica, perpetrata negli ultimi 70 anni di colonialismo israeliano, apartheid, occupazione belligerante illegale prolungata, persecuzione e chiusura, è possibile solo grazie alla complicità di alcuni governi e imprese multinazionali.
Le sole dichiarazioni simboliche di condanna non porranno fine a questa sofferenza. In conformità con le norme pertinenti dell’ATT, gli Stati firmatari hanno l’obbligo legale di porre fine al commercio irresponsabile e spesso complice di armi convenzionali che mina la pace e la sicurezza internazionali, facilita il verificarsi di crimini gravi e minaccia l’ordine legale internazionale.
Ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 3, dell’ATT, gli Stati firmatari si sono impegnati a non autorizzare alcun trasferimento di armi convenzionali se, al momento dell’autorizzazione, erano a conoscenza del fatto che armi o dispositivi sarebbero stati utilizzati per commettere genocidi, crimini contro l’umanità, gravi violazioni delle Convenzioni di Ginevra del 1949, attacchi diretti contro obiettivi civili o individui civili protetti in quanto tali, o altri crimini di guerra come definiti dagli accordi internazionali di cui fanno parte.
Ai sensi degli articoli 7 e 11, si sono impegnati a non autorizzare alcuna esportazione di armi convenzionali, munizioni, parti e componenti che potrebbero, tra l’altro, compromettere la pace e la sicurezza o essere utilizzati per commettere gravi violazioni del diritto internazionale umanitario e delle leggi sui diritti umani.
È chiaro che le esportazioni di armi verso Israele non sono coerenti con questi obblighi. Invariabilmente, Israele ha dimostrato di usare le armi per commettere crimini di guerra e crimini contro l’umanità, come documentato da innumerevoli organismi delle Nazioni Unite e organizzazioni della società civile in tutto il mondo. Anche le esportazioni militari verso Israele hanno chiaramente consentito, facilitato e mantenuto il pluridecennale regime coloniale e di apartheid imposto da Israele all’intero popolo palestinese.
Allo stesso modo, le importazioni di armi da Israele sono del tutto incompatibili con gli obblighi previsti dall’ATT. Fonti militari e industriali israeliane si vantano apertamente che le loro armi e tecnologie sono “provate in combattimento” - in altre parole, testate sul campo su civili palestinesi “cavie umane”. Quando gli Stati importano armi da Israele, lo incoraggiano a continuare a bombardare i civili palestinesi e a persistere nelle sue pratiche illegali. A nessuno – né a Israele, né ai produttori di armi negli Stati membri dell’ATT – dovrebbe essere permesso di trarre profitto dall’uccisione o dalla mutilazione di civili palestinesi.
È quindi del tutto chiaro che imporre un embargo bilaterale sulle armi a Israele è un obbligo sia legale che morale. Gli Stati firmatari dell’ATT devono immediatamente porre fine a qualsiasi trasferimento in corso e vietare qualsiasi futuro trasferimento di armi convenzionali, munizioni, parti e componenti di cui all’articolo 2, paragrafo 1, all’articolo 3 o all’articolo 4 dell’ATT a Israele, finché non ponga fine alla sua occupazione belligerante illegale del territorio palestinese e rispetti pienamente i suoi obblighi ai sensi del diritto internazionale. In attesa di tale embargo, tutti gli Stati devono sospendere immediatamente tutti i trasferimenti di equipaggiamento militare, assistenza e munizioni a Israele.
La mancata attuazione di queste azioni comporta una pesante responsabilità per le gravi sofferenze dei civili - più morti, più sofferenze, poiché migliaia di uomini, donne e bambini palestinesi continuano a sopportare la brutalità di una forza di occupazione belligerante coloniale - ciò che porterebbe a screditare l’ATT stesso. Renderebbe inoltre gli Stati firmatari complici di atti illeciti a livello internazionale attraverso l’agevolazione o il favoreggiamento di crimini internazionali. Una mancata azione potrebbe anche comportare l’ipotesi di responsabilità penale personale degli individui di questi Stati per favoreggiamento nella commissione di crimini di guerra e crimini contro l’umanità ai sensi dell’articolo 25(3)(c) dello Statuto di Roma della Corte Criminale Internazionale.
La giustizia non verrà raggiunta finché l’occupazione illegale, il colonialismo di insediamento, il regime di apartheid, la persecuzione e l’oppressione istituzionalizzata del popolo palestinese continueranno, e finché gli Stati continueranno a essere complici dei crimini della potenza occupante facendo commercio di armi con essa.
In conclusione, crediamo che l’ATT possa fare la differenza nella vita dei civili palestinesi. Ha il potenziale, se attuato in buona fede, di risparmiare sofferenze a innumerevoli persone protette. Se il nostro appello a smettere di ignorare il popolo palestinese riguardo all’attuazione dell’ATT viene ignorato, la stessa ragion d’essere dell’ATT sarà infranta.
Fonte : al Haq
Traduzione di AssoPacePalestina
Dodici giorni di esercitazioni aeronavali con l’uso dei più avanzati sistemi missilistici in un’area geografica che dai poligoni della Sardegna si estende sino alla Campania, alla Basilicata e alla Calabria, al Golfo di Taranto e al mar Ionio. Un test strategico della potenza di fuoco dei nuovi cacciabombardieri in dotazione alle aeronautiche di Italia, Stati Uniti d’America, Regno Unito ed Israele, paese quest’ultimo che solo un paio di settimane fa è stato l’autore dei sanguinosi bombardamenti nella striscia di Gaza. E proprio Israele, tramite un portavoce delle forze armate, fa sapere che la maxi-esercitazione negli spazi aerei e nelle acque italiane sarà una storica opportunità per addestrare i propri piloti alle prossime guerre in Medio oriente, Iran in testa.
Il 6 giugno ha preso il via dalla base aerea di Amendola (Foggia), “Falcon Strike 21”, l’esercitazione multinazionale promossa dallo Stato Maggiore della difesa, congiuntamente a due partner NATO (USA e Regno Unito) e Israele. Ad oggi nessun comunicato officiale è stato emesso dalle autorità militari italiane, probabilmente imbarazzate per la partecipazione ai war games di sei cacciabombardieri F-35 “stealth” dell’IAf - Israelian Air Force che hanno fatto il loro debutto operativo proprio durante la recentissima operazione di guerra anti-palestinese “Guardians of the Wall”. Per avere qualche informazione su “Falcon Strike 21” si deve consultare il sito delle forze armate USA dove compare un laconico comunicato stampa che spiega come l’esercitazione serva “ad ottimizzare l’integrazione tra gli aerei di 4^ e 5^ generazione e ad accrescere il livello di cooperazione nei campi della logistica e del trasferimento dei caccia F-35, rafforzando l’interoperabilità delle forze aeree alleate e dei partner durante le operazioni congiunte”.
Molto più numerosi e inquietanti i dettagli forniti dai media israeliani. Times of Israel spiega che i sei F-35 dell’aeronautica israeliana impiegati per “Falcon Strike” sono giunti in Italia già nei primi giorni di giugno e si eserciteranno sino a martedì 15. “Si tratta della più grande e più lontana esercitazione a cui hanno mai preso parte questi nostri velivoli”, ha dichiarato alla testata un ufficiale dell’aeronautica israeliana, la cui identità è stata mantenuta segreta. “Nonostante l’obiettivo ufficiale dell’esercitazione sia quello di migliorare le capacità complessive del velivolo F-35, l’alto ufficiale dell’aeronautica ha riconosciuto che in parte essa è stata destinata a preparare i piloti israeliani all’uso dei cacciabombardieri contro le forze iraniane”.
“L’Iran è il nostro obiettivo”, ha espressamente dichiarato l’alto ufficiale a Times of Israel. “Sebbene gli F-35 israeliani hanno preso parte a esercitazioni internazionali in passato, questa sarà la prima volta che il velivolo volerà insieme agli F-35 di altri tre paesi”. Sempre secondo il quotidiano israeliano, oltre ai nuovi caccia di Lockheed Martin, a “Falcon Strike 21” prenderanno parte i cacciabombardieri F-16 USA (sicuramente provenienti dalla base di Aviano, Pordenone), un aereo-spia Gulfstream “Etam” e due aerei da rifornimento Boeing “Re’em” dell’aeronautica israeliana, due velivoli-tanker KC767 e HC130 e un velivolo da ricognizione Gulfstream “Eitam” dell’Aeronautica italiana e l’aereo da rifornimento britannico Voyager A330.
“Gli aerei incontreranno una flotta di velivoli italiani che agiranno come una squadra rossa, simulando un’aviazione nemica, tra cui Eurofighter Typhoon, caccia da combattimento AMX International, Panavia Tornado, droni Predator ed elicotteri Bell Augusta”, aggiunge Times of Israel. “Anche la portaerei britannica HMS Queen Elizabeth sarà impiegata nel corso dell’esercitazione che si svolgeranno sia in territorio italiano che nel Mediterraneo”. Per la cronaca proprio la “Queen Elisabeth” ha attraversato domenica 6 giugno lo Stretto di Messina per raggiungere lo Ionio meridionale, scortata da quattro navi da guerra britanniche e dal cacciatorpediniere lanciamissili “Andrea Doria” della Marina italiana.
“Sempre secondo l’ufficiale di IAF, un gran numero di batterie di missili terra-aria sarà utilizzato nel corso dell’esercitazioni contro i caccia F-35 al fine di creare un’atmosfera piena di minacce”, aggiunge Times od Israel. “I caccia israeliani F-35 parteciperanno a due sortite quotidiane. Nella prima gli aerei voleranno con gli americani, mentre nella seconda voleranno con le forze aeree britanniche e italiane. Durante queste missioni, i piloti israeliani simuleranno attacchi aerei su obiettivi dietro le linee nemiche e missioni di supporto terrestre, mentre voleranno su terreni non familiari. Oltre a contrastare le minacce dei missili terra-aria, i velivoli israeliani prenderanno parte a vere e proprie battaglie aeree”.
Anche The Jerusalem Post ha dedicato un ampio articolo alla missione IAF sui cieli italiani. Il quotidiano, in particolare, ha specificato l’identità dei reparti israeliani impiegati (il 140th Squadron dell’Aeronautica con gli F-35, il 116th Squadron con gli F-16A/B, il 122nd Squadron con l’aereo d’intelligence G550 e il 120th Squadron con i due aerei tanker). “L’aeronautica militare israeliana ha ricevuto i primi cacciabombardieri F-35 nel dicembre 2016 e ad oggi conta su 27 velivoli di questo tipo”, scrive il quotidiano di Gerusalemme. “Altri 23 caccia saranno consegnati entro il 2024, completando così l’ordine di IDF di 50 velivoli, anche se gli ufficiali israeliani contano di acquistarne ancora altri”.
Il sito specializzato Desk aeronautico che fornisce, tra l’altro, informazioni sulle limitazioni del traffico aereo in Italia in caso di esercitazioni militari, ha pubblicato una mappa con le aree che saranno utilizzate per “Falcon Strike 21”. “Durante la reale attivazione delle aree lo spazio aereo interessato sarà da considerare come zona temporaneamente segregata in cui l’attraversamento da parte di altro traffico non è consentito”, riporta la nota. “I due corridoi Poseidon e Brown collegheranno le aree delle operazioni alla base militare di Amendola. Per mezzo NOTAM A3569/21 è stata inoltre istituita una zona dal suolo a FL350 in cui sarà possibile riscontrare la poco affidabilità del segnale GPS per attività di jamming”.
Dato l’ampio spettro operativo off-limit proprio nel Golfo di Taranto, è più che probabile che per l’esercitazione sarà impiegata operativamente anche la portaerei italiana “Cavour”, rientrata in Italia a fine aprile dopo la lunga missione in Virginia, in cui - congiuntamente alle forze aereonavali USA - sono stati testati per la prima volta gli atterraggi e i decolli degli F-35 sul lungo ponte del “gioiello” di morte della Marina italiana.
Fonte: Antonio Mazzeo Blog
“La Palestina rimane un importante campo di prova per la repressione globale, dalla fortezza europea agli Stati Uniti, dall'India al Myanmar, dal Brasile al Sudan del Sud. Per questo, e per molti altri motivi, abbiamo una profonda responsabilità nel sostenere la lotta palestinese per la libertà, la giustizia e l'uguaglianza.”
Con queste parole, pronunciate in un video-spot da Angela Davis, si apre l’Israeli Apartheid Week 2021, la settimana organizzata ogni anno dal movimento BDS (Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni) per sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema dell’apartheid israeliano. Il webinar tenuto il 18 marzo ha visto la partecipazione di importanti ospiti che, provenienti dai più disparati ambiti della società civile italiana e palestinese, hanno presentato il Dossier “embargo militare contro Israele”, l’ultimo lavoro firmato BDS. All’interno del Dossier viene esposto, in maniera molto approfondita, il ruolo cruciale che la forza e la tecnologia rivestono per Israele nel perpetuare l’occupazione militare e il regime di apartheid. Questo non riguarda solo la Palestina e la pulizia etnica che da 72 anni va avanti in quella terra, ma ogni parte del mondo. Israele, infatti, è uno dei maggiori esportatori di armi, in particolare in paesi dove sistematicamente vengono violati i diritti umani. Nonostante ciò, i legami commerciali, accademici, scientifici e militari tra Israele, l’Italia e l’UE rimangono molto stretti. E’ necessario, dunque, fare una decisa opera di pressione sui nostri governi, col fine di interrompere i rapporti con un regime che rappresenta un serio ostacolo alla pace nel mondo. Da anni ce lo chiede la società civile palestinese e numerose ONG per i diritti umani, non facciamo ancora attendere la nostra risposta.
Perché un embargo militare contro Israele?
Il primo intervento è quello di un gigantesco Moni Ovadia, il quale si focalizza su una questione cruciale: come mai Israele, nonostante i suoi crimini, gode di una totale impunità, dalla politica al mondo accademico. Il motivo per cui anche molti intellettuali non conformisti si auto-censurano sulla questione palestinese è l’errata identificazione di Israele con l’ebraismo. Così, spiega Ovadia, agisce la macchina di propaganda del governo israeliano: “criminalizzare tutti coloro che criticano l’ideologia sionista o le azioni contro il popolo palestinese, dall’apartheid alla sperimentazione di armi”. Si tratta dunque di fare un intenso e vasto lavoro culturale per abbattere definitivamente questo muro di gomma. “Io non taccerò mai”, dice l’artista, “perché i valori che ho imparato dall’ebraismo e dal marxismo mi impongono di parlare. E moltissimi come me.”
Segue l’intervento del professore ed editore italo-palestinese Wasim Dahmash, il quale illustra come Israele abbia contribuito a diversi genocidi nel mondo, finanziando i regimi che li hanno perpetuati. Dal genocidio dei tutsi tra il Ruanda e la Repubblica Democratica del Congo, paesi a cui Israele fornisce armi in cambio delle loro materie preziose (diamanti in primis), al genocidio dei rohingya, la minoranza musulmana in Myanmar, a cui Israele vende ininterrottamente armi dagli anni ’50. Dunque Dahmash pone una domanda: “come si può essere complici di Israele?”.
Tra gli altri interventi, quello del ricercatore e giornalista Antonio Mazzeo il quale si concentra sull’ultra militarizzazione della società israeliana, presente perfino nell’istruzione dove, fin da piccolissimi, i bambini vengono abituati a stare costantemente attenti ad un nemico interno. Il terrore e la disumanizzazione dell’altro con cui cresceranno li porterà a guardare positivamente il ruolo del militare e le guerre in generale.
Presente al webinar anche Samed Ismail del movimento “A Foras”, contro l’occupazione militare in Sardegna. Samed descrive molto dettagliatamente come la Sardegna e la Palestina siano profondamente legate tra loro. Da Gaza alla base militare di Teulada e il poligono di Salto di Quirra, vengono testate nuove armi da vendere successivamente in giro per il mondo. Inoltre, esiste una stretta correlazione temporale tra le esercitazioni militari in Sardegna e le aggressioni israeliane contro la Striscia di Gaza, dall’Operazione Piombo Fuso (2008-2009) all’Operazione Margine di Protezione (2014).
L’attivista Majed Abusalama, l’ultimo ad intervenire, porta invece al webinar una preziosa testimonianza, un video di pochi secondi in cui è inquadrato il padre svolgere nella sua abitazione a Gaza dei normalissimi lavori domestici. Nulla di strano se non fosse per un costante e assordante rumore di fondo, un fastidiosissimo ronzio che catalizza su di sé tutta l’attenzione di chi guarda il video. Si tratta dei famigerati droni israeliani, in volo 24 ore su 24 nel cielo di Gaza. Esportati in tutto il mondo, anche nell’Unione Europea per respingere i migranti sulla rotta balcanica, i droni israeliani hanno la peculiarità di essere stati testati non solo sul campo ma anche sulla vita delle persone, come mostra il video del padre di Abusalama, prima di essere venduti ad altri paesi. Così nasce il movimento gazawi “We Are Not Numbers”, guidato dallo stesso Majed Abusalama, per far arrivare al mondo la voce di chi è costretto a vivere nella più grande “prigione a cielo aperto” senza poter denunciare la propria oppressione.
Dunque perché un embargo militare contro Israele? Perché Israele pratica un feroce regime di segregazione razziale e di apartheid contro il popolo palestinese, come recentemente dichiarato anche dall’ONG israeliana per i diritti umani B’Tselem; perché porta avanti un’occupazione militare e pulizia etnica da 72 anni; perché possiede un armamento oltre ogni limite, spendendo tra il 6,5 e l’8,5 % del suo PIL per il settore militare; perché esporta armi in ogni paese, regimi militari inclusi, contribuendo enormemente all’instabilità non solo nella regione medio orientale ma in tutto il mondo; perché sperimenta armi sulla popolazione civile; perché commette un elenco lunghissimo di crimini di guerra e, soprattutto, perché non ne deve mai rendere conto a nessuno, godendo di un’esclusiva totale impunità. I nostri governi sono complici di tutto questo e spetta a noi, società civile, far pressione su di loro per bloccare ogni relazione con un regime di apartheid quale è Israele, finché questo non riconoscerà uguali diritti umani a tutti gli abitanti della Palestina storica, non si ritirerà da tutti i territori occupati, non consentirà il ritorno dei profughi e non libererà i prigionieri politici.
Per maggiori informazioni è possibile acquistare il Dossier “Embargo militare contro Israele” scrivendo un’email a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
Guarda il video integrale: facebook.com
Principali vittorie delle campagne #StopElbit
La Elbit Systems, la maggiore azienda di armi in Israele, è tra i leader mondiale nella produzione di tecnologie di sorveglianza militare e di droni, svolgendo un ruolo importante nella costruzione dei muri razzisti, nella sorveglianza delle frontiere, negli sfollamenti forzati e in altri crimini di guerra.
Il movimento globale BDS, a favore della libertà, della giustizia e dell’uguaglianza, sta rispondendo. Oltre alle importanti vittorie ottenute nel corso degli anni, progrediscono diverse nuove campagne per fermare la Elbit:
Unione Europea
I droni Hermes 900 della Elbit vengono utilizzati per attuare politiche mortali contro i migranti attraverso la sorveglianza aerea dei rifugiati nel Mediterraneo. L'UE sta tradendo il suo obbligo legale ed etico di salvare la vita dei richiedenti asilo e sta trasformando il Mediterraneo in un cimitero.
Firma la petizione per dire all'UE di non finanziare l'industria militare israeliana e di rispettare i diritti dei rifugiati!
Canada
I Canadesi per la Giustizia e la Pace in Medio Oriente (CJPME) chiedono al ministero dei trasporti canadese di annullare il contratto da 36,16 milioni di dollari recentemente approvato per l’acquisto di droni della Elbit.
Puoi aiutarli a raggiungere l'obiettivo di inviare 4.000 e-mail ai leader canadesi.
Australia
BDS Australia si oppone al recente annuncio del governo dello stato del Victoria di una partnership con la Elbit per la ricerca e lo sviluppo di nuove tecnologie applicate alle armi. Collaborando con la Elbit, il governo Andrews mostra il suo disprezzo per il diritto internazionale e le convenzioni sui diritti umani.
Stati Uniti
Un'ampia coalizione di organizzazioni per i diritti umani si oppone alla proposta di potenziare con strumentazioni digitali il confine tra Stati Uniti e Messico, definendola una "continuazione delle politiche di confine razziste dell'amministrazione Trump". La Elbit detiene diversi contratti per fornire agli Stati Uniti la tecnologia di sorveglianza delle frontiere. Un nuovo rapporto mostra che ha contribuito anche la Elbit con l’offerta di 112.000 dollari sia ai Democratici che ai Repubblicani durante le elezioni del 2020, continuando l'approccio bipartisan a favore della militarizzazione delle frontiere.
Fonte: BNC
Traduzione di BDS Italia
Terry Crawford-Browne - World BEYOND War
Nel 2013 è stato realizzato un documentario israeliano dal titolo “The Lab”, proiettato a Pretoria e a Città del Capo, in Europa, in Australia e negli USA e che ha vinto molti premi, persino al Tel Aviv International Documentary Film Festival [i].
La tesi del film è che l’occupazione israeliana di Gaza e della Cisgiordania è un “laboratorio” in modo che Israele, per esportarle, possa vantare che le sue armi sono state “testate in guerra e collaudate”. E, in modo ancor più grottesco, come il sangue palestinese si trasformi in denaro!
L’ American Friends Service Committee (i quaccheri) a Gerusalemme ha appena reso pubblico il suo “Database of Israeli Military and Security Exports” [Database delle Esportazioni Israeliane Militari e per la Sicurezza] (DIMSE) [ii]. Lo studio dettaglia il mercato globale e l’uso delle armi e dei sistemi di sicurezza di Israele dal 2000 al 2019. India e USA sono stati i due maggiori importatori, con la Turchia al terzo posto. Lo studio rileva:
“Israele ogni anno si trova tra i primi dieci esportatori di armi al mondo, ma non informa regolarmente il registro delle Nazioni Unite sulle armi convenzionali e non ha ratificato il trattato sul commercio delle armi. Il sistema giudiziario israeliano non richiede trasparenza su questioni legate alla vendita di armamenti e attualmente non ci sono limitazioni legali riguardo ai diritti umani dei paesi in cui vengono esportate le armi israeliane, salvo rispettare l’embargo sulla vendita di armi quando disposto dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU."
Israele ha fornito ai dittatori del Myanmar equipaggiamento militare fin dagli anni ’50. Ma solo nel 2017, dopo le proteste internazionali contro i massacri dei musulmani rohingya e dopo che attivisti israeliani per i diritti umani hanno denunciato ai tribunali israeliani tale commercio, il governo israeliano è riuscito a sentirsi in imbarazzo [iii].
Nel 2018 l’ufficio dell’Alto Commissariato ONU per i Diritti Umani ha dichiarato che i generali del Myanmar dovrebbero essere processati per genocidio. Nel 2020 la Corte Internazionale di Giustizia dell’Aia ha ordinato al Myanmar di evitare violenze genocide contro la minoranza rohingya e anche di conservare le prove degli attacchi del passato [iv].
Data la storia dell’Olocausto nazista, è diabolico che il governo e l’industria bellica di Israele siano attivamente complici del genocidio in Myanmar e in Palestina, oltre che in molti altri Paesi, compresi Sri Lanka, Ruanda, Kashmir, Serbia e Filippine [v]. È altrettanto scandaloso che gli USA proteggano Israele, uno Stato che è suo satellite, abusando del loro potere di veto al Consiglio di Sicurezza dell’ONU.
Nel suo libro intitolato War against the People [Guerra contro il popolo, Edizioni Epoké, 2017], il pacifista israeliano Jeff Halper inizia con una domanda: “Come fa Israele a farla franca?” La sua risposta è che Israele fa il “lavoro sporco” per gli USA non solo in Medio Oriente, ma anche in Africa, America latina e altrove vendendo armi, sistemi di sicurezza e mantenendo al potere dittature attraverso il saccheggio delle risorse naturali, tra cui diamanti, rame, coltan, oro e petrolio [vi].
Il libro di Halper conferma sia “The Lab” che lo studio del DIMSE. Nel 2009 un ex ambasciatore USA in Israele ha polemicamente avvertito Washington che Israele stava diventando sempre più “la terra promessa del crimine organizzato”. Ora la devastazione della sua industria bellica è tale che Israele è diventato uno “Stato canaglia”.
Nove Paesi africani sono inclusi nella banca dati del DIMSE: Angola, Camerun, Costa d’Avorio, Guinea Equatoriale, Kenya, Marocco, Sud Africa, Sud Sudan e Uganda. Le dittature di Angola, Camerun e Uganda sono legate da decenni all’appoggio militare israeliano. Tutti e nove i Paesi sono noti per la corruzione e le violazioni dei diritti umani, che invariabilmente sono interconnesse.
Il dittatore angolano di lunga data Eduardo dos Santos è stato ritenuto l’uomo più ricco dell’Africa, mentre sua figlia Isobel è diventata la donna più ricca [vii]. Entrambi alla fine sono stati processati per corruzione [viii]. Sui depositi di petrolio in Angola, Guinea Equatoriale, Sud Sudan e Sahara occidentale (occupato dal 1975 dal Marocco in violazione delle leggi internazionali) vi è evidenza del coinvolgimento di Israele.
I diamanti insanguinati sono l’attrattiva di Angola e Costa d’Avorio (oltre che della Repubblica Democratica del Congo e Zimbabwe, non inclusi nello studio). La guerra nella RDC viene definita la “Prima Guerra Mondiale dell’Africa”, perché le sue cause sono cobalto, coltan, rame e diamanti industriali richiesti dal cosiddetto business della guerra nel “Primo Mondo”.
Nel 1997 il magnate dei diamanti Dan Gertler [uomo d’affari israeliano, N.d.T.] ha fornito sostegno finanziario attraverso la sua banca israeliana alla cacciata di Mobutu Sese Seko e alla presa del potere nella RDC da parte di Laurent Kabila. In seguito i servizi di sicurezza israeliani hanno mantenuto al potere Kabila e suo figlio Joseph, mentre Gertler saccheggiava le risorse naturali della RDC [ix].
In gennaio, qualche giorno prima di lasciare il potere, l’ex- presidente Donald Trump ha tolto Gertler dalla lista dei soggetti sottoposti a sanzioni in base alla [legge USA] Global Magnitsky [che impone sanzioni contro i responsabili di violazioni dei diritti umani nel mondo, N.d.T.], in cui Gertler era stato inserito nel 2017 per “accordi minerari poco chiari e corrotti nella RDC”. Il tentativo di Trump di “perdonare” Gertler ora è stato messo in discussione presso il Dipartimento di Stato e il Tesoro USA da trenta organizzazioni della società civile congolesi e internazionali [x].
Benché non abbia miniere di diamanti, Israele è il principale centro mondiale per il taglio e la lavorazione degli stessi. Fondato durante la Seconda Guerra Mondiale con l’aiuto del Sudafrica, il commercio di diamanti ha aperto la strada all’industrializzazione di Israele. L’industria dei diamanti israeliana è anche legata sia all’industria bellica che al Mossad [servizio per la sicurezza estera di Israele, N.d.T.] [xi].
Negli ultimi trent’anni la Costa d’Avorio è stata politicamente instabile e la sua produzione di diamanti irrisoria [xii]. Eppure il rapporto DIMSE rivela che il commercio annuale di diamanti della Costa d’Avorio raggiunge tra i 50.000 e i 300.000 carati, e le imprese di armamenti israeliane sono attivamente coinvolte nello scambio tra armi e diamanti.
Negli anni ’90 cittadini israeliani sono stati coinvolti in modo significativo anche nella guerra civile della Sierra Leone e nello scambio tra armi e diamanti. Il colonnello Yair Klein e altri hanno addestrato il Revolutionary United Front (Fronte Unito Rivoluzionario) (RUF). “La tattica che caratterizzava il RUF era l’amputazione di civili, col taglio di braccia, gambe, labbra e orecchie con machete e asce. L’obiettivo del RUF era terrorizzare la popolazione per ottenere il dominio incontrastato sulle miniere di diamanti” [xiii].
Allo stesso modo una società di copertura del Mossad avrebbe truccato le elezioni nello Zimbabwe durante l’era di Mugabe [xiv]. Il Mossad è sospettato di aver poi organizzato nel 2017 il colpo di stato con cui Mnangagwa ha sostituito Mugabe. I diamanti del Marange, nello Zimbabwe, sono esportati in Israele passando per Dubai [città degli Emirati Arabi Uniti, N.d.T.].
A sua volta Dubai - la nuova patria dei fratelli Gupta [ricchissima famiglia di origine indiana, N.d.T.], è nota come uno dei principali centri mondiali di riciclaggio ed è anche uno dei nuovi amici arabi di Israele - rilascia certificati falsi in osservanza al Kimberley Process [impegno a non commerciare diamanti provenienti da zone di conflitto, N.d.T.] che attestano che questi diamanti insanguinati non sono legati a situazioni di conflitto. Le pietre vengono poi tagliate e lavorate in Israele per essere esportate negli USA, destinati principalmente a giovani ingenui che si bevono lo slogan pubblicitario di De Beers secondo cui i diamanti sono per sempre.
Il Sudafrica si colloca al 47° posto nello studio del DIMSE. Dal 2000 le importazioni di armi da Israele riguardano sistemi radar e aerei modulari in base all’accordo BAE/Saab Gripens, veicoli antisommossa e servizi di sicurezza informatica. Sfortunatamente il giro di denaro non è noto. Prima del 2000, nel 1988 il Sudafrica aveva comprato 60 aerei da caccia non più in uso dell’aviazione israeliana. I velivoli, ribattezzati Cheetah, vennero rivenduti al costo di 1,7 miliardi di dollari e consegnati dopo il 1994.
Questa vicinanza a Israele è diventata politicamente imbarazzante per l’ANC [African National Congress, partito al potere in Sudafrica dalla fine dell’apartheid, N.d.T.]. Benché alcuni aerei fossero ancora imballati, questi Cheetah vennero venduti a prezzi scontati a Cile ed Ecuador. Poi vennero sostituiti da BAE Hawks britannici e BAE/Saab Gripens svedesi a un prezzo maggiorato di 2,5 miliardi di dollari.
Lo scandalo per la corruzione relativa alla vendita di armamenti BAE/Saab non è ancora stato chiarito. Nelle circa 160 pagine di deposizioni giurate dell’Ufficio Britannico Antifrode e degli Scorpions [reparto speciale anticorruzione della polizia sudafricana, N.d.T.] si dettaglia come la BAE abbia pagato tangenti per 2 miliardi di rand [circa 110 milioni di euro], a chi sono state pagate queste bustarelle e su quali conti bancari in Sudafrica e all’estero sono state versate.
L’accordo per il finanziamento attraverso la Barclays Bank di questi caccia Bae/Saab, garantito dal governo britannico e firmato da Trevor Manuel [all’epoca ministro delle Finanze sudafricano, N.d.T.], è un esempio da manuale dell’induzione all’indebitamento del “Terzo Mondo” da parte delle banche britanniche.
Benché rappresenti meno dell’1% del commercio internazionale, si stima che il mercato delle armi rappresenti dal 40% al 45% della corruzione mondiale. Questa stima straordinaria è stata fatta - guarda un po’ - dalla Central Intelligence Agency (la CIA) attraverso il Dipartimento USA per il Commercio [xv].
La corruzione legata al commercio delle armi arriva direttamente ai vertici. Include la regina, il principe Carlo e altri membri della famiglia reale britannica [xvi]. Con pochissime eccezioni include anche ogni membro del Congresso USA, indipendentemente dal partito politico. Nel 1961 il presidente Dwight Eisenhower ammonì sulle conseguenze di quello che definì “il complesso militare-industriale-parlamentare”.
Come descritto in “The Lab”, gli squadroni della morte brasiliani e almeno 100 agenti della polizia americana sono stati addestrati ai metodi utilizzati dagli israeliani per eliminare i palestinesi. Le uccisioni di George Floyd a Minneapolis e di molti altri afro-americani in altre città mostrano chiaramente che la violenza e il razzismo dell’apartheid israeliano sono esportati in tutto il mondo. Le proteste dei Black Lives Matter che ne sono derivate hanno messo in luce che gli USA sono una società estremamente diseguale e disfunzionale.
Già nel 1977 il Consiglio di Sicurezza dell’ONU stabilì che l’apartheid e le violazioni dei diritti umani in Sudafrica costituivano una minaccia per la pace e la sicurezza internazionali. Venne imposto un embargo alla vendita di armi che venne violato da molti Paesi, in particolare da Germania, Francia, Gran Bretagna, USA e soprattutto da Israele [xvii].
Miliardi e miliardi di rand vennero versati ad Armscor [agenzia sudafricana incaricata dell’acquisto di armamenti, N.d.T.] e ad altri commercianti di armi per lo sviluppo di armi nucleari, missili e altre forniture, che si dimostrarono totalmente inutili contro l’opposizione interna all’apartheid. Tuttavia, invece di difendere con successo il sistema dell’apartheid, le spese sconsiderate per gli armamenti mandarono in bancarotta il Sudafrica.
Come ebbe a scrivere l’ex direttore di “Business Day” [quotidiano economico sudafricano, N.d.T.] il defunto, Ken Owen:
“Il male dell’apartheid apparteneva ai dirigenti civili, le sue follie erano interamente a carico degli ufficiali dell’esercito. È un’ironia della nostra liberazione che l’egemonia degli afrikaner [bianchi sudafricani di origine olandese, belga, tedesca e francese, N.d.T.] avrebbe potuto durare altri 50 anni se i teorici militari non avessero dirottato la ricchezza nazionale in imprese strategiche come Mossgas e Sasol [aziende energetiche, N.d.T.], Armscor [agenzia per l’acquisto e la produzione di armi, N.d.T.] e Nufcor [agenzia per l’acquisto di uranio, N.d.T.], che alla fine non ci hanno portato altro che bancarotta e disonore”[xviii].
Sulla stessa linea il direttore della rivista Noseweek [mensile sudafricano, N.d.T.] Martin Welz ha affermato: “Israele aveva il cervello ma non i soldi. Il Sudafrica i soldi, ma non il cervello.” In breve il Sudafrica finanziò lo sviluppo dell’industria bellica israeliana che oggi è la principale minaccia alla pace mondiale. Quando finalmente nel 1991 Israele si piegò alle pressioni USA e iniziò a fare marcia indietro rispetto all’alleanza con il Sudafrica, l’industria degli armamenti e i capi militari israeliani vi si opposero risolutamente.
Erano furibondi e insistettero che era un “suicidio”. Dichiararono: “Il Sudafrica ha salvato Israele.” Va anche ricordato che i fucili semiautomatici G3 utilizzati dalla polizia sudafricana nel massacro di Marikana [in cui vennero uccisi 34 lavoratori in sciopero e feriti gravemente almeno altri 78, N.d.T.]
del 2012 erano stati fabbricati dalla “Denel” su licenza israeliana.
Due mesi dopo il famoso discorso del Rubicone del presidente PW Botha [in cui egli affermò che il sistema di apartheid non sarebbe stato modificato, N.d.T.] nell’agosto 1985, quello che una volta era stato un banchiere bianco e conservatore diventò un rivoluzionario. All’epoca ero direttore del tesoro regionale di Nedbank [gruppo sudafricano di servizi finanziari, N.d.T.] per la provincia del Capo occidentale e responsabile delle operazioni bancarie internazionali. Ero anche un sostenitore della End Conscription Campaign [campagna per porre fine alla coscrizione obbligatoria] (ECC) e rifiutai di consentire che mio figlio, che era adolescente venisse registrato per il servizio di leva nell’esercito dell’apartheid.
La pena per il rifiuto di fare il servizio militare nell’esercito sudafricano era di sei anni di prigione. Si stima che 25.000 giovani bianchi abbiano lasciato il Paese per non essere arruolati nell’esercito dell’apartheid. Che il Sudafrica continui ad essere uno dei Paesi più violenti al mondo è solo una delle molte conseguenze persistenti del colonialismo, dell’apartheid e delle loro guerre.
Con l’arcivescovo Desmond Tutu e il defunto dottor Beyers Naude [religioso e attivista anti-apartheid afrikaner, N.d.T.] nel 1985 alle Nazioni Unite a New York lanciammo la campagna internazionale di sanzioni bancarie come ultima iniziativa nonviolenta per evitare una guerra civile e uno spargimento di sangue razziale. I paralleli tra il movimento americano per i diritti civili e la campagna mondiale contro l’apartheid erano evidenti agli afro-americani. Un anno dopo, superando il veto del presidente Ronald Reagan, venne approvato il Comprehensive Anti-Apartheid Act [legge Usa contro l’apartheid, N.d.T.].
Nel 1989, con la perestroika e l’imminente fine della Guerra Fredda, sia il presidente George Bush (Senior) che il Congresso USA minacciarono di vietare al Sudafrica di fare qualunque transazione finanziaria negli USA. Tutu e noi attivisti anti-apartheid non potevamo più essere tacciati di essere “comunisti”. Questo era il contesto in cui tenne il suo discorso il presidente FW de Klerk nel febbraio 1990. De Klerk se ne rese chiaramente conto.
Senza accesso alle sette maggiori banche di New York e al sistema di pagamento in dollari USA, il Sudafrica non sarebbero più stato in grado di commerciare con nessun Paese al mondo. Il presidente Nelson Mandela in seguito riconobbe che la campagna di sanzioni bancarie di New York era stata la strategia più efficace contro l’apartheid [xix].
Quanto successo in Sudafrica è una lezione di particolare rilevanza per Israele che, come il Sudafrica dell’apartheid, sostiene falsamente di essere una democrazia. Dire che le critiche sono “antisemite” è sempre più controproducente, in quanto sempre più ebrei in tutto il mondo si dissociano dal sionismo.
Che Israele sia uno Stato di apartheid è ora ampiamente documentato - anche dal Tribunale Russell sulla Palestina che si riunì a Città del Capo nel novembre 2011. Allora confermò che la condotta del governo israeliano verso i palestinesi rispondeva ai criteri giuridici dell’apartheid, ed era un crimine contro l’umanità.
All’interno dello stato di Israele vero e proprio più di 50 leggi discriminano i palestinesi cittadini d’Israele sulla base della cittadinanza, della terra e della lingua, con il 93% della terra riservata solo all’insediamento ebraico. Durante il Sudafrica dell’apartheid simili umiliazioni erano descritte come “piccolo apartheid”. Dall’altra parte della Linea Verde, l’Autorità Nazionale Palestinese è un bantustan del “grande apartheid”, ma con ancor meno autonomia di quella che avevano i Bantustan in Sudafrica.
L’impero romano, quelli ottomano, francese, britannico e sovietico alla fine sono tutti crollati dopo aver fatto bancarotta a causa dei costi delle loro guerre. Per dirla con le concise parole del defunto Chalmers Johnson [storico ed economista statunitense, N.d.T.], che ha scritto tre libri sul futuro crollo dell’impero americano: “Le cose che non possono durare per sempre, non durano” [xx].
Ora l’imminente collasso dell’impero USA è stato evidenziato dall’insurrezione di Washington istigata da Trump il 6 gennaio. Nelle elezioni presidenziali del 2016 l’alternativa è stata tra una criminale di guerra e un pazzoide. All’epoca ho sostenuto che il pazzoide fosse in realtà la scelta migliore perché Trump avrebbe demolito il sistema mentre Hillary Clinton lo avrebbe ritoccato e fatto durare di più.
Con il pretesto di “proteggere l’America”, centinaia di miliardi di dollari sono stati spesi in armi inutili. Che gli USA abbiano perso ogni guerra combattuta dalla Seconda Guerra Mondiale non sembra importare finché il denaro arriva a Lockheed Martin, Raytheon, Boeing e a migliaia di altri fornitori di armi, oltre che alle banche e alle imprese petrolifere [xxi].
Dal 1940 alla fine della Guerra Fredda nel 1990 gli USA hanno speso 5.8 trilioni di dollari solo per le armi nucleari e lo scorso anno hanno deciso di spendere altri 1.2 trilioni per modernizzarle [xxii].
Il trattato sulla proibizione delle armi nucleari è diventato una legge internazionale il 22 gennaio 2021.
Si stima che Israele abbia 80 testate nucleari puntate verso l’Iran. Nel 1969 il presidente Richard Nixon ed Henry Kissinger escogitarono la finzione che “gli USA avrebbero accettato lo stato nucleare di Israele finché Israele non lo avesse riconosciuto pubblicamente” [xxiii].
Come riconosce l’International Atomic Energy Agency [Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica, con sede a Vienna, N.d.T.] (IAEA), l’Iran ha abbandonato l’obiettivo di sviluppare armi nucleari fin dal 2003, dopo che gli americani avevano impiccato Saddam Hussein, che era stato “il loro uomo” in Iraq. L’insistenza israeliana secondo cui l’Iran rappresenta una minaccia per la pace e la sicurezza internazionale è falsa tanto quanto le false notizie dell’intelligence nel 2003 riguardo alle “armi di distruzione di massa” dell’Iraq.
I britannici “scoprirono” il petrolio in Persia [Iran] nel 1908 e lo depredarono. Dopo che un governo democraticamente eletto nazionalizzò l’industria petrolifera iraniana, nel 1953 il governo britannico e quello USA orchestrarono un colpo di stato e poi appoggiarono la brutale dittatura dello Scià finché essa venne rovesciata dalla rivoluzione iraniana del 1979.
Gli americani erano (e continuano ad essere) furiosi. Per vendetta e in collaborazione con Saddam e con molti altri governi (compreso il Sudafrica dell’apartheid), gli USA provocarono deliberatamente una guerra di otto anni tra Iraq e Iran. Dati questi precedenti e inclusa la revoca da parte di Trump del Joint Comprehensive Plan of Action [accordo sul nucleare iraniano firmato da Obama, N.d.T.] (JCPOA), non c’è da stupirsi che gli iraniani siano così scettici riguardo agli impegni USA di rispettare qualunque accordo o trattato.
Sono in questione il ruolo del dollaro USA come moneta di riserva mondiale e la determinazione degli USA a imporre la propria egemonia sia finanziaria che militare sull’intero pianeta. Ciò spiega anche la ragione dei tentativi di Trump di promuovere una rivoluzione in Venezuela, che ha le maggiori riserve di petrolio al mondo. Nel 2016 Trump ha sostenuto che avrebbe “prosciugato la palude” a Washington. Al contrario durante la sua presidenza la palude è degenerata in una fogna, come evidenziato dai suoi accordi per gli armamenti con l’Arabia Saudita, Israele e gli EAU, oltre al suo “accordo del secolo” con Israele [xxiv].
Il presidente Joe Biden deve la sua elezione all’affluenza alle urne degli elettori afro-americani negli “Stati blu” [Stati prevalentemente a favore del partito Democratico, N.d.T.]. Date le rivolte del 2020, l’impatto delle iniziative di Black Lives Matter e l’impoverimento delle classi medie e di quella operaia, la sua presidenza darà la priorità alle questioni dei diritti umani in patria e anche al disimpegno a livello internazionale.
Dopo 20 anni di guerre dall’11 settembre in poi, gli USA sono stati superati in astuzia dalla Russia in Siria e dall’Iran in Iraq. E l’Afghanistan ha ancora una volta confermato la sua storica fama di “tomba degli imperi”. In quanto ponte terrestre tra Asia, Europa e Africa, il Medio Oriente è vitale per le ambizioni cinesi di confermare la propria posizione storica come Paese dominante a livello mondiale.
Un’avventata guerra israeliana/saudita/statunitense contro l’Iran provocherebbe quasi certamente il coinvolgimento di Russia e Cina. Le conseguenze globali potrebbero essere catastrofiche per l’umanità.
L’indignazione internazionale dopo l’uccisione del giornalista Jamal Khashoggi è stata aggravata dalle rivelazioni secondo cui USA e Gran Bretagna (più altri Paesi, compreso il Sudafrica) sono stati complici, avendo fornito all’Arabia Saudita e agli EAU non solo armi, ma anche supporto logistico alla guerra di sauditi ed emiratini in Yemen.
Biden ha già annunciato che i rapporti tra USA e Arabia Saudita saranno “ridefiniti” [xxv]. Pur proclamando che “l’America è tornata”, la realtà che l’amministrazione Biden si trova davanti è una crisi interna. Le classi medie e lavoratrici si sono impoverite e, a causa delle priorità economiche dovute alle guerre dopo l’11 settembre e quindi le infrastrutture americane sono state trascurate in modo deplorevole. L’avvertimento di Eisenhower nel 1961 è stato ora confermato.
Più del 50% del bilancio del governo federale USA viene speso per preparativi bellici e per continuare a finanziare i costi delle guerre passate. Annualmente il mondo, per lo più gli USA e i suoi alleati della NATO, spende 2 trilioni di dollari per prepararsi alla guerra. Una frazione di questa somma potrebbe finanziare urgenti problemi legati al cambiamento climatico, alla povertà e a una serie di altre priorità.
Dalla guerra dello Yom Kippur del 1973 il prezzo del petrolio dell'OPEC è valutato solo in dollari USA. Con un accordo negoziato da Henry Kissinger il petrolio saudita ha sostituito l’oro come base monetaria [xxvi]. Le conseguenze globali sono immense, ed includono:
- Garanzie di USA e Gran Bretagna riguardo alla famiglia reale saudita contro rivolte interne;
- Al petrolio dell’OPEC è stato attribuito un prezzo solo in dollari USA, e i proventi sono depositati nelle banche di New York e Londra. Di conseguenza il dollaro è la valuta di riserva internazionale, e il resto del mondo finanzia il sistema bancario, l’economia e le guerre degli USA;
- La Banca d’Inghilterra amministra un “fondo nero saudita”, il cui scopo è finanziare la destabilizzazione occulta di Paesi ricchi di risorse naturali in Asia e Africa. Se l’Iraq, l’Iran, la Libia o il Venezuela dovessero chiedere il pagamento in euro o in oro invece che in dollari, la conseguenza sarebbe un “cambiamento di regime”.
Grazie alla base monetaria in petrolio saudita la spesa militare altrettanto illimitata degli USA viene attualmente finanziata dal resto del mondo. Ciò include i costi di circa 1.000 basi militari USA in tutto il pianeta, il cui scopo è di garantire che gli USA, con solo il 4% della popolazione mondiale, possano conservare la propria egemonia militare e finanziaria. Circa 34 di queste basi sono in Africa, di cui due in Libia [xxvii].
L’“Alleanza dei Cinque Occhi” formata da Paesi anglofoni bianchi (che comprende USA, Gran Bretagna, Canada, Australia e Nuova Zelanda e di cui Israele è di fatto membro) si è arrogata il diritto di intervenire quasi ovunque nel mondo. La NATO è intervenuta con risultati disastrosi in Libia nel 2011 dopo che Muammar Gheddafi ha chiesto il pagamento del petrolio libico in oro invece che in dollari.
Con il declino economico degli USA e la Cina in crescita, queste strutture militari e finanziarie non sono né adeguate né sostenibili nel XXI secolo. Dopo aver aggravato la crisi finanziaria del 2008 con massicce operazioni di salvataggio finanziario a favore delle banche e della borsa, la pandemia da COVID e un intervento di salvataggio finanziario ancora più esteso hanno accelerato il collasso dell’impero USA.
Ciò coincide con una situazione in cui gli USA non sono più nemmeno i principali importatori dal petrolio mediorientale o da esso dipendenti. Sono stati rimpiazzati dalla Cina, che è anche il maggior creditore dell’America e detentore di buoni del Tesoro USA. Le implicazioni per Israele come Stato di colonialismo d’insediamento nel mondo arabo saranno enormi, dal momento che il “grande padre” non può intervenire o non lo farà.
Il prezzo dell’oro e del petrolio erano il barometro con il quale venivano misurati i conflitti internazionali. Il prezzo dell’oro è stagnante e anche quello del petrolio è relativamente basso, mentre l’economia saudita è in grave crisi. Al contrario, il prezzo del bitcoin è salito alle stelle, da 1.000 dollari quando Trump ha assunto il potere nel 2017 a oltre 58.000 il 20 febbraio scorso. Persino i banchieri di New York improvvisamente prevedono che il prezzo del bitcoin possa addirittura raggiungere i 200.000 dollari entro la fine del 2021, mentre il dollaro USA continuerà a calare e un nuovo sistema finanziario globale sta emergendo dal caos [xxviii].
Terry Crawford-Browne è coordinatore per il Sudafrica di World BEYOND War [Mondo oltre la Guerra, organizzazione pacifista presente in una ventina di Paesi, N.d.T.] e autore di Eye on the Money [Occhi sul denaro] (2007), Eye on the Diamonds [Occhi sui diamanti], (2012) e Eye on the Gold [Occhi sull’oro] (2020).
[i] Kersten Knipp, “The Lab: Palestinians as Guinea Pigs?” Deutsche Welle/Qantara de 2013, 10 December 2013.
[ii] Database of Israeli Military and Security Exports (DIMSA). American Friends Service Committee, November 2020. https://www.dimse.info/
[iii] Judah Ari Gross, “After courts gagged ruling on arms sales to Myanmar, activists call for protest,” Times of Israel, 28 September 2017.
[iv] Owen Bowcott and Rebecca Ratcliffe, “UN’s top court orders Myanmar to protect Rohingya from Genocide, The Guardian, 23 January 2020.
[v] Richard Silverstein, “Israel’s Genocidal Arms Customers,” Jacobin Magazine, November 2018.
[vi] Jeff Halper, War against the People: Israel, the Palestinians and Global Pacification, Pluto Press, London 2015
[vii] Ben Hallman, “5 Reasons why Luanda Leaks is bigger than Angola,” International Consortium of Investigative Journalists (ICIJ), 21 January 2020.
[viii] Reuters, “Angola moves to seize Dos Santos-linked asset in Dutch Court,” Times Live, 8 February 2021.
[ix] Global Witness, “Controversial billionaire Dan Gertler appears to have used suspected international money laundering network to dodge US sanctions and acquire new mining assets in DRC,” 2 July 2020.
[x] Human Rights Watch, “Joint letter to the US on Dan Gertler’s License [No. GLOMAG-2021-371648-1], 2 February 2021.
[xi] Sean Clinton, “The Kimberley Process: Israel’s multi-billion dollar blood diamond industry,” Middle East Monitor, 19 November 2019.
[xii] Tetra Tech on behalf of US AID, “Artisanal Diamond Mining Sector in Côte d’Ivoire,” October 2012.
[xiii] Greg Campbell, Blood Diamonds: Tracing the Deadly Path of the World’s Most Precious Stones, Westview Press, Boulder, Colorado, 2002.
[xiv] Sam Sole, “Zim voters’ roll in hands of suspect Israeli company,” Mail and Guardian, 12 April 2013.
[xv] Joe Roeber, “Hard-Wired For Corruption,” Prospect Magazine, 28 August 2005
[xvi] Phil Miller, “Revealed: British royals met tyrannical Middle East monarchies over 200 times since Arab Spring erupted 10 years ago,” Daily Maverick, 23 February 2021.
[xvii] Sasha Polakow-Suransky, The Unspoken Alliance: Israel’s Secret Relationship with Apartheid South Africa, Jacana Media, Cape Town, 2010.
[xviii] Ken Owen, Sunday Times, 25 June 1995.
[xix] Anthony Sampson, “A Hero from an Age of Giants,” Cape Times, 10 December 2013.
[xx] Chalmers Johnson [who died in 2010] wrote numerous books. His trilogy on the US Empire, Blowback [2004], The Sorrows of Empire [2004] and Nemesis [2007] focus on the Empire’s future bankruptcy because of its reckless militarism. A 52-minute video interview produced in 2018 is an insightful prognosis and readily available free-of-charge. https://www.youtube.com/watch?v=sZwFm64_uXA
[xxi] William Hartung, The Prophets of War: Lockheed Martin and the Making of the Military Industrial Complex, 2012
[xxii] Hart Rapaport, “The US government plans to spend over one trillion dollars on Nuclear Weapons,” Columbia K=1 Project, Center for Nuclear Studies, 9 July 2020
[xxiii] Avner Cohen and William Burr, “Don’t Like That Israel Has the Bomb? Blame Nixon,” Foreign Affairs, 12 September 2014.
[xxiv] Interactive Al Jazeera.com, “Trump’s Middle East Plan and a Century of Failed Deals,” 28 January 2020.
[xxv] Becky Anderson, “US sidelines Crown Prince in recalibration with Saudi Arabia,” CNN, 17 February 2021
[xxvi] F. William Engdahl, A Century of War: Anglo-American Oil Politics and the New World Order, 2011.
[xxvii] Nick Turse, “US military says it has a ‘light footprint in Africa: These documents show a vast network of bases.” The Intercept, 1 December 2018.
[xxviii] “Should the World Embrace Cryptocurrencies?” Al Jazeera: Inside Story, 12 February 2021.
Traduzione di Zeitun
Il fabbricante di armi Israel Aerospace Industries riceve finanziamenti per la scienza da parte dell’UE (Tomer Appelbaum / Reuters)
Non dobbiamo mai dimenticare i miracoli compiuti dall'agenzia matrimoniale di Donald Trump.
Per un po' nel 2020 abbiamo potuto smettere di preoccuparci di un virus mortale e celebrare gli accordi di pace tra Israele e paesi con i quali non era mai stato in guerra. Organizzando quegli accordi Trump ha potuto mirare ad un secondo mandato presidenziale fingendosi in parte Cupido in parte Gandhi.
Quelle elezioni non sono andate come avrebbe sperato. Ma la bellissima storia d'amore che Trump ha scritto è sopravvissuta oltre il giorno di San Valentino.
La prossima settimana proseguirà con una fiera delle armi negli Emirati Arabi Uniti.
Sottolineando la sua devozione alla tranquillità mediorientale, Israele avrà per la prima volta un proprio padiglione all'Esposizione Internazionale della Difesa ad Abu Dhabi. Dopo aver controllato la temperatura, i visitatori della fiera potranno ammirare le armi testate sui palestinesi, sterilizzate senza dubbio con grande cura.
In un'occasione così storica sarebbe giusto ricordare coloro che in precedenza hanno aiutato Israele a trasformare l'oppressione in opportunità.
L'Unione Europea è un club nato dopo gli orrori della seconda guerra mondiale. Per cancellare tali orrori l'UE ha trovato modi innovativi per sostenere la pace internazionale. Tra questi c'è l'essere generosi con le ditte di armi israeliane.
Due di queste aziende - Elbit Systems e Israel Aerospace Industries - hanno ricevuto un totale complessivo di 15 milioni di dollari (12,43 milioni di euro, N.d.T.) da Horizon 2020, il programma di ricerca scientifica dell'UE.
L'immaginazione si scatena
L'approvazione di queste sovvenzioni ha reso necessario che i funzionari di Bruxelles lasciassero correre la loro immaginazione.
Per evitare di dare l'impressione di ricompensare crimini contro l'umanità, i funzionari hanno immaginato che gli ultimi due decenni non fossero esistiti. I modi in cui le ditte di armi israeliane hanno tratto profitto da una serie di attacchi a Gaza e dall'uso di attrezzature di sorveglianza in Cisgiordania sono stati cancellati dalla storia.
I commercianti di armi non sono i principali destinatari delle sovvenzioni per la scienza dell'UE a Israele. I primi destinatari sono le università. Ancora una volta questo offre la prova di come i funzionari di Bruxelles possano inventare una nuova realtà. In quella nuova realtà le università israeliane si sono votate esclusivamente alla produzione di conoscenza. I loro ruolo nel favorire la violenza di stato è stato cancellato con la magia.
Il Weizmann Institute of Science ha assorbito più di 244 milioni di dollari (202 milioni di euro, N.d.T.) da Horizon 2020, configurandosi come il beneficiario numero uno di Israele. Il sito web di quell'istituto ci informa sulla sua "missione di far progredire la scienza a beneficio dell'umanità". In linea con questa missione, l'istituto organizza corsi per i giovani sul punto di entrare a far parte dell'esercito israeliano. I ragazzi che partecipano possono continuare a uccidere e mutilare i palestinesi. Ma almeno sapranno come definire la meccanica quantistica.
Sarebbe altrettanto scortese lamentarsi di come l'Istituto Weizmann stia collaborando con le ditte di armi israeliane su vari progetti. Poiché queste aziende costruiscono satelliti e droni, secondo l'istituto possono essere classificate come "collaboratori d’alta quota".
Parole in voga
L'Università di Tel Aviv è il secondo beneficiario israeliano di Horizon 2020, con quasi 197 milioni di dollari (163 milioni di euro, N.d.T.). I suoi studenti, sempre tanto intelligenti, possono stringere una calorosa relazione con i fabbricanti di armi. Ciò è stato evidenziato dal modo in cui Elbit Systems ha sponsorizzato nel campus "due chiacchiere col caffè".
Naturalmente le attività della Elbit non si limitano a sorseggiare cappuccini. Elbit e il dipartimento di ingegneria dell'università hanno istituito quello che chiamano un "programma imprenditoriale unico" in modo da poter "dare impulso alla prossima generazione di leader tecnologici".
Tali parole d'ordine sono destinate a impressionare i funzionari dell'UE che amministrano le sovvenzioni per la scienza. Loro non si sognerebbero di rovinare tutto ciò ponendo domande difficili su cosa stia facendo l'attuale generazione di leader tecnologici di Elbit. Elbit ha recentemente sviluppato un'app progettata per rendere facile come ordinare una pizza annientare un palestinese. Questo è ciò che l'UE ama chiamare innovazione.
L'Università Ebraica di Gerusalemme è il terzo beneficiario israeliano di Horizon 2020, intascando ben 193 milioni di dollari (159,87 milioni di euro, N.d.T.). Lo sfarzo dell'Università Ebraica può essere visto come un trionfo del pensiero creativo. Per giustificarlo l'UE ha ignorato il modo in cui l'università è presente nella Gerusalemme est occupata. Lo stesso tipo di creatività può essere percepito nelle modalità in cui l'UE agisce ignorando come l'Università Ebraica addestri le spie dell'esercito.
Complessivamente, le aziende e le istituzioni israeliane hanno ricevuto più di 1,45 miliardi di dollari (1,20 miliardi di euro, N.d.T.) dall'UE nell'ambito di Horizon 2020. I preparativi per il suo programma successivo - Horizon Europe - sono ora in corso. E dei rappresentanti israeliani sono stati convocati per "colloqui esplorativi" sulla partecipazione. Le conversazioni informali - "due chiacchiere col caffè" se vuoi - sono un segno che l'UE vuole continuare a nutrire gli innovatori di Israele.
Per i funzionari di Bruxelles il futuro sembra così luminoso che devono indossare i paraocchi.
Fonte: Electronic Intifada
Traduzione di BDS Italia
AXA trae profitto danneggiando i diritti dei palestinesi. Unisciti alle migliaia di persone che dicono a AXA di disinvestire dall’apartheid israeliana!
La compagnia di assicurazioni multinazionale francese AXA è stata al centro di una mobilitazione internazionale online il 30 novembre contro le complicità della compagnia nell'occupazione e nel progetto delle colonie illegali israeliane. Gli attivisti in Europa e nel mondo chiedono di firmare un impegno e unirsi alla campagna "per boicottare AXA e rifiutare di acquistare i suoi prodotti assicurativi" fino a quando AXA non terminerà il suo sostegno all'apartheid israeliano contro il popolo palestinese".
Una coalizione crescente di gruppi in Europa e nel mondo conduce una campagna dal 2018 affinché AXA disinvesta dalle banche israeliane che finanziano gli insediamenti illegali di Israele e dal produttore di armi israeliano Elbit Systems. L'azione online che si oppone alla complicità di AXA arriva mentre Israele, incoraggiato dal sostegno di Trump, sta accelerando il sequestro della terra palestinese e la pulizia etnica delle comunità palestinesi, e procede con la costruzione di un numero record di insediamenti illegali su terra palestinese rubata.
Anche prima dell'azione online, quasi 10.000 persone e oltre 230 organizzazioni e imprese hanno firmato l'impegno negli ultimi mesi. Tra le organizzazioni firmatarie ci sono Sabeel-Kairos UK, l‘Università Benedettina degli Stati Uniti, il sindacato francese Union Syndicale Solidaire e la belga Coordination Nationale d'Action pour la Paix et la Démocratie. Gli attivisti in Belgio, Italia, Irlanda, Francia, Germania e Stato spagnolo hanno inviato la lettera con i firmatari ai CEO di AXA nei rispettivi paesi. Inoltre, decine di persone e organizzazioni hanno annullato le loro polizze assicurative AXA, comprese le ONG belghe Viva Salud e Intal Globalize Solidarity.
Nel firmare l’impegno a boicottare AXA, lo studioso e attivista statunitense Noam Chomsky ha dichiarato:
"L'insediamento [israeliano] in Cisgiordania è un'impresa criminale, anche senza contare i gravi abusi quotidiani. Qualsiasi sostegno è la partecipazione a un'importante impresa criminale in atto. Il ritiro di tale sostegno mediante boicottaggio e disinvestimento è l'unica strada onorevole."
AXA 7 milioni di dollari in tre banche israeliane - Bank Leumi, Israeli Discount Bank e Mizrahi Tefahot Bank - che finanziano gli insediamenti illegali di Israele. Tutti e tre sono citate nel database delle Nazioni Unite delle società che sono complici nel progetto degli insediamenti illegali di Israele. AXA mantiene anche una partecipazione del 9% in Equitable Holdings, una società che investe in queste banche israeliane e in Elbit Systems, un importante produttore di armi israeliano coinvolto in crimini di guerra israeliani contro i palestinesi.
Mantenendo gli investimenti nelle banche israeliane e in Elbit Systems, dicono gli attivisti, AXA è anche in contraddizione con i suoi impegni dichiarati per la responsabilità sociale d’impresa.
Ad esempio, AXA ha recentemente lanciato un'iniziativa sull'importanza di affrontare le sfide della salute mentale in Europa, ma le politiche di occupazione e insediamento di Israele, che gli investimenti di AXA sostengono, sono la causa principale dei problemi di salute mentale dei palestinesi.
Samah Jabr, presidente dell'Unità di salute mentale presso il Ministero della Salute palestinese, afferma:
"L'occupazione israeliana ha devastato la salute mentale in Palestina negli ultimi 72 anni attraverso una brutale violenza sistemica - comprese guerre diffuse, torture, detenzione, demolizione di case, restrizione dei movimenti e distruzione del nostro tessuto economico e sociale; l'occupazione è un attacco sistemico al benessere che non ha lasciato indenne nessun palestinese."
AXA promuove il suo impegno nell'affrontare il cambiamento climatico e investire in attività verdi. Eppure AXA investe in società israeliane che stanno armando Israele, finanziando i suoi insediamenti illegali e saccheggiando la terra e le risorse naturali palestinesi, aggravando la crisi climatica che i palestinesi devono affrontare.
Thomas Guyon della Coalizione Stop AXA Assistance to Israeli apartheid ha dichiarato:
"Sotto la pressione degli attivisti, negli ultimi due anni AXA ha ridotto in modo significativo la sua partecipazione in Equitable Holdings, mentre un'altra società sussidiaria, interamente di proprietà di AXA, ha disinvestito completamente da Elbit Systems. Tuttavia, chiediamo che AXA ora disinvesta completamente dalle società che supportano l'apartheid israeliano e non ci fermeremo finché non lo farà."
A ottobre, Liverpool, Regno Unito, ha annullato la fiera delle armi programmata da Electronic Warfare Europe (EWE). La cancellazione di Siviglia segue le proteste di varie organizzazioni progressiste contro la guerra e contro il razzismo.
Con un comunicato stampa diffuso oggi dal Consiglio comunale di Siviglia, l'Assessore all'edilizia urbana, turismo e cultura, Antonio Muñoz, ha annunciato la cancellazione della fiera delle armi Electronic Warfare Europe che avrebbe dovuto svolgersi nel maggio 2021 a Siviglia, presso il Palazzo delle mostre e dei congressi di Fibes.
La stessa fiera era stata cancellata a Liverpool, nel Regno Unito, dove era partner Elbit Systems, il più grande produttore privato israeliano di strumenti bellici, le cui armi sono regolarmente utilizzate dai militari israeliani per uccidere e mutilare civili palestinesi. La cancellazione di Liverpool è arrivata dopo che una forte coalizione locale - Liverpool Against the Electronic Arms Fair /Liverpool contro la fiera delle armi elettroniche, N.d.T.), in collaborazione con Palestine Solidarity Campaign (Campagna di solidarietà per la Palestina, N.d.T.), Campaign Against Arms Trade (Campagna contro il commercio delle armi, N.d.T.) e Campaign for Nuclear Disarmament (Campagna per il disarmo nucleare, N.d.T.) - ha sollecitato il Consiglio comunale di Liverpool ad annullare l'evento immorale che promuove violazioni dei diritti umani.
Citando la cancellazione da parte di Liverpool e temendo ripercussioni negative per la città, il Consiglio comunale di Siviglia ha sostenuto che la decisione del governo risponde alla "non opportunità di connettere l'immagine della città come grande sede congressuale per un evento controverso con ripercussioni nazionali e internazionali".
Platform Stop Ferias de Armas ha salutato la cancellazione da parte di Siviglia della fiera delle armi dicendo:
Non vogliamo essere complici con chi usa le armi per reprimere i popoli oppressi come i palestinesi o gli yemeniti. Le istituzioni spagnole non devono permettere fiere delle armi nei loro spazi.
Hanno aggiunto:
Ci auguriamo che il Consiglio comunale [di Siviglia] sia coerente e annulli anche Aerospace and Defense Meetings Seville 2021 (Meeting Aerospaziale e sulla Difesa Siviglia 2021, N.d.T.), sponsorizzato da Airbus, una società che trae profitto dai crimini di guerra nello Yemen.
In un brevissimo periodo di tempo, Platform Stop Feria de Armas en Sevilla, costituita da oltre venti organizzazioni, ha mobilitato una forte opposizione sociale, inviando una lettera al sindaco di Siviglia, organizzando un webinar pubblico sul militarismo, con ampia copertura sulla stampa tradizionale, e si era coordinato con i partiti politici locali ugualmente contrari alla fiera delle armi.
Alys Samson Estapé, parlando a nome del movimento BDS per i diritti dei palestinesi, che ha organizzato campagne di boicottaggio e disinvestimento contro Elbit Systems e altre aziende militari israeliane, ha dichiarato:
I gruppi progressisti, contrari alle guerre e al razzismo, stanno scacciando le fiere delle armi fuori dall'Europa, prima Liverpool e ora Siviglia. Non c'è posto per le armi nelle nostre città. Invece di consentire le fiere delle armi, le istituzioni dovrebbero porre fine a tutto il commercio di armamenti con regimi oppressivi come Israele, che testano le loro armi sui palestinesi, e poi le vendono per reprimere il dissenso in tutto il mondo.
Fonte: BNC
Traduzione di BDS Italia