LIBERTÀ. GIUSTIZIA. UGUAGLIANZA.

Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni per i diritti del popolo palestinese.

Notizie BDS

Notizie internazionali del movimento globale BDS.

Lunedì, 15 febbraio 2016, alle 6 circa, la giunta direttiva degli studenti universitari dell'UIC [Università dell'Illinois a Chicago. Ndtr.] ha votato all'unanimità una risoluzione per sollecitare l'università ad abbandonare ogni rapporto con società che traggono profitto dall'occupazione israeliana e da altre violazioni dei diritti umani.

La risoluzione di "UIC per Disinvestire" mira a porre fine alla complicità dell'UIC in investimenti nell'ambito di società multinazionali che traggono attivamente profitto e consentono le violazioni dei diritti umani, tra cui G4S [multinazionale inglese del settore della sicurezza], Hewlett-Packard [informatica], Caterpillar [macchinari per il movimento terra], Lockheed Martin, Boeing [imprese aeronautiche] e Foxconn [multinazionale taiwanese di apparecchi elettrici ed elettronici]. Nella risoluzione, si sottolinea anche la trasparenza, chiedendo all'università di condividere il suo quadro di investimenti con l'opinione pubblica e definire un ruolo per gli studenti nel comitato per gli investimenti del consiglio di amministrazione.

Le sanzioni non hanno distrutto il Sud Africa e l’Iran; e non distruggeranno Israele. Soprattutto, libereranno Israele dalla trappola dalla quale non è in grado di uscire da solo.

di Shlomo Sand

I media la definiscono l’intifada dei singoli. Ma tutti noi sappiamo che è innanzitutto un’ intifada dei giovani. La classe politica israeliana è convinta che [i giovani] vengano sobillati, ma chiunque voglia essere onesto con sé stesso sa che le ragioni reali della recente ondata di attacchi sono la persistente occupazione, le umiliazioni quotidiane, il vuoto esistenziale e la percezione di non avere nessuna via di uscita.

Poco distante dalle nostra vita quotidiana a Tel Aviv e a Haifa, un popolo privo dei diritti umani e privo dei più fondamentali diritti civili ha vissuto per circa mezzo secolo. Noi, gli israeliani, lavoriamo, studiamo e viviamo agiatamente e liberamente, mentre non lontano da noi un popolo è alla mercé dei soldati e della smisurata avidità per la terra dei coloni appoggiati dal governo.

I prof che lo hanno sottoscritto lamentano di essere stati censurati. La replica: «È un sito ufficiale e va utilizzato per dare notizia delle attività di ricerca»

Il rettore Elda Morlicchio chiede di rimuovere dal sito ufficiale del centro di studi postcoloniali, uno dei link della pagina online di ateneo, l’appello al boicottaggio dei prodotti israeliani e all’università l’Orientale divampa la polemica. La docente parla di uso improprio del sito, ma alcuni dei suoi colleghi l’accusano di censura.

Il caso è scoppiato ieri, ma affonda le sue radici nel 2014. Risale infatti a ben due anni fa la decisione del professore britannico Iain Chambers, sociologo ed esperto di studi culturali, volto molto noto nell’ex Collegio dei Cinesi, di pubblicare sulla pagina del centro studi postcoloniale e di genere, struttura di ricerca dell’ateneo, del quale è presidente, l’invito lanciato da gruppi ed associazioni, nell’ambito della campagna BDS (Boicottaggio, Disinvestimento, Sanzioni), a non comprare il «made in Israel». BDS sollecita ad evitare di acquistare merci di varia natura: stampanti, computer cosmetici,farmaci, prodotti agricoli. Accomunate, argomentano gli attivisti, dal lucrare sulla occupazione dei territori palestinesi, o perché realizzate in fabbriche all’interno delle colonie, o perché «finanziano il colonialismo», o per altri analoghi motivi. «Ci ispiriamo – sostengono i promotori di BDS – al movimento contro l’apartheid in Sudafrica e rispondiamo all’appello lanciato da centinaia di associazioni palestinesi». Piace anche a Chambers, quell’appello, e ad altri suoi colleghi del centro di studi postcoloniali. Lo collocano dunque in bella evidenza sul sito e lì resta praticamente per quasi due anni. Fino a ieri, però, quando lo stesso Chambers, su invito del rettore e con estremo disappunto, lo rimuove.

"Jewish Voice for Peace" e "Jews Say No!" si prendono la responsabilità per il falso 'NYT' che ha messo in luce la copertura mediatica tendenziosa su Israele/Palestina

di Adam Horowitz

Ieri abbiamo informato di un'edizione parodistica del New York Times distribuita nelle strade di New York. Da allora il finto giornale ha determinato titoli in prima pagina in tutto il mondo e l'account di Twitter e il sito web relativo a questa azione sono stati sospesi. Oggi, la sezione di New York di 'Jewish Voice for Peace' e l'organizzazione ' Jews Say No!' ["Voce ebraica per la pace" e "Gli ebrei dicono no!", due organizzazioni ebraiche nordamericane contrarie all'occupazione israeliana. Ndtr.] hanno rivendicato quest'azione. Ecco un comunicato stampa inviato dalle organizzazioni questa mattina:

(3 febbraio 2016) - Ieri diecimila copie di un supplemento speciale del New York Times dedicato ad Israele e Palestina sono state distribuite a NYC, mentre migliaia di versioni digitali sono state diffuse in internet. Il supplemento speciale, che era una parodia, include articoli come "Il Congresso discute dell'aiuto degli Stati uniti a Israele" e "Sulle orme di Mandela e di [Martin Luther] King: un movimento non-violento guadagna terreno da dieci anni,"  così come un editoriale: "La nostra nuova politica editoriale: ripensare a Israele-Palestina."

Un convegno a Milano, una due giorni per ritrovare l’essenza di una questione sempre più cruciale e sempre meno centrale

di Christian Elia

“Se questo fosse un conflitto, un faccia a faccia tra due contendenti, oggi celebreremmo un meeting post-mortem. Sarebbe come parlare di nativi americani, o degli ebrei dell’Olocausto. E invece no. Non è un confronto alla pari, non lo è mai stato. Non è solo un confronto tra israeliani e palestinesi, che sarebbe come uno scontro tra un camion e una bici. E’ molto di più”.

Michel Warschawski è uno degli ospiti della due giorni organizzata a Milano, dal titolo L’ultimo giorno di Occupazione sarà il primo giorno di Pace. Anima dell’Alternative Informatio Center, ex studente del Talmud, nato in Francia e immigrato in Israele da adolescente, militante politico e attivista anti-sionista, Warschawski continua a rappresentare l’Israele migliore. Quello che non si è fatto annientare dall’odio.

“Sempre più, i fattori internazionali hanno mutato questo confronto. Il declino dell’egemonia Usa sulla regione, l’emergere di tanti, troppi nuovi attori interessati ad assetti regionali e le primavere arabe. Tutto il contesto degli ultimi decenni è stato sconvolto”, sostiene Mikado, come lo chiamano in molti. “Mi è stato chiesto un bilancio delle cosiddette primavere arabe. Ma come si fa? Come si può immaginare di trarre bilanci di un processo rivoluzionario in soli cinque anni?”.

Perché per lui, questo funerale che si continua a celebrare, è prematuro. “Ricordo, durante i giorni di Piazza Tahrir, un’intervista all’inviato di una radio israeliana al Cairo. Un bravo ragazzo, non uno dei soliti fanatici pro governativi che mandiamo in giro. E questo ragazzo era colpito, dalla gente, dalla passione, da una piazza che rompeva gli stereotipi ai quali eravamo abituati. Il suo interlocutore, seccato, gli chiede – ma rispetto a noi? – e l’altro, stupito, risponde- niente – e l’intervista è finita. Perché per Israele, quel che accade nel mondo, è un trauma”.

Secondo Warschawski “la politica estera di Israele rispetto agli ultimi dieci anni è stata schiantata dai fatti. Non è stato capace di proteggere Mubarak e gli altri alleati, non è stato capace di impedire la distensione tra Usa e Iran. Perché mai gli Usa dovrebbero continuare a coprire di denaro un poliziotto locale che non riesce più a far bene il suo dovere? Israele, mentre il centenario equilibrio dell’accordo Sykes – Pikot è andato in pezzi, è rimasto impotente e smarrito”.

Illustre Signora Mogherini,

In nome delle nostre Associazioni, Ebrei contro l’Occupazione (ECO) e Salaam Ragazzi dell’Olivo (Comitato di Milano), vogliamo segnalarle che le decisioni della Commissione Europea nei riguardi della Palestina ed Israele sono del tutto inadeguate a far cessare le ingiuste, ed inumane, politiche di Israele contro i Palestinesi, sia quelli con cittadinanza israeliana, sia quelli residenti nei territori palestinesi occupati militarmente da Israele da ormai molti decenni.

Le azioni dei governi israeliani, dal 1948 a tutt’oggi, violano i più fondamentali diritti umani, civili e politici del popolo palestinese, e le numerose risoluzioni delle Nazioni Unite, dal 1947 ad oggi. I palestinesi sono stati cacciati dalla loro terra con l’occupazione militare iniziale del 1947-49 (sin da prima della proclamazione dello Stato di Israele), che ha visto anche il massacro di molte decine di migliaia di loro. Da allora, lo Stato di Israele continua ogni giorno a cacciare i Palestinesi dalla Cisgiordania e da Gerusalemme EST, e le uccisioni di Palestinesi negli attacchi con forze militari assolutamente preponderanti ed armi sofisticate contro Gaza ed in Cisgiordania hanno raggiunto numeri tali da guerra di un esercito moderno contro una popolazione civile.

La ONG israeliana Shurat HaDin sosteneva che un sindacato statunitense aveva violato il diritto del lavoro USA appoggiando il movimento per il boicottaggio anti-israeliano, ma il tribunale non ha accolto la richiesta.

Un centro legale israeliano che si autodefinisce "in prima linea nella lotta al terrorismo e nella salvaguardia dei diritti degli ebrei in tutto il mondo" ha perso una  causa  intentata contro un sindacato USA per aver aderito al boicottaggio contro Israele.

La causa era stata presentata dal centro di consulenza legale Shurat HaDin contro il sindacato United Electrical, Radio and Machine Workers of America (UE), dopo che questo durante la sua convenzione nazionale nell'agosto 2015 aveva aderito al movimento Boicottaggio, disinvestimento e sanzioni (BDS).

La UE, che rappresenta circa 35.000 lavoratori nei settori industriale, pubblico e non profit, è stato il primo sindacato nazionale americano ad appoggiare il BDS, che propone i boicottaggi come mezzo per spingere Israele a ritirarsi dai territori occupati.

di Ali Abunimah

Human Rights Watch chiede ad ogni impresa di interrompere completamente le proprie attività economiche nelle colonie israeliane nella Cisgiordania occupata, compresa Gerusalemme.

In un rapporto pubblicato martedì [12 gennaio 2016] l'organizzazione di New York ha anche sollecitato i governi a interrompere l'aiuto a Israele.

"Gli affari delle colonie inevitabilmente contribuiscono alle politiche di Israele che espropriano e discriminano pesantemente i palestinesi, mentre traggono profitto dal furto perpetrato da Israele della terra palestinese e di altre risorse," ha detto in una conferenza stampa Arvind Ganesan, direttore della sezione "Affari e diritti umani" di Human Rights Watch.

"L'unico modo che le imprese hanno per rispettare le proprie responsabilità nei confronti dei diritti umani è smettere di lavorare con e nelle colonie israeliane," ha aggiunto Ganesan.

La terra, che garantisce e sostiene la vita, troppo spesso e in troppe parti del mondo viene sfruttata con il solo scopo di accumulare capitale. Una logica che da un lato produce enormi profitti per pochi e dall’altro causa distruzione di interi ecosistemi, appropriazione illegale di territori, povertà e oppressione per intere comunità: questo sia che si tratti delle monocolture che dell’occupazione dei territori palestinesi da parte delle aziende agricole israeliane. Esiste però uno strumento che possiamo utilizzare ogni giorno: il boicottaggio che di fronte ad un’economia che distrugge diventa un atto d’amore per la vita

di Gustavo Duch

Quei primi centimetri di terreno, ricchi di sostanze nutritive, che lo rendono fertile e produttivo; le gocce, l’umidità che consente alle piante di assorbirle e di portare a compimento la fotosintesi che le fa crescere; e il sangue che ci fa andare avanti. Sono i tre elementi fondamentali che permettono all’umanità di coltivare e raccogliere gli alimenti che ci danno e ci garantiscono la vita.

Tuttavia, in molte parti del mondo, la terra, l’acqua e il sudore -come tre ferite- vengono sfruttati con uno scopo molto diverso da quello di sostenere la vita: la semplice accumulazione del capitale.

Così possiamo vedere come gli incalcolabili profitti generati dall’olio di palma sono direttamente proporzionali all’enorme povertà dei paesi, come il Congo, dove cresce la palma. Vediamo come in Paraguay, la grande crisi alimentare corrisponda agli enormi profitti della produzione di soia nelle monocolture di pochi. O che l’economia di Israele genera un’enormità di profitti a partire daun’agricoltura che non fa nulla per sostenere la vita, al contrario, la ferisce tre volte, fino alla morte.

Il popolare sito di alloggi Airbnb sotto attacco per aver permesso che i coloni della Cisgiordania mettessero le loro case in affitto senza specificare dove si trovassero. Pronta una risoluzione dell’Unione Europea per marcare ancora di più la distinzione tra Israele e “tutti i territori occupati da Israele nel 1967″

di Giorgia Grifoni

L’appartamento di Oded, che offre 3 posti letto, un patio e una “vista panoramica sulle colline della Giudea”, sembra la sistemazione ideale per trascorrere qualche giorno in visita a Gerusalemme. Dotato di tutti i confort, a poca distanza dalla città vecchia e di proprietà di “un nativo gerosolimitano”, è la perfetta combinazione dei servizi offerti dal famoso portale di annunci Airbnb: relax, convenienza, privacy e contatto con la popolazione locale. Peccato che dietro la generica indicazione “Gerusalemme, Israele” si nasconda in realtà il “quartiere” di Armon Hanatziv, insediamento ebraico illegale dirimpettaio di Jabel Mukaber, nella Gerusalemme est occupata nel 1967 e mai riconosciuta come parte di Israele dalla comunità internazionale.

Poco oltre la Linea Verde, a Tekoa, colonia illegale della Cisgiordania meridionale, Howard propone un’abitazione “dall’eleganza mozzafiato, in posizione meravigliosa al limite del deserto” per la modica cifra di 475 euro a notte più spese. Può anche organizzare un giro sul cammello nel deserto, se gli ospiti lo desiderano. L’indicazione geografica, che in questo caso non può lasciare alcun dubbio sull’eventuale “contesa” di territori, è Tekoa, Israele. Sono dozzine gli alloggi sul sito Airbnb venduti da coloni israeliani come se fossero nello Stato ebraico, ma che in realtà si trovano nei Territori palestinesi occupati. Non solo appartamenti strappati nel 1967 ai residenti palestinesi di Gerusalemme est, ma anche cottage con piscina in alcune colonie come Maale Adumim e Kfar Eldad e addirittura piccoli container negli avamposti sparsi in Cisgiordania, come Havat Gilad, che sono considerati illegali persino da Tel Aviv.