La terra, che garantisce e sostiene la vita, troppo spesso e in troppe parti del mondo viene sfruttata con il solo scopo di accumulare capitale. Una logica che da un lato produce enormi profitti per pochi e dall’altro causa distruzione di interi ecosistemi, appropriazione illegale di territori, povertà e oppressione per intere comunità: questo sia che si tratti delle monocolture che dell’occupazione dei territori palestinesi da parte delle aziende agricole israeliane. Esiste però uno strumento che possiamo utilizzare ogni giorno: il boicottaggio che di fronte ad un’economia che distrugge diventa un atto d’amore per la vita
di Gustavo Duch
Quei primi centimetri di terreno, ricchi di sostanze nutritive, che lo rendono fertile e produttivo; le gocce, l’umidità che consente alle piante di assorbirle e di portare a compimento la fotosintesi che le fa crescere; e il sangue che ci fa andare avanti. Sono i tre elementi fondamentali che permettono all’umanità di coltivare e raccogliere gli alimenti che ci danno e ci garantiscono la vita.
Tuttavia, in molte parti del mondo, la terra, l’acqua e il sudore -come tre ferite- vengono sfruttati con uno scopo molto diverso da quello di sostenere la vita: la semplice accumulazione del capitale.
Così possiamo vedere come gli incalcolabili profitti generati dall’olio di palma sono direttamente proporzionali all’enorme povertà dei paesi, come il Congo, dove cresce la palma. Vediamo come in Paraguay, la grande crisi alimentare corrisponda agli enormi profitti della produzione di soia nelle monocolture di pochi. O che l’economia di Israele genera un’enormità di profitti a partire daun’agricoltura che non fa nulla per sostenere la vita, al contrario, la ferisce tre volte, fino alla morte.
È quanto possiamo concludere quando leggiamo il rapporto dell’organizzazione Human Rights Watch intitolato “Ripe for abuse” [“Maturi per l’abuso” pubblicato nell’aprile 2015], nel quale si denuncia ancora una volta come le aziende agricole israeliane, illegali ed ingiustamente stanziatesi negli insediamenti della Cisgiordania, sono un totale impedimento affinché la popolazione palestinese della zona possa prendere la vita nelle proprie mani ed andare avanti.
Si tratta di un’economia agricola che si sostiene sulla triplice usurpazione delle suddette risorse. Con muri ed eserciti, le aziende agricole stanno occupando le migliori terre della valle del Giordano. Per la precisione, dei suoi 160.000 ettari, Israele se ne è già appropriata di più di 125.000, o, che è lo stesso, di milioni e milioni di tonnellate di materia organica, minerali, microorganismi… Ubicate per la maggior parte sopra le falde acquifere della zona, per la loro agricoltura che prevede un’irrigazione intensiva, esercitano un controllo e un accapparramento dell’acqua quasi assoluti. E, fa male scriverlo, tra le mani che lavorano in queste aziende, troviamo quelle di centinaia di bambine e bambini palestinesi che in queste aziende, scambiano la scuola per lavori pericolosi e malpagati, per poter aiutare le loro famiglie e perché non pensano di avere più un altro futuro.
Il loro presente è costituito da duri lavori agricoli e il racconto dei 38 bambini intervistati da HRW lo conferma: “Hanno detto che hanno sofferto di nausea e vertigini. Alcuni hanno affermato di aver sofferto di svenimenti mentre lavoravano d’estate con temperature elevate, che a volte superano i 40 gradi all’aperto, e sono anche più elevate all’interno delle serre dove lavorano molti minorenni. Altri bambini -continua il rapporto- hanno detto che dopo aver spruzzato pesticidi o esserne stati esposti anche in spazi chiusi, hanno sofferto di vomito, difficoltà respiratorie, irritazione agli occhi ed eruzioni cutanee. Alcuni hanno affermato di soffrire di mal di schiena dopo aver caricato pesanti casse di prodotti o trasportato erogatori a spalla con pesticidi”.
E questo oltraggio, dove trova i suoi utili? Quale denaro scorre con il fine di consolidare quello che ben possiamo definire un secondo apertheid?
Grazie a molte mobilitazioni sociali, come ad esempio la campagna internazionale BDS, Boycott, Divestement and Sanctions [Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni], sappiamo che molti degli ortaggi e della frutta prodotte in questi insediamenti sono esportati in Europa e che vengono offerti in molti negozi e supermercati etichettati, senza alcun pudore, con un inoffensivo “Made in Israel “. Il prodotto d’eccellenza è costituito dai pregiati datteri medjoul che ci mettiamo in bocca senza sapere che la maggior parte di essi sono stati coltivati su terre espropriate alla popolazione palestinese.
Il rapporto di HRW è categoricoanche per quanto riguarda le sue conclusioni e raccomandazioni, affermando che tanto le politiche di occupazione di territori da parte di Israele dove poi installare queste aziende, così come lo sfruttamento di minori, costituiscono una grave violazione dei diritti umani e che, indubbiamente, “Israele dovrebbe smantellare i suoi insediamenti e, nel frattempo, proibire ai coloni di assumere minori, conformemente a quanto previsto dagli impegni assunti da Israele con i trattati internazionali in merito ai diritti dei bambini e dei lavoratori”; così come “altri paesi ed imprese dovrebbero porre fine alle relazioni commerciali con gli insediamenti israeliani, comprese le importazioni di prodotti provenienti da questi”.
Situazioni come questa ci fanno capire che il pensiero egemone consistente nel ridurre l’economia alla generazione di ricchezza monetaria non ha nulla a che vedere con la sua funzione di soddisfare le (vere) necessità umane. E aggiungo che,di fronte alle economie di morte, il boicottaggio diventa un gesto d’amore per la vita.
Fonte: Comune Info