“La Palestina rimane un importante campo di prova per la repressione globale, dalla fortezza europea agli Stati Uniti, dall'India al Myanmar, dal Brasile al Sudan del Sud. Per questo, e per molti altri motivi, abbiamo una profonda responsabilità nel sostenere la lotta palestinese per la libertà, la giustizia e l'uguaglianza.”
Con queste parole, pronunciate in un video-spot da Angela Davis, si apre l’Israeli Apartheid Week 2021, la settimana organizzata ogni anno dal movimento BDS (Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni) per sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema dell’apartheid israeliano. Il webinar tenuto il 18 marzo ha visto la partecipazione di importanti ospiti che, provenienti dai più disparati ambiti della società civile italiana e palestinese, hanno presentato il Dossier “embargo militare contro Israele”, l’ultimo lavoro firmato BDS. All’interno del Dossier viene esposto, in maniera molto approfondita, il ruolo cruciale che la forza e la tecnologia rivestono per Israele nel perpetuare l’occupazione militare e il regime di apartheid. Questo non riguarda solo la Palestina e la pulizia etnica che da 72 anni va avanti in quella terra, ma ogni parte del mondo. Israele, infatti, è uno dei maggiori esportatori di armi, in particolare in paesi dove sistematicamente vengono violati i diritti umani. Nonostante ciò, i legami commerciali, accademici, scientifici e militari tra Israele, l’Italia e l’UE rimangono molto stretti. E’ necessario, dunque, fare una decisa opera di pressione sui nostri governi, col fine di interrompere i rapporti con un regime che rappresenta un serio ostacolo alla pace nel mondo. Da anni ce lo chiede la società civile palestinese e numerose ONG per i diritti umani, non facciamo ancora attendere la nostra risposta.
Perché un embargo militare contro Israele?
Il primo intervento è quello di un gigantesco Moni Ovadia, il quale si focalizza su una questione cruciale: come mai Israele, nonostante i suoi crimini, gode di una totale impunità, dalla politica al mondo accademico. Il motivo per cui anche molti intellettuali non conformisti si auto-censurano sulla questione palestinese è l’errata identificazione di Israele con l’ebraismo. Così, spiega Ovadia, agisce la macchina di propaganda del governo israeliano: “criminalizzare tutti coloro che criticano l’ideologia sionista o le azioni contro il popolo palestinese, dall’apartheid alla sperimentazione di armi”. Si tratta dunque di fare un intenso e vasto lavoro culturale per abbattere definitivamente questo muro di gomma. “Io non taccerò mai”, dice l’artista, “perché i valori che ho imparato dall’ebraismo e dal marxismo mi impongono di parlare. E moltissimi come me.”
Segue l’intervento del professore ed editore italo-palestinese Wasim Dahmash, il quale illustra come Israele abbia contribuito a diversi genocidi nel mondo, finanziando i regimi che li hanno perpetuati. Dal genocidio dei tutsi tra il Ruanda e la Repubblica Democratica del Congo, paesi a cui Israele fornisce armi in cambio delle loro materie preziose (diamanti in primis), al genocidio dei rohingya, la minoranza musulmana in Myanmar, a cui Israele vende ininterrottamente armi dagli anni ’50. Dunque Dahmash pone una domanda: “come si può essere complici di Israele?”.
Tra gli altri interventi, quello del ricercatore e giornalista Antonio Mazzeo il quale si concentra sull’ultra militarizzazione della società israeliana, presente perfino nell’istruzione dove, fin da piccolissimi, i bambini vengono abituati a stare costantemente attenti ad un nemico interno. Il terrore e la disumanizzazione dell’altro con cui cresceranno li porterà a guardare positivamente il ruolo del militare e le guerre in generale.
Presente al webinar anche Samed Ismail del movimento “A Foras”, contro l’occupazione militare in Sardegna. Samed descrive molto dettagliatamente come la Sardegna e la Palestina siano profondamente legate tra loro. Da Gaza alla base militare di Teulada e il poligono di Salto di Quirra, vengono testate nuove armi da vendere successivamente in giro per il mondo. Inoltre, esiste una stretta correlazione temporale tra le esercitazioni militari in Sardegna e le aggressioni israeliane contro la Striscia di Gaza, dall’Operazione Piombo Fuso (2008-2009) all’Operazione Margine di Protezione (2014).
L’attivista Majed Abusalama, l’ultimo ad intervenire, porta invece al webinar una preziosa testimonianza, un video di pochi secondi in cui è inquadrato il padre svolgere nella sua abitazione a Gaza dei normalissimi lavori domestici. Nulla di strano se non fosse per un costante e assordante rumore di fondo, un fastidiosissimo ronzio che catalizza su di sé tutta l’attenzione di chi guarda il video. Si tratta dei famigerati droni israeliani, in volo 24 ore su 24 nel cielo di Gaza. Esportati in tutto il mondo, anche nell’Unione Europea per respingere i migranti sulla rotta balcanica, i droni israeliani hanno la peculiarità di essere stati testati non solo sul campo ma anche sulla vita delle persone, come mostra il video del padre di Abusalama, prima di essere venduti ad altri paesi. Così nasce il movimento gazawi “We Are Not Numbers”, guidato dallo stesso Majed Abusalama, per far arrivare al mondo la voce di chi è costretto a vivere nella più grande “prigione a cielo aperto” senza poter denunciare la propria oppressione.
Dunque perché un embargo militare contro Israele? Perché Israele pratica un feroce regime di segregazione razziale e di apartheid contro il popolo palestinese, come recentemente dichiarato anche dall’ONG israeliana per i diritti umani B’Tselem; perché porta avanti un’occupazione militare e pulizia etnica da 72 anni; perché possiede un armamento oltre ogni limite, spendendo tra il 6,5 e l’8,5 % del suo PIL per il settore militare; perché esporta armi in ogni paese, regimi militari inclusi, contribuendo enormemente all’instabilità non solo nella regione medio orientale ma in tutto il mondo; perché sperimenta armi sulla popolazione civile; perché commette un elenco lunghissimo di crimini di guerra e, soprattutto, perché non ne deve mai rendere conto a nessuno, godendo di un’esclusiva totale impunità. I nostri governi sono complici di tutto questo e spetta a noi, società civile, far pressione su di loro per bloccare ogni relazione con un regime di apartheid quale è Israele, finché questo non riconoscerà uguali diritti umani a tutti gli abitanti della Palestina storica, non si ritirerà da tutti i territori occupati, non consentirà il ritorno dei profughi e non libererà i prigionieri politici.
Per maggiori informazioni è possibile acquistare il Dossier “Embargo militare contro Israele” scrivendo un’email a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
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