Le imprese israeliane e internazionali soggette a critica a causa delle loro attività nei Territori palestinesi occupati della Cisgiordania spesso tentano di legittimare le loro attività negli insediamenti israeliani sostenendo che forniscono posti di lavoro ai palestinesi. Queste affermazioni sono palesi tentativi per distrarre l'attenzione pubblica dall’occupazione israeliana e dalle difficoltà quotidiane che affliggono i palestinesi, costretti a cercare di guadagnarsi da vivere nelle industrie israeliane, di solito negli insediamenti.
Who Profits (Chi trae profitti), un progetto di ricerca della Coalizione delle Donne per la Pace [1], è impegnata ad esporre il coinvolgimento delle imprese nell'occupazione israeliana [2]. Nel corso delle nostre attività di ricerca abbiamo spesso incontro queste affermazioni, ma possiamo testimoniare che la realtà le smentisce”.
Condizioni di lavoro negli insediamenti
Nel 2011, 26.831 palestinesi hanno lavorato negli insediamenti israeliani in Cisgiordania con permessi di lavoro. Altri 10.000 palestinesi hanno lavorato in insediamenti senza permesso, la maggior parte dei quali nella Valle del Giordano durante la raccolta delle olive e dei datteri, ivi compresi minorenni dell’età di 12 anni in su [3]. Il 93% dei lavoratori palestinesi negli insediamenti non ha alcun sindacato o comitato che li rappresenti.[4] La stragrande maggioranza, compresi i lavoratori esperti e qualificati, guadagna stipendi al di sotto del salario minimo israeliano, in molti casi meno della metà. I salari sono spesso trattenuti, i diritti sociali vengono negati e sono esposti a pericoli sul posto di lavoro [5].
Per lavorare negli insediamenti, i palestinesi devono ottenere i permessi di lavoro dall'Amministrazione Civile dell'Esercito israeliano, il che comporta anche l'approvazione da parte dei Servizi segreti interni israeliani (lo Shin Bet). Il permesso può essere annullato in qualsiasi momento, in particolare quando i lavoratori rivendicano i propri diritti o tentano di organizzarsi in sindacati, o se loro (o uno dei propri familiari) intraprendono qualsiasi tipo di attività politica. Questa situazione espone i lavoratori palestinesi ad azioni di ricatto da parte dei servizi segreti interni israeliani.[6] Altre gravi violazioni dei diritti dei lavoratori in Cisgiordania sono possibili anche perché raramente le leggi per i lavoratori di Israele, che vigono per le imprese negli insediamenti, si applicano nei Territori palestinesi occupati, e i lavoratori non possono rivendicare tali diritti per paura di perdere il permesso. Inoltre, i datori di lavoro israeliani spesso assumono attraverso fornitori di manodopera palestinese, e questo rende i lavoratori più vulnerabili alle violazioni dei diritti.[7]
L'industria negli insediamenti e le aziende per lo sfruttamento - Parlando a nome dei lavoratori
Un’impresa che opera illegittimamente non può pretendere di acquisire legittimità a nome dei lavoratori e a loro spese. Il caso degli sweatshop, aziende per lo sfruttamento è un buon esempio di attività aziendale illegittima che non può essere giustificata perché crea posti di lavoro per chi ne ha bisogno. Così come nel il caso delle aziende negli insediamenti, gli sweatshop per ottenere minori costi di produzione, realizzano i loro prodotti in aree di lavoro a basso costo [8]
I datori di lavoro israeliani, che impiegano i palestinesi negli insediamenti, hanno un chiaro interesse economico nel mantenere l’occupazione della terra palestinese e lo sfruttamento delle risorse. Le aziende scelgono di situare le fabbriche nella Cisgiordania occupata principalmente al fine di usufruire dei benefici economici previsti dal governo israeliano, oltreché per avere accesso a manodopera palestinese a basso costo e ai benefici indiretti derivanti dell’operare in zone industriali dove sono bassi gli standard per la sicurezza dei lavoratori e per l’ambiente e scarsi i controlli sulla applicazione delle leggi. [9]
Proprio come nei Territori palestinesi occupati, anche nei paesi del mondo in via di sviluppo le imprese che sfruttano la manodopera affermano di migliorare le condizioni immediate per i lavoratori. [10] Tuttavia, queste giustificazioni non sono state accettate da organizzazioni internazionali come le Nazioni Unite, le associazioni per i diritti umani e i sindacati, che hanno ritenuto grandi aziende - tra cui The Walt Disney Company, Nike e Walmart - responsabili delle loro azioni.[11]
La posizione dei lavoratori palestinesi per quanto riguarda l’industria degli insediamenti
Se si considera la difficile situazione economica nei Territori palestinesi occupati, lavorare in un insediamento può sembrare una scelta ragionevole, o almeno sopportabile per alcuni lavoratori palestinesi. Eppure, secondo uno studio condotto dal Dr. Majid Sbeih della Al-Quds University per conto del Centro per la democrazia e i diritti dei lavoratori in Palestina, l'82% dei lavoratori palestinesi ha espresso il desiderio e la volontà di lasciare il proprio posto di lavoro negli insediamenti, a condizione che sia disponibile una valida alternativa. Tuttavia, valide alternative non si troveranno fino a quando l'economia palestinese sarà sotto occupazione.
Le imprese negli insediamenti sono responsabili della loro condotta e dovrebbero essere chiamate a rispondere di essa. Questi datori di lavoro non possono pretendere di rappresentare gli interessi e la posizione dei lavoratori palestinesi in qualsiasi modo. Ed in fatti, tutti i sindacati palestinesi, e quasi tutte le organizzazioni della società civile palestinese, compresi i partiti politici, sostengono l'appello palestinese per il boicottaggio, disinvestimento e sanzioni (BDS) come articolato da parte del Comitato Nazionale palestinese per il BDS (BNC). [12]
Non esiste libera scelta: Il mercato palestinese dopo 45 anni di occupazione
La realtà politica dell'occupazione non consente ai lavoratori palestinesi di fare una libera e consapevole scelta per il proprio sostentamento. La maggior parte dei palestinesi è costretta a lavorare negli insediamenti, in quanto la propria economia è in rovina, dopo 45 anni di occupazione militare israeliana. Le stesse autorità israeliane hanno riconosciuto pubblicamente l’impatto della propria politica oppressiva sul mercato palestinese. Dopo la Prima Intifada, il Ministro della Difesa israeliano Moshe Arens ha nominato una commissione incaricata di "esaminare i mezzi per sviluppare l'economia della Striscia di Gaza". La commissione Sadan, come è stato chiamata, ha articolata una delle dichiarazioni più rivelatrici sulla politica di Israele nei confronti dell’economia palestinese:
Non è stata data priorità alla promozione dell'imprenditorialità locale o del settore industriale nella Striscia di Gaza. Inoltre, le autorità hanno scoraggiato iniziative di questo tipo ogni volta che esse minacciavano di competere con le aziende israeliane esistenti sul mercato israeliano . [13]
Istituzioni finanziarie internazionali, tra cui la Banca Mondiale, hanno descritto l'economia palestinese come insostenibile. In un rapporto pubblicato nel settembre del 2012, la Banca Mondiale ha dichiarato che la forte dipendenza dell'economia palestinese dagli aiuti esteri rende la sua recente crescita insostenibile. Ha inoltre osservato che le restrizioni israeliane rimangono il più grande impedimento per investimenti in Palestina, in quanto creano un alto livello di incertezza e rischio. [14] L'analisi della Banca Mondiale mostra come l'attuale sistema di restrizioni, sia fisiche che amministrative, ostacola o impedisce investimenti palestinesi privati.[15]
Il documento che evidenzia le restrizioni strutturali imposte all'economia palestinese è il Protocollo di Parigi - l'allegato economico agli accordi di Oslo. Il Protocollo di Parigi pone Israele e i Territori palestinesi occupati sotto un sistema di tassazione congiunta, con la stessa moneta (New Israeli Shekel), e impone severe restrizioni sulla produzione, l'esportazione e l'importazione di merci da e per i Territori palestinesi occupati. Questo accordo commerciale non promuove veri liberi scambi, ma mira a proteggere le aziende israeliane e le multinazionali dalla concorrenza di industrie locali. Inoltre, questa situazione blocca lo sviluppo di un’economia palestinese indipendente e la mantiene come un mercato asservito alle aziende israeliane e internazionali. I palestinesi che non possono lavorare in Israele o negli insediamenti sono quindi privati della possibilità di guadagnarsi da vivere all’interno del mercato palestinese. [16] Nel secondo trimestre del 2012, i tassi di disoccupazione erano del 17,1% in Cisgiordania e del 28,4% a Gaza.[17]
I lavoratori palestinesi hanno perso la loro terra e i loro mezzi di sussistenza a causa dell'occupazione israeliana. L’11% dei palestinesi che lavorano negli insediamenti lavorano su terre confiscate originariamente di proprietà della propria famiglia o di un parente.[18]
Concedere ai palestinesi posti di lavoro sulla loro terra rubata è un altro insulto umiliante che sono costretti a subire pur di poter provvedere alle loro famiglie. I ricavi dell'industria degli insediamenti sono un risultato diretto dello sfruttamento spudorato di terra, forza lavoro e risorse naturali palestinesi. L’esistenza delle aziende negli insediamenti nei Territori palestinesi occupati permette, radica e perpetua l'occupazione israeliana.
Fonte: Who Profits
Traduzione di BDS Italia
Note:
[1] Fondata nel 2000, la “Coalizione delle donne per la pace”, che oggi è una voce di primo piano contro l'occupazione, si riconosce nei principi del femminismo e nella partnership ebraico-palestinese nel proseguire la propria lotta senza sosta per una pace giusta. Per ulteriori informazioni, si prega di visitare il sito: http://ww.coalitionofwomen.org.
[2] Vedi: http://whoprofits.org.
[3] Kav LaOved, L'occupazione dei palestinesi in Israele e negli insediamenti: politiche restrittive e abusi dei diritti, agosto 2012, 37. Inedito.
[4] Majid Sbeih, Lavoratori palestinesi negli insediamenti israeliani in Cisgiordania - Caratteristiche e realtà di lavoro, Centro per la democrazia e i diritti dei lavoratori in Palestina, in collaborazione con il Ministero palestinese del Lavoro, 2011. Inedito.
[5] Secondo il dottor Majid Sbeih (Ibid.), il 32% dei lavoratori palestinesi negli insediamenti è esposto a violenze psicologiche e nella stessa percentuale è esposto alla minaccia di confisca del permesso di lavoro, il 27% dei lavoratori palestinesi negli insediamenti è esposto, sulla base degli indicatori disponibili, a persecuzioni ed il 7% è vittima di violenza fisica.
Inoltre, il 56% dei lavoratori palestinesi, che ha subito infortuni sul lavoro negli insediamenti, ha dovuto coprire i costi delle propie cure mediche. Vedi anche: Kav LaOved 2012, 39.
[6] Nasouh Nazzal, Appello per la fine della manipolazione, Gulf News, 10 ottobre 2012, http://gulfnews.com/news/region/palestinian-territories/call-to-stop-israeli-manipulation-1.1087616. Vedi anche: Nadia Shabana, Lavoratori in Cisgiordania soffocati dalla stretta israeliana, Equal Times, November 20, 2012, http://www.equaltimes.org.
[7] Kav LaOved, 2012, 41.
[8] James Heintz, Produzione industriale e catene produttive globali a basso salario: un modello nella tradizione dello scambio ineguale, Cambridge Journal of Economics, 2006, 30, 507-520, http://relooney.fatcow.com/00_New_717.pdf
[9] B'Tselem, Con ogni mezzo necessario: La politica degli insediamenti israeliani in Cisgiordania, luglio 2010, 37-49.
[10] Nicholas Kristof, "Un invito a tutti i democratici," New York Times, 14 gennaio 2004, http://www.nytimes.com/
[11] Human Rights Watch, Scontare i diritti: Le violazioni di Wal-Mart del diritto di lavoratori statunitensi alla libertà di associazione, maggio 2007, http://www.hrw.org/reports/2007/us0507/index.htm
[12] Vedi: http://www.bdsmovement.net.
[13] Relazione della Commissione Sadan sull’area di Gaza, 1991, 11, citato in Arnon e Weinblatt, Sovranità e Sviluppo economico: il caso di Israele e Palestina, The Economic Journal 111, giugno 2001, 295. Citazione tradotta dall'ebraico dagli autori dell'articolo.
[14] Banca Mondiale, Crisi fiscale, prospettive economiche: L'imperativo per la coesione economica nei Territori palestinesi, settembre 2012, 4.
[15] Ibid.
[16] Ufficio centrale palestinese di statistica, Indagine sulla forza lavoro ottobre-dicembre 2011, 22 febbraio, 2012, 18, http://www.pcbs.gov.ps/.
[17] World Bank 2012, 6.
[18] Sbeih 2011.