LIBERTÀ. GIUSTIZIA. UGUAGLIANZA.

Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni per i diritti del popolo palestinese.

Notizie BDS

Notizie internazionali del movimento globale BDS.

 Il movimento BDS ha come specifici obiettivi porre fine alla violazione da parte di Israele dei diritti dei palestinesi e delle leggi internazionali. Eppure questi vengono raramente fatti oggetto di copertura mediatica. (Wisam Hashlamoun APA images)

I media di Chicago e quelli nazionali hanno ingannato sistematicamente i lettori nella loro copertura della decisione del candidato governatore democratico Daniel Biss di cancellare dalla sua lista il membro del consiglio comunale di Chicago Carlos Ramirez-Rosa.

Questo è un esempio di un problema più ampio: quando le battaglie politiche si accaniscono sul movimento per il boicottaggio, disinvestimento e sanzioni (BDS), i media non riescono a informare il pubblico su ciò che è in gioco per i palestinesi.

G4S, la più grande compagnia di sicurezza al mondo, sta attivamente addestrando le forze di polizia israeliane che attualmente attaccano i palestinesi a Gerusalemme.

Cinque membri dell’organizzazione statunitense (tra cui la rabbina Alissa Wise) denunciano di non essere potuti salire ieri a bordo di un aereo Lufthansa diretto a Tel Aviv perché promotori della campagna internazionale per il boicottaggio dello stato ebraico

Non sono stati fatti salire sull’aereo che da Washington li avrebbe dovuti portare in Israele perché sostenitori della campagna Bds. È quanto ieri hanno denunciato cinque membri del gruppo Jewish Voice for Peace  (JVP), un’organizzazione statunitense che promuove i diritti umani per i palestinesi. I cinque (tra i quali una rabbina, due pacifisti presbiteriani e un esponente dei Musulmani americani per la Palestina di Los Angeles) stavano viaggiando con una delegazione interconfessionale che avrebbe dovuto incontrare in Israele e Palestina leader religiosi e attivisti dei diritti umani.

“Nonostante sia ebrea e una rabbina, Israele mi ha negato la possibilità di viaggiare per il lavoro che faccio per la giustizia per i palestinesi”, ha detto Rabbi Alissa Wise in una nota rilasciata dal JVP. “Sono affranta e indignata – ha aggiunto Wise – Questa è un’ulteriore dimostrazione che la democrazia e la tolleranza in Israele si estende solo a quelli che si schierano con le politiche sempre più repressive contro i palestinesi”.

Nel comunicato stampa, JVP sostiene che le altre 18 persone della delegazione sono state interrogate per ore dalle autorità israeliane dopo essere atterrate all’aeroporto di Tel Aviv

Sconfortato è anche Shakeel Syed, dei Musulmani americani per la Palestina. “Come persona di fede, il fatto che Israele mi abbia vietato la visita in Terra Santa non smorza, ma anzi rafforza la mia ricerca di pace e giustizia per i palestinesi e per la libertà per la Palestina”. L’accusa di Syed però, non è diretta soltanto contro Tel Aviv: “Nonostante avessi la carta d’imbarco per Tel Aviv, il rappresentante della Lufthansa mi ha informato che aveva ricevuto un ordine da parte dell’Autorità dell’immigrazione israeliana che non ci permetteva di salire sull’aereo. Hanno negato perfino di mostrarci questo ordine” ha denunciato Syed.

Chiamata in causa, la compagnia aerea tedesca si è difesa affermando di aver seguito quanto Israele aveva imposto loro. “Non abbiamo informazioni sul perché il governo israeliano non voglia il loro ingresso. Ci atteniamo semplicemente alle regole dei paesi in cui operiamo” ha liquidato il caso il portavoce di Lufthansa Tal Muscal.

Al momento l’ufficio del primo ministro ha preferito non commentare la notizia.

La Knesset ha approvato lo scorso 6 marzo in terza lettura (46 voti a favore e 28 contrari) “la legge anti-Bds” che vieta l’ingresso nello stato ebraico ai cittadini stranieri che appoggiano pubblicamente il movimento Bds. Non solo chi fa campagna contro il boicottaggio d’Israele, ma anche chi sostiene quello delle colonie nei Territori Occupati, visione condivisa dalla comunità internazionale – a partire dall’Unione Europea – che considera gli insediamenti illegali secondo il diritto internazionale.

Una legge nata su inziativa del partito dei nazionalisti religiosi di Casa Ebraica, (megafono del movimento dei coloni) e fatta propria dal Likud del premier Netanyahu. Proteste all’epoca erano giunte dai centristi di Campo Sionista, ma soprattutto dalla Lista Araba Unita(federazione dei quattro partiti arabi di Israele) che parlò esplicitamente di “attacco al legittimo dissenso sulle politiche israeliane”.

Il 18 luglio, in piena crisi al-Aqsa, la Knesset ha poi passato in prima lettura (25 voti favorevoli, 12 contrari e un astenuto) una proposta di legge che, qualora dovese essere approvata definitivamente in ulteriori due voti in parlamento, renderà la lotta contro il Bds completamente segreta: la esenterà infatti dalla Legge della Libertà d’informazione d’Israele che assicura ai cittadini israeliani di avere il “diritto ad ottenere informazioni dall’autorità pubblica”.

“Uno dei principi per avere la meglio [sul Bds] – ha spiegato il promotore della legge, il ministro agli affari strategici Gilad Erdan (Likud) – è mantenere segreti i nostri metodi d’azione dato che la maggior parte delle iniziative del ministero non sono sue, ma avvengono grazie a organismi sparsi nel mondo che non vogliono rivelare il legame che hanno con lo stato”.

Già in passato – soprattutto negli ultimi mesi – persone considerate legate alla campagna di boicottaggio non sono state fatte entrare in Israele. A dicembre era toccato a Isabel Piri, membro del Consiglio Mondiale delle Chiese e poco dopo al direttore di Human Rights Watch in Palestina e Israele, Omar Shakir. Tuttavia in quei casi, a differenza di quanto denunciano ora gli attivisti di JVP, il Bds non era stato indicato come ragione ufficiale del diniego.

A febbraio Haaretz aveva pubblicato il numero di persone a cui era stato rifiutato l’ingresso in Israele nel 2016: un aumento di nove volte rispetto ai cinque anni precedenti, 16.534 contro i 1.870 del 2011.

Fonte: Nena News

 

(Foto: Maureen Clare Murphy)

Per la prima volta nelle linee guida dell’Autorità israeliana per l’immigrazione si indica “l’attività di boicottaggio” come una delle 28 ragioni per rifiutare l’ingresso nel paese. Intanto il Sud Africa declassa la propria rappresentanza diplomatica a Tel Aviv come forma di protesta per l’occupazione

Il movimento segna un'altra vittoria contro la repressione della solidarietà palestinese. (Adolfo Lujan)

di Ali Abunimah 

Gli attivisti hanno accolto favorevolmente la decisione di parlamentari spagnoli che hanno riconosciuto il fatto che il movimento per il boicottaggio, il disinvestimento e le sanzioni per i diritti dei palestinesi è protetto dalle leggi che garantiscono il diritto di parola.

Il 27 giugno il" Comitato per la Cooperazione Internazionale" della Camera dei Deputati, la camera bassa spagnola, ha adottato all'unanimità una risoluzione che chiede al governo di "riconoscere e difendere il diritto degli attivisti palestinesi, di Israele e di altri Paesi per i diritti umani di impegnarsi in attività lecite e pacifiche, difesi dal diritto di opinione e di riunione, come quello di promuovere le campagne per il boicottaggio, il disinvestimento e le sanzioni (BDS)."

La più importante società israeliana di trasporti pubblici perde un contratto con i Paesi Bassi del valore di 190 milioni di euro dopo la campagna degli attivisti del BDS a favore dei diritti dei Palestinesi

Il mese scorso la Egged Bus Systems (EBS), una filiale della Egged Israel Transport Cooperative Society, principale operatore dei trasporti pubblici di Israele, ha perso un'offerta per un contratto di dieci anni per la gestione dei trasporti pubblici nella regione nord-olandese dei Paesi Bassi.

Lettera aperta della Coalizione Nazionale delle Organizzazioni Cristiane in Palestina (NCCOP) al Consiglio Mondiale delle Chiese e al movimento ecumenico

Impara a fare bene; segui la giustizia. Difendi l'oppresso. (Isaia 1:17)

Un dimostrante sistema una bandiera palestinese sopra un tratto del muro dell'apartheid d'Israele. (Reuters / Mohamad Torokman)

Dopo anni di occupazione e di spoliazioni, è ora il momento della libertà per i palestinesi.

Di Omar Barghouti *   

L'occupazione militare di Gaza e della Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est, ha raggiunto 50 anni questa settimana. La cicatrice sulla mia testa dopo una fatidica giornata del giugno 1967, quando ha avuto inizio il regime militare, è ora completamente coperta da capelli grigi, ma la cicatrice che quel giorno ha lasciato sulla mia vita rimane in larga parte scoperta.

Avevo meno di 3 anni quando la mia madre ventiquattrenne afferrò frettolosamente me e i miei due fratelli più grandi per fuggire verso la relativa sicurezza della Giordania, pochi giorni dopo che le forze armate israeliane avevano occupato Ramallah.

Mia nonna, una rifugiata di Safad durante la Nakba del 1948 - l'espulsione di massa di più di 750.000 palestinesi per stabilire in Palestina uno stato a maggioranza ebraica - era tormentata su cosa consigliare a sua figlia. Non voleva che soffrissimo il destino della sua famiglia quando furono costretti sotto la minaccia delle armi ad abbandonare la loro casa a Safad e, in seguito, a diventare profughi in Siria. Eppure, più di tutto, mia nonna voleva che fossimo al sicuro.

La voce, fonte di panico, che le autorità militari israeliane avrebbero chiuso presto l'unico passaggio tra Palestina e Giordania risolse il dilemma. Ciò convinse mia madre a portarci ad Amman "temporaneamente, fino alla fine della guerra". Mia nonna cercò di confortarla con queste parole, ma non sapeva nascondere la propria convinzione che Israele non ci avrebbe mai permesso di tornare.

Mia madre scivolò attraversando il ponte di legno verso la Giordania gravemente danneggiato. Stava portando il mio fratello maggiore e me mentre afferrava il nostro fratello più grande e due borse. Sono caduto a terra, e il sangue ha cominciato a sgorgare dalla mia testa. La mia ferita, grazie a un rimedio arabo tradizionale a base di olio d'oliva e aglio, è guarita, ma non lo sono la mia vita e quella dei miei cari.

In quel momento, siamo entrati nelle file di centinaia di migliaia di altri rifugiati palestinesi, sradicati dalle nostre comunità e ai quali è stato negato il diritto di tornare nell'unico luogo che abbiamo conosciuto come casa.

Quasi tutto è cambiato in questi ultimi decenni tranne che l'aspirazione di milioni di Palestinesi a vivere in dignità, liberi da un brutale regime militare e di apartheid che controlla quasi ogni aspetto della nostra vita.

Il tempo può guarire molte cose, ma le cicatrici lasciate dalle due ondate di spostamenti forzati nel 1948 e nel 1967 possono difficilmente guarire quando Israele continua quello che molti di noi considerano una Nakba in corso, una spoliazione senza fine.

Il tempo da solo non può curare le ferite dei palestinesi che vivono da più di 10 anni sotto l'assedio fatale di Israele a Gaza, all'ombra dell'odioso muro israeliano che usurpa la nostra terra, o delle centinaia di checkpoint militari in Cisgiordania. Esso non può attenuare la violenza degli sforzi sempre più intensi di Israele al fine di espellere le comunità palestinesi dalla loro terra, sottraendola per la costruzione di insediamenti illegali, riservati agli ebrei, in violazione del diritto internazionale e di decenni di politica statunitense dichiarata.

Le comunità palestinesi nell'attuale Israele, che vivono sotto quello che il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti una volta definiva un sistema di "discriminazione istituzionale, legale e sociale", hanno affrontato un destino simile. All'inizio di quest'anno, per esempio, le forze armate israeliane hanno demolito il villaggio beduino di Umm al-Hiran per costruire sulle sue rovine un nuovo insediamento esclusivo per gli ebrei, chiamato "Hiran".

I palestinesi che vivono al di fuori della Palestina storica, prevalentemente rifugiati, rappresentano il 50 per cento di tutti i palestinesi e a loro è negato il diritto legale riconosciuto a livello internazionale di tornare nelle loro case d'origine.

Mentre sempre più persone riconoscono la verità riguardo al sistema israeliano di oppressione contro l'intero popolo palestinese, cresce il sostegno popolare per i diritti palestinesi e la pressione per porre fine all'impunità israeliana.

Un sondaggio dell'ottobre del 2016 rilasciato dalla Brookings Institution rivela che il 46 per cento di tutti gli statunitensi e il 60 per cento dei Democratici sostengono l'imposizione di sanzioni o misure più severe contro Israele perché arresti i suoi insediamenti illegali.

Questi sondaggi e indicatori simili denotano la crescita sana negli ultimi anni del movimento di base del Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS), guidato dalla Palestina, che io ho aiutato a fondare e che credo sia fondamentale per raggiungere libertà, giustizia, uguaglianza e pace duratura.

Il BDS ha rilanciato le nostre speranze che, con una resistenza interna non violenta e una crescente pressione internazionale, simile a quella applicata all'apartheid del Sudafrica, possiamo prevalere sul sistema oppressivo israeliano.

Quando 6 degli 11 giocatori della lega nazionale di calcio hanno rifiutato di partecipare a una visita ufficiale di propaganda israeliana e quando una "ondata" di cancellazioni da parte di ospiti internazionali ha colpito il Tel Aviv LGBT Film Festival, la nostra speranza è cresciuta.

La speranza palestinese è stata anche rafforzata quando alcune delle più grandi chiese degli Stati Uniti, tra cui la Chiesa Metodista Unita, la Chiesa Presbiteriana e la Chiesa Unita di Cristo, hanno disinvestito dalle banche israeliane o dalle multinazionali complici e quando alcune di queste multinazionali hanno dovuto cessare il proprio coinvolgimento nei progetti illegali di Israele.

Accende ugualmente la nostra speranza il fatto che il sostegno ai diritti palestinesi stia rapidamente crescendo tra i giovani americani, inclusi gli ebrei del millennio, e venga integrato ancora una volta nelle lotte per i diritti dei rifugiati, degli immigrati, delle donne, dei lavoratori, dei neri americani, dei musulmani, dei nativi americani e della comunità LGBTQI.

Dopo 50 anni di brutale regime militare israeliano e quasi 70 anni di spoliazioni, basta. Ora è il tempo della libertà per i palestinesi. Dopo più di due decenni di negoziazioni sponsorizzate dagli Stati Uniti, che Israele usa come copertura per il suo "il massimo della terra con il minimo dei palestinesi", è chiaro che, a meno che non sia effettivamente costretto, Israele continuerà a negarci la nostra libertà e i nostri diritti.

Non potremo mai dimenticare le nostre molte cicatrici affettive e spesso fisiche. Ma quando, non se, raggiungeremo la giustizia e gli uguali diritti, potremo veramente guarire. E noi contiamo sul crescente sostegno di persone di coscienza in tutto il mondo come aiuto per arrivarci.

*Omar Barghouti è un Palestinese difensore dei diritti umani e co-fondatore del movimento per il Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni per i diritti dei Palestinesi. Egli è un co-destinatario del Premio Gandhi del 2017.

Fonte: The Nation

Traduzione di BDS Italia

 

I 69 anni dall’inizio della Nakba palestinese hanno marcato nella giornata di ieri anche il ventinovesimo giorno di sciopero della fame per i prigionieri politici palestinesi.

Basterebbe questo legame tra passato e presente a evidenziare il carattere continuativo di un evento simbolo che ha segnato e segna ancora la vita dei palestinesi, in Palestina come in diaspora.

Karim Younes, noto come "il decano dei prigionieri palestinesi", ha scritto una lettera che sottolinea che i prigionieri continueranno con lo sciopero della fame fino alla vittoria o alla morte e nonostante le misure repressive adottate dalla polizia penitenziaria per stroncare la volontà dei prigionieri e detenuti in sciopero della fame.

Il detenuto Younes ha anche dichiarato nella lettera che i prigionieri hanno informato l'amministrazione penitenziaria israeliana (IPS) che sono pronti solo a negoziati seri e non a vane sequenze di incontri e promesse.

Karim Younes ha aggiunto che l'unico organismo autorizzato a negoziare è quello costituito dai leader dello sciopero e secondo gli standard fissati all'inizio dello sciopero.

Testo integrale della lettera: