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Caccia addestratore M-346 dell’Alenia Aermacchi, gruppo Leonardo
Cinquant’anni di occupazione militare della Cisgiordania da parte di Israele. Che, nel frattempo, si arma. Riarma. E fa accordi in ambito di difesa, sicurezza, produzione e import-export di armi.
Jeff Halper, 20 agosto 2017
Israele è riuscito a trasformare 50 anni di resistenza palestinese all’occupazione in lavoro a domicilio ed ora vende al mondo intero il concetto di stato di polizia.
Leggi: L’Europa non deve comprare ciò che Israele vende per combattere il terrorismo
Gli attivisti francesi della campagna di Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS) stanno accogliendo la decisione del loro governo di non spendere più di $100 milioni in droni israeliani.
Questa è la seconda rilevante sconfitta per la Elbit Systems israeliana, che l'anno scorso ha perso una importante gara che si era proposta di vincere colla vendita alla Francia del suo drone Watchkeeper.
Questa volta, la Elbit partecipava ad una gara per vendere il suo drone Skylark all'esercito francese, ma il 5 gennaio, l'agenzia francese per gli acquisti militari ha aggiudicato l'appalto all'industria rivale Thales.
Da: Al-Shabaka (Leggi anche Parte I e Parte II)
Al- Shabaka è un'organizzazione no profit indipendente la cui finalità è educare e rafforzare la discussione pubblica sui diritti umani e l'autodeterminazione dei palestinesi nel quadro delle leggi internazionali.
In questo editoriale politico di Al-Shbaka Maren Mantovani e Jamal Juma analizzano alcuni sviluppi che il complesso militare industriale di Israele deve affrontare, con una particolare attenzione alla campagna contro Elbit Systems. L'editoriale analizza i momenti difficili che l'industria si trova di fronte, il mito della superiorità tecnologica di Israele, i cambiamenti locali e globali dell'industria e le alleanze emerse per opporsi alla militarizzazione ed alle tendenze sicuritarie nelle varie società. In base a questa analisi delineano indicazioni preziose ed identificano percorsi da seguire per il movimento globale di solidarietà con la Palestina.
Leggi: Analisi: La "S" di BDS: Lezioni da trarre dalla campagna contro la Elbit Systems (III parte)
Un tecnico dell'industria aerospaziale israeliana lavora a un drone Heron in un hangar nel complesso industriale IAI. 27 aprile 2015. (AFP/Jack Guez).
Da: Al Shabaka (Leggi anche Parte I e Parte III)
Al- Shabaka è un'organizzazione no profit indipendente la cui finalità è educare e rafforzare la discussione pubblica sui diritti umani e l'autodeterminazione dei palestinesi nel quadro delle leggi internazionali.
In questo editoriale politico di Al-Shbaka Maren Mantovani e Jamal Juma analizzano alcuni sviluppi che il complesso militare industriale di Israele deve affrontare, con una particolare attenzione alla campagna contro Elbit System. L'editoriale analizza i momenti difficili che l'industria si trova di fronte, il mito della superiorità tecnologica di Israele, i cambiamenti locali e globali dell'industria e le alleanze emerse per opporsi alla militarizzazione e alle tendenze sicuritarie nelle varie società. In base a questa analisi essi delineano indicazioni preziose ed identificano percorsi da seguire per il movimento globale di solidarietà con la Palestina.
Leggi: Analisi: La "S" di BDS: lezioni da trarre dalla campagna contro la Elbit Sistem (II parte)
Un jet F-16 israeliano da combattimento decolla nel corso di una dimostrazione per i media stranieri alla base aerea di Ramon nel deserto del Negev, nel sud di Israele, 2013
Da: Al-Shabaka (Leggi anche Parte II e Parte III)
Al-Shabaka è un'organizzazione indipendente senza scopo di lucro la cui missione è di educare e stimolare il dibattito pubblico sui diritti umani palestinesi e sull'autodeterminazione nel quadro del diritto internazionale.
In questo documento programmatico di Al-Shabaka, Maren Mantovani e Jamal Juma analizzano alcune delle congiunture che il complesso militare industriale di Israele si trova ad dover affrontare, con un focus particolare sulla campagna contro la Elbit Systems.
Leggi: Analisi: La "S" in BDS: L’insegnamento della Campagna della Elbit Systems (Parte I)
Scheda informativa dell'European Coordination of Committees and Associations for Palestine (ECCP)
I fondi di ricerca dell'UE sono stati una fonte molto importante di finanziamento per gli accademici, le aziende e istituzioni statali israeliane. Anche se Israele non è un paese dell'UE, dal 1995 i candidati israeliani sono stati in grado di accedere ai fondi di ricerca dell'UE sulla stessa base degli stati membri dell'UE attraverso l'Accordo di Associazione UE Israele. Durante l'ultimo ciclo di ricerca che è decorso dal 2007 al 2013, noto come il FP7, una quota significativa dei fondi è andato a candidati israeliani. In effetti, degli oltre 200 progetti di ricerca sulla sicurezza nel ciclo di finanziamento dell'FP7, uno su cinque includeva un partner israeliano. (i)
Nel programma Horizon 2020, sono disponibili 77 miliardi di euro per borse di ricerca per il periodo 2013 - 2020. I fondi per la ricerca sono strettamente destinati ad applicazioni civili. Nessun fondo dovrebbe essere assegnato per impieghi militari.
Molti candidati israeliani hanno già ottenuto i fondi di Horizon 2020, comprese le società militari israeliane come la Elbit e Israel Aerospace Industries (IAI). Ci sono già stati 162 progetti in cui hanno partecipato aziende israeliane, con un budget di circa 452.300.000 euro (ii). Mentre i fondi per la ricerca sono stati presumibilmente assegnati solo per progetti con applicazioni civili, molti dei progetti sono del tipo a duplice impiego, alimentando interrogativi sul fatto che i fondi siano in realtà utilizzati per sostenere applicazioni militari, o che lo possano essere in futuro.
Quali sono le attività con duplice impiego (prodotti, servizi o tecnologie)?
Attività con duplice impiego sono costituite dai prodotti, inclusi software e tecnologie, che possono avere un utilizzo sia civile che militare. Si tratta di prodotti o tecnologie di base o generici che possono avere applicazioni sia civili che militari. Gli esempi includono: sistemi senza pilota (come droni), la robotica, la nano-elettronica, tecnologie dell'informazione e della comunicazione (TIC), i sensori, lo stoccaggio di energia, la fotonica, la stampa 3D e la biometria.
di Francesco Martone
Sicurezza, parola diventata mantra compulsivo in ogni teoria e attuazione pratica per politica, relazioni internazionali, diritto, economia. Una parola che è come un elastico, la tiri a seconda del bisogno, e quando lo molli, i danni collaterali sono drammatici. Per questo ogni volta che si tratta di sicurezza, in un contesto di guerra asimmetrica che entra fin dentro casa nostra, lo si deve fare con grande cautela, definendone la subordinazione ai diritti umani ed al diritto internazionale. Fa quindi pensare che tra le carte e le agende di lavoro della Commissione Esteri del Senato compare un disegno di legge che dovrebbe richiamare la preoccupazione dei parlamentari e dell’opinione pubblica. E che invece per ora giace lì, acquattato tra i «file», non ancora discusso dopo essere stato presentato dal governo a febbraio scorso.
Spesso queste attese non sono casuali, ma scelte politiche. Come è il silenzio cui il governo Renzi ci ha fin troppo abituato, il far finta di nulla o tacere sulle continue violazioni dei diritti del popolo palestinese, la crescente radicalizzazione della destra israeliana, le reticenze di Nethanyahu ad accettare ogni mediazione internazionale per metter fine all’occupazione militare della Palestina.
Leggi: All’import-export del «modello» israeliano. DDL al Senato
Come risponde il governo Renzi all’appello di 168 accademici italiani che invitano a boicottare le università israeliane coinvolte nella ricerca e produzione di sistemi di guerra impiegati contro il popolo palestinese? Inviando la ministra della difesa Roberta Pinotti a rendere omaggio alle maggiori autorità israeliane e rafforzare la partnership tra le forze armate e il complesso militare-industriale di Italia e Israele.
Il 29 febbraio scorso Roberta Pinotti è giunta a Tel Aviv per un vertice con il ministro alla guerra israeliano Moshe Ya’alon.“Una maggiore collaborazione fra Italia e Israele rappresenterebbe un fattore di innovazione e tradizione”, ha spiegato la ministra. “Israele è un Paese tradizionalmente vicino all’Italia con il quale esiste da tempo una elevata collaborazione nel campo della Difesa, così come il comune interesse di creare uno spazio di pace e sicurezza durevole in Medio Oriente”. Il patto di cooperazione militare tra Italia e Israele, firmato nel 2003, è finalizzato “all’interscambio di materiali di armamento, alla formazione e all’addestramento del personale e alla ricerca e sviluppo in campo industriale”. In particolare, le forze armate dei due paesi collaborano fattivamente nei settori dell’intelligence e dell’addestramento aereo, marittimo e subacqueo. L’ultima grande esercitazione bilaterale (Rising Star) risale all’ottobre 2015, quando l’unità “Anteo” e un commando del Comsubin (il Comando Subacquei e Incursori della Marina militare italiana) si sono addestrati con le forze speciali israeliane nel porto di Haifa.
Come riportato dal sito del ministero della difesa italiano, durante l’incontro con Moshe Ya’alon, la Pinotti ha espresso la “piena disponibilità del governo italiano a consolidare la collaborazione in atto tra le forze armate dei due Paesi al fine di contribuire a migliorare il livello di interoperabilità anche in relazione alla condivisione del medesimo scenario geo‐strategico”. La titolare del dicastero ha inoltre ricordato “la pluriennale e radicata presenza militare italiana in Israele, con la partecipazione alle missioni UE, multinazionali e bilaterali, indirizzate sia a monitorare la situazione della sicurezza, sia a favorire la formazione di reali capacità palestinesi nei settori del controllo dei confini e, soprattutto, delle forze di polizia (con la missione MIADIT Palestina)”.
Leggi: La Pinotti in Israele per rafforzare il patto con militari e industrie d’armi
di Antonio Mazzeo
Ammonta a quasi 79 miliardi di dollari il budget finanziario che il governo israeliano ha destinato alle forze armate nei prossimi cinque anni; la metà di essi serviranno a implementare il cosiddetto “Piano Gideon” finalizzato ad accrescerne le capacità di combattere contemporaneamente in più teatri di guerra, “con un arsenale militare idoneo a protrarre gli interventi sia lungo il confine settentrionale con il Libano e la Siria che in altre aree conflittuali come la Striscia di Gaza, la West Bank o in Iran”. Secondo quanto dichiarato dal portavoce del ministero della difesa israeliano, il “Piano Gideon” prevede un’elevata prontezza, un’esemplificazione organizzativa, avanzate capacità di combattimento aereo, marittimo, terrestre e sottomarino, nuove infrastrutture “per rendere più efficiente il controllo delle frontiere”, tagli agli organici del personale militare professionale o di leva, dei servizi di supporto e di quelli non legati direttamente alle operazioni di guerra. Gli strateghi militari di Tel Aviv puntano poi a sviluppare le performance dei centri strategici e delle reti informatiche, creando un Joint Cyber Command che centralizzi tutte le operazioni “offensive” d’intelligence e di raccolta dati sino ad oggi assegnate a diversi soggetti militari. Con il “Piano Gideon” sarà ulteriormente potenziata la dotazione missilistica avanzata grazie all’acquisizione di nuove batterie del sistema di difesa aerea “Iron Dome”, all’installazione dei nuovi sistemi anti-missile a corto e medio raggio “David’s Sling” e “Arrow-3”, all’ammodernamento dell’“Arrow-2” già operativo da alcuni anni, ecc.