LIBERTÀ. GIUSTIZIA. UGUAGLIANZA.

Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni per i diritti del popolo palestinese.

Notizie BDS

Notizie internazionali del movimento globale BDS.

Il rapporto della missione annuale, che viene redatto da tutti i rappresentanti di ciascuna missione diplomatica degli stati membri della UE nei territori dell’Autorità Palestinese, usa espressioni molto forti ed è molto critico sulle politiche di Israele nelle zone di e intorno a Gerusalemme. Ripete la posizione delle Conclusioni del Consiglio UE di dicembre 2012 sugli insediamenti che affermava:

“L’Unione Europea è profondamente sgomenta e si oppone fortemente ai piani israeliani di espansione degli insediamenti in Cisgiordania compresa Gerusalemme Est, e in particolare ai piani di sviluppo dell’area E1”.

Aumentiamo la pressione! Manda un messaggio ai parlamentari europei chiedendo un loro impegno per la sospensione dell’Accordo UE-Israele e l’esclusione di aziende israeliane dai programmi europei.

I capi della missione UE 2012, nel rapporto su Gerusalemme, illustrano le preoccupazioni della UE che si oppone alle politiche israeliane all’interno e intorno a Gerusalemme Est.

Secondo il rapporto, Israele “mette in discussione sistematicamente la presenza Palestinese” a Gerusalemme, con politiche che comprendono “il circondare aree e pianificare in maniera restrittiva, demolizioni ed evacuazioni, accesso discriminatorio a siti religiosi, una ingiusta politica educativa, difficoltà di accesso alla cura della salute, e approvvigionamento  inadeguato delle risorse”.

In un durissimo rapporto, Bruxelles invita gli Stati membri a evitare investimenti che sostengano le politiche coloniali israeliane a Gerusalemme Est.

A meno di un mese dalla visita del presidente statunitense Obama in Israele e nei Territori Palestinesi Occupati, l'Unione Europea torna a criticare duramente la politica coloniale israeliana. (Leggi una sintesi del rapporto)

Aumentiamo la pressione! Manda un messaggio ai parlamentari europei chiedendo un loro impegno per la sospensione dell’Accordo UE-Israele e l’esclusione di aziende israeliane dai programmi europei.

Stavolta il target è Gerusalemme, città internazionale secondo le Nazioni Unite, ma unilateralmente e illegalmente annessa allo Stato di Israele nel 1967. In un nuovo rapporto pubblicato oggi, "Jerusalem Report 2012", Bruxelles definisce la colonizzazione della Città Santa "una deliberata e sistematica strategia" per impedire la creazione di uno Stato palestinese indipendente e per porre fine al progetto di una soluzione a due Stati.

"La più grande minaccia alla soluzione a due Stati", si legge nel rapporto, che indica una serie di raccomandazioni che gli Stati membri della UE dovrebbero assumere per fare pressioni politiche sulle autorità di Tel Aviv: tra queste, lo stop a investimenti e transazioni finanziarie che in qualche modo - diretto o indiretto - sostengano la colonizzazione israeliana di Gerusalemme attraverso infrastrutture, servizi e sostegno economico, e lo stop all'importazione dei prodotti delle colonie a prezzi di favore.

Quella dei ragazzi di Irvine è una bella storia. Una di quelle belle storie di giovani eroi e di grandi battaglie. Una di quelle belle storie di speranza, di creatività, di gioventù. Una storia cominciata nella piccola Irvine, una città suburbana nella ricca contea di Orange County, e raccontata di campus in campus attraversando l'America coast to coast.

Gli studenti del club Students for Justice in Palestine dell'Università di Irvine, da anni si impegnano per la sensibilizzazione del loro campus sulla questione palestinese. Molti di loro hanno origini palestinesi, siriane, egiziane, marocchine, pakistane. La maggior parte è nata in America, altri si son trasferiti che erano piccoli. Qualcuno in Medio Oriente non c'è mai stato, qualcuno ci torna tutti gli anni, qualcuno, come Sabreen, da due anni nella sua Damasco non ci può tornare. Omar è palestinese e sogna, un giorno, di poter tornare, nella sua terra, la Palestina.

La controversia continua a vorticare intorno a un forum programmato per giovedì 7 febbraio al Brooklyn College  per discutere il crescente movimento  globale di boiccotaggio, disinvestimento e sanzioni contro Israele.

In una lettera al Brooklyn College, la presidente Karen Gould e nove membri del Consiglio cittadino di New York, hanno minacciato di tagliare i fondi alla scuola se il dipartimento di scienze politiche dovesse continuare a co-sponsorizzare l’evento. La sera prima dell’incontro, però, la Gould ha difeso il suo diritto di tenere l’incontro, affermando che l’impegno del Brooklyn College  e il suo personale “ai principi della libertà accademica rimane  saldo.” Questa settimana, due consiglieri del municipio hanno rifiutato il loro appoggio alla lettera e perfino il sindaco Michael Bloomberg ha difeso il diritto del Brooklyn College  e dei suoi studenti a tenere l’incontro di protesta contro Israele.

Il rapporto del Consiglio Onu per i Diritti Umani apre a nuovi strumenti legali per sanzionare economicamente Israele e fornire mezzi alla campagna di boicottaggio.

di Michael Omer-Man

Gerusalemme, 5 febbraio 2013, Nena News - Il rapporto sulle colonie israeliane redatto dalla missione del Consiglio Onu per i Diritti Umani non è certo il più duro documento delle Nazioni Unite contro Israele. Ma l'ultimo paragrafo introduce un elemento che prima girava solo nei piccoli circoli di attivisti pro-palestinesi. Nella pratica, mette la "S" al BDS.

La campagna Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni ha ottenuto successi misti, ma limitati, dal lancio ufficiale di sette anni fa. Le campagne di boicottaggio e disinvestimento hanno registrato piccole vittorie dopo aver avuto come target fondi di investimenti, sistemi pensionistici, compagnie di trasporto che sostengono Israele nell'occupazione dei Territori Palestinesi, conferenze accademiche e eventi musicali e culturali. Ma molti osservatori ammetteranno che tali successi hanno portato a piccoli se non nulli cambiamenti nella politica israeliana e, di conseguenza, nella realtà palestinese.

Più di 50 organizzazioni palestinesi, che rappresentano uno spaccato della società civile palestinese, tra cui gruppi di donne e organizzazioni sindacali, e organizzazioni internazionali di solidarietà con la lotta palestinese per l'uguaglianza, la giustizia e la fine dell'occupazione israeliana della Palestina, hanno lanciato un appello alle donne e agli uomini di coscienza e ai gioiellieri di tutto il mondo perché rifiutino diamanti lavorati in Israele.

Samir Abed-Rabbo, uno dei coordinatori della campagna per il boicottaggio mondiale dei diamanti israeliani, ha dichiarato: "Le entrate dell'industria dei diamanti di Israele sono una delle principali fonti di finanziamento per l'esercito israeliano, che è accusato di crimini di guerra da parte del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite, di Amnesty International e di Human Rights Watch. I diamanti lavorati in Israele eludono le restrizioni a difesa dei diritti umani del sistema di certificazione del Kimberley Process, che vieta solo i cosiddetti "diamanti dei conflitti" o diamanti grezzi utilizzati dai gruppi ribelli per finanziare i conflitti contro i governi legittimi".

Inevitabilmente le campagne di boicottaggio verso colossi aziendali, per i possessori di concretezza, si portano dietro sempre un peso d’inconsistenza, fatto di poca lucidità, troppi ideali e mancanza di consapevolezza degli interessi da smuovere. È impossibile elencare tutti gli affari che la francese Veolia compie in giro per il mondo (opera in 77 Paesi), con un giro largo di tutto quello che è il servizio pubblico, lì dove il privato può metterci le mani: servizi idrici, trasporti pubblici e gestione dei rifiuti.

L’organizzazione palestinese Al Haq afferma che l’Europa ha l’obbligo secondo il diritto internazionale di mettere al bando il commercio che alimenta l’occupazione israeliana dei territori

L’Unione Europea deve vietare ai prodotti degli insediamenti israeliani l’ingresso nei suoi mercati, allo scopo di tagliare “una fonte vitale di introiti che permette agli insediamenti di prosperare”, afferma un rapporto dell’organizzazione palestinese per i diritti umani  Al Haq.

Il commercio, secondo le stime del Governo Israeliano, del valore di circa 300 milioni di dollari all’anno, è “una tappa essenziale nel processo di rinforzo e di consolidamento delle imprese degli insediamenti, mentre allo stesso tempo assicura la vitalità dell’intera strategia degli insediamenti”, secondo il rapporto, “Banchettando sull’Occupazione”.

di Emma Mancini

Bloccato fino a marzo il trasferimento delle tasse a Ramallah. Confische di terre, regime dei permessi e controllo dei confini. La Palestina legata a doppio filo a Tel Aviv.

A stretto giro dal riconoscimento della Palestina come Stato non membro delle Nazioni Unite, il governo israeliano ha messo in atto la solita punizione: il congelamento del trasferimento delle tasse palestinesi nelle casse dell’Autorità Nazionale Palestinese.

Il 12 dicembre il ministro degli Esteri israeliano, Avigdor Lieberman, ha annunciato lo stop del trasferimento fino a marzo. Una consistente somma di denaro: secondo il Protocollo di Parigi del 1995, sono le autorità israeliane a raccogliere le tasse pagate dai palestinesi e a girarle in un secondo momento all’ANP. Cento milioni di dollari al mese, che il governo di Ramallah impiega in gran parte per pagare i salari dei circa 153mila dipendenti pubblici.

Le imprese israeliane e internazionali soggette a critica a causa delle loro attività nei Territori palestinesi occupati della Cisgiordania spesso tentano di legittimare le loro attività negli insediamenti israeliani sostenendo che forniscono posti di lavoro ai palestinesi. Queste affermazioni sono palesi tentativi per distrarre l'attenzione pubblica dall’occupazione israeliana e dalle difficoltà quotidiane che affliggono i palestinesi, costretti a cercare di guadagnarsi da vivere nelle industrie israeliane, di solito negli insediamenti.

Who Profits (Chi trae profitti), un progetto di ricerca della Coalizione delle Donne per la Pace [1], è  impegnata ad esporre il coinvolgimento delle imprese nell'occupazione israeliana [2]. Nel corso delle nostre attività di ricerca abbiamo spesso incontro queste affermazioni, ma possiamo testimoniare che la realtà le smentisce”.

Condizioni di lavoro negli insediamenti

Nel 2011, 26.831 palestinesi hanno lavorato negli insediamenti israeliani in Cisgiordania con permessi di lavoro. Altri 10.000 palestinesi hanno lavorato in insediamenti senza permesso, la maggior parte dei quali nella Valle del Giordano durante la raccolta delle olive e dei datteri, ivi compresi minorenni dell’età di 12 anni in su [3]. Il 93% dei lavoratori palestinesi negli insediamenti non ha alcun sindacato o comitato che li rappresenti.[4] La stragrande maggioranza, compresi i lavoratori esperti e qualificati, guadagna stipendi al di sotto del salario minimo israeliano, in molti casi meno della metà. I salari sono spesso trattenuti, i diritti sociali vengono negati e sono esposti a pericoli sul posto di lavoro [5].