LIBERTÀ. GIUSTIZIA. UGUAGLIANZA.

Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni per i diritti del popolo palestinese.

Notizie BDS

Notizie internazionali del movimento globale BDS.

La sezione della AFL-CIO del Connecticut ha votato il sostegno agli elementi chiave della chiamata palestinese al boicottaggio, disinvestimento e sanzioni (BDS) contro Israele.

AFL-CIO è la più grande federazione del lavoro degli Stati Uniti, contando decine di sindacati con una adesione complessiva di quasi 13 milioni di lavoratori, - 200.000 dei quali in Connecticut.

Alla Convention della sezione del Connecticut nel mese di ottobre, i delegati hanno approvato una risoluzione che invita la segreteria nazionale di AFL-CIO ad adottare il BDS "con riferimento alle imprese e agli investimenti che traggono profitto o sono complici di violazioni dei diritti umani derivanti dall'occupazione dei territori palestinesi da parte dello Stato di Israele , e a sollecitare i suoi affiliati e fondi pensione e di rendita ad adottare strategie simili."

Essa invita inoltre gli Stati Uniti ad " applicare diligentemente tutti gli strumenti diplomatici ed economici per porre fine all'occupazione israeliana della Palestina e a sostenere una pace equa e giusta in cui il popolo di Israele e Palestina possano vivere in pace e sicurezza in conformità con il diritto internazionale e la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani".

La risoluzione sottolinea che Unite, il più grande sindacato nel Regno Unito e in Irlanda, ha appoggiato il BDS.

“L’occupazione è causa principale di violenza” Citando il rabbino Heschel, leader per i diritti civili, le attiviste hanno affermato “La preghiera è inutile se non è sovversiva”

di Ben Norton 

Martedì mattina delle attiviste ebree statunitensi, delll’organizzazione per la pace CODEPINK, hanno manifestato davanti al Muro Occidentale (conosciuto anche come Kotel o Muro del Pianto). Hanno esposto uno striscione con la scritta “Ebrei statunitnesi appoggiano il BDS,” riferendosi al Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni, un movimento mondiale pacifico che lotta per i diritti umani, promosso dalla società civile palestinese e che, tramite mezzi economici nonviolenti, cerca di fare pressione sul governo israeliano affinché fermi l’occupazione illegale dei territori palestinesi, garantisca gli pari diritti ai cittadini palestinesi, e permetta il ritorno dei palestinesi che furono violentemente espulsi dalle loro antiche terre, come stabilito dal diritto internazionale.

Dopo cinque minuti, le forze dell’ordine israeliane in borghese hanno sequestrato lo striscione alle manifestanti e hanno intimato loro di andarsene. Ariel Gold e Ariel Vergosen, due attiviste, facevano parte di un viaggio di una settimana organizzato da CODEPINK in Israele e Palestina, dove sono state testimoni dirette della vita dei palestinesi sotto occupazione militare.

CODEPINK ha dichiarato che, durante il suo viaggio, “oltre ad aiutare gli agricoltori palestinesi con la raccolta delle olive, il gruppo è stato testimone del sistema israeliano di apartheid, per il quale cittadini diversi hanno strade, servizi e leggi diverse. Hanno sperimentato le gravi restrizioni alla libertà di movimento palestinese, il massiccio aumento di colonie illegali per soli ebrei in territorio palestinese e i numerosi abusi dei diritti umani a discapito dei palestinesi.”

Gaza assediata, Palestina occupata - Noi, le organizzazioni che costituiscono la maggioranza del settore studentesco palestinese, chiediamo ai nostri coetanei, alle organizzazioni studentesche e ai sindacati in tutto il mondo di mobilitarsi contro le politiche israeliane di occupazione, colonizzazione e di apartheid in Palestina.

Le forze di occupazione israeliane, insieme a coloni armati fino ai denti, deliberatamente uccidono e provocano mutilazioni a bambini innocenti e giovani. Queste politiche premeditate di punizione collettiva e di razzismo contro il popolo palestinese esigono oggi più che mai di sentire levare voci di solidarietà e di umanità in Palestina e in tutto il mondo. Noi, pertanto, vi invitiamo ad intensificare #WaveSolidarityBDS lanciati dal Comitato Nazionale Palestinese BDS (BNC). [1]

Alla luce dei continui e tuttavia ignorati crimini di Israele, vogliamo ribadire il nostro impegno verso l'appello fatto dalla Campagna degli studenti palestinesi per il boicottaggio accademico di Israele (PSCABI) [2], che si basa sull'appello del 2004 lanciato dalla Campagna palestinese per il Boicottaggio Accademico e Culturale di Israele (PACBI) [3] e l'appello palestinese del 2005 al Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS) [4]. Poiché il movimento BDS è cresciuto senza sosta e minaccia il suo regime, Israele mostra molto chiaramente di lottare contro il movimento BDS all'esterno come all'interno. Siamo a conoscenza di tentativi fatti da alcune organizzazioni marginali e individui di sabotare la marea di uno degli strumenti non violenti più efficaci contro il sistema stratificato di oppressione israeliano.

di Nadia Abu El-Haj

In un recente articolo su Haaretz, l'antropologo israeliano Dan Rabinowitz argomenta contro il movimento palestinese per il boicottaggio accademico e culturale di Israele (PACBI - Palestinian Academic and Cultural Boycott of Israel) agganciando le sue credenziali politiche alla presunta amicizia con il compianto Edward Said. Scrive Rabinowitz:

"Sono un antropologo dell'Università di Tel-Aviv, orgoglioso di essere stato un amico personale di Edward Said. Sono attualmente coinvolto nello sforzo di arginare i tentativi di boicottare le università israeliane ... La battaglia in salita in cui io e i miei colleghi siamo impegnati mi fa spesso pensare all'eredità di Edward."

Dopo la morte di Said oltre un decennio fa, molti hanno evocato il suo nome o accampato crediti sulla sua eredità. L’evocazione di Rabinowitz mi sembra particolarmente cinica: poiché Said non può più parlare per se stesso, ci pensa Rabinowitz a parlare per lui: Vedete, non sono soltanto io. Anche Edward Said, una vera e propria icona della politica palestinese, sarebbe stato contro il boicottaggio accademico. Il PACBI ha attaccato anche lui. Nelle mani di Rabinowitz, l'eredità di Said è piegata a difesa del privilegio di un liberale di sinistra, ebreo ashkenazi che gode della (completa) cittadinanza nello stato di Israele anche se il suo regime razziale sempre più duro rende la vita progressivamente invivibile per i palestinesi sottomessi al suo dominio.

Rabinowitz ha ragione. Nel 2012, il PACBI ha criticato la East West Music Diwan, l'orchestra fondata da Said e Daniel Barenboim che riunisce giovani musicisti palestinesi e israeliani. Indipendentemente da ciò che si potrebbe pensare della posizione del PACBI, è falso pretendere di sapere quello che Said avrebbe fatto con Diwan - e che cosa avrebbe pensato del boicottaggio accademico e culturale – se fosse stato testimone del regime sempre più brutale di Israele e la concomitante crescita del movimento della società civile che è diventato il BDS. [1] Tutti noi possiamo evocare il nome di Said. Ma cerchiamo di essere persone adulte a questo riguardo. Apriamo la conversazione senza abusare dell’eredità di Said fondando le nostre pretese di essere dalla parte giusta della storia e della politica.

L'attacco di Rabinowitz al BDS si basa su tre affermazioni centrali. In primo luogo, che nel promuovere il boicottaggio il BDS "trascura le istituzioni economiche tradizionali" che si concentrano sulle istituzioni  "a grande maggioranza in favore del dialogo e del compromesso", cioè, le università e le istituzioni culturali. In secondo luogo, le università "non possono, non devono e non prendono posizioni istituzionali su questioni politiche". Terzo, e più importante, il BDS ha secondi fini; non è onesto sulle sue intenzioni politiche. In altre parole, senza nominarlo come tale, nel suo editoriale Rabinowitz - seguendo le orme di molti critici del BDS - solleva lo spettro dell'antisemitismo.

di Steven Levitsky e Glen Weyl

Steven Levitsky è professore di governo presso la Harvard University. Glen Weyl è un assistente professore di economia e diritto presso l'Università di Chicago.

Siamo sionisti da sempre. Come altri ebrei progressisti, il nostro sostegno a Israele è stato fondato su due convinzioni: in primo luogo, che uno Stato era necessario per proteggere il nostro popolo da un futuro disastro; in secondo luogo, che ogni Stato ebraico debba essere democratico, abbracciando i valori dei diritti umani universali che molti hanno preso come una lezione della Shoah. Misure antidemocratiche adottate nel perseguimento della sopravvivenza di Israele, come l'occupazione della Cisgiordania e di Gaza e la negazione dei diritti fondamentali di palestinesi che vivono lì, avrebbero dovuto essere temporanee.

Ma dobbiamo affrontare la realtà: L'occupazione è diventata permanente. Quasi mezzo secolo dopo la Guerra dei Sei Giorni, Israele sta consolidando un regime simile all'apartheid contro il quale molti dei suoi ex capi avvertito di stare in guardia. La popolazione dei coloni in Cisgiordania è cresciuta di 30 volte, da circa 12.000 nel 1980 a 389.000 di oggi. La Cisgiordania è sempre più considerata come parte di Israele, con la linea verde di demarcazione dei territori occupati cancellata da molte mappe. Il presidente israeliano Reuven Rivlin ha dichiarato recentemente che il controllo sulla Cisgiordania "non è una questione di dibattito politico. E 'un fatto di base del sionismo moderno."

Il progetto di legge del partito Bayit Yehudi (Casa Ebraica) allontanerebbe dal paese anche i non-cittadini o residenti permanenti che boicottano le colonie.

Lunedì il Comitato Ministeriale per la Legislazione del governo ha approvato un progetto di legge che negherebbe l’ingresso nel paese a chiunque promuova il boicottaggio d’Israele.

L’iniziativa promossa dal membro della Knesset Yinon Maga, di Bayit Yehudi, vorrebbe proibire di ottenere il visto o il permesso di soggiorno ai non cittadini o residenti che incoraggiano azioni per porre l’embargo su Israele.

“Non è possibile che chi è intenzionato a danneggiare Israele possa entrare liberamente,” ha detto Magal dopo l’approvazione del progetto di legge da parte dei ministri, che deve ancora ottenere l’approvazione parlamentare prima di essere tramutato in legge.

Magal ha dichiarato che chiunque boicotti Israele starebbe “facendo terrorismo” contro questo stato, aggiungendo che “è impensabile che gli sia permesso di spostarsi liberamente nel paese.”

I membri della Knesset appartenenti ai partiti Unione Sionista, Yesh Atid, Kulanu, United Torah Judaism, Shas e Likud hanno co-promosso l’iniziativa di Magal.

di Grazia Careccia

Nell’ultimo mese la tensione in Palestina e in Israele è cresciuta fino ad esplodere in scontri, omicidi, esecuzioni sommarie da parte dell’esercito e fitte sassaiole. Le immagini sono arrivate nelle nostre case dai telegiornali, con giornalisti che, con funambolica abilità, con la solita litania ci dicono che gli israeliani si difendono dai terroristi. Ormai si aggiornano solo i numeri.

E’ diventato questo il conflitto israelo-palestinese per i media? Ebbene sì un susseguirsi di numeri aggiornati in tempo reale. Le scene da film di Tarantino in cui feriti palestinesi, bambini o adulti che siano, vengono ammazzati, o come dice la sicurezza israeliana “neutralizzati”, non vengono trasmesse dai media internazionali.

Così come non lo sono le immagini del bambino ferito da un colono che senza pietà gli grida “figlio di puttana” e chiede ai poliziotti, che calciano il ferito, di finirlo. Le televisioni internazionali non hanno passato il video in cui con disprezzo un colono israeliano ha sbattuto sul viso di un ragazzino palestinese ferito che veniva trasportato su una barella delle fette di carne di maiale, gridando “sappiamo quanto a voi musulmani piace il maiale.” Le immagini di questi attacchi brutali si trovano su Facebook e Twitter, ad uso di coloro che la causa palestinese la seguono da anni e sanno già molto bene quale sia la situazione.

Il linguaggio usato dai media, che non pronunciano mai la parola occupazione e riportano cifre e fatti senza contesto, contribuisce nuovamente ad isolare i palestinesi, a beneficio di Israele. Un’altra porta in faccia a persone che da generazioni hanno fatto della resistenza, del restare attaccati alla propria terra ad ogni costo una ragione di vita.

“Esistere è resistere”, si legge sul Muro che Israele ha costruito oltre la Linea Verde per prendersi terre e risorse idriche palestinesi. Ma oggi i giovani palestinesi pensano che forse anche esistere non sia più sufficiente perché la loro è diventata una realtà che è al di sotto della sopravvivenza. Soffocati dall’oppressione del regime militare di occupazione che controlla le loro vite fin dalla nascita, dal numero sempre crescente di coloni, oggi oltre 600,000 di cui circa 300,000 solo a Gerusalemme Est, i giovani palestinesi hanno rotto le fila dell’immobilismo imposto dalla politica di contenimento dell’asservita autorità palestinese.

Il “paradosso dei diritti umani” nei territori palestinesi occupati, tra il rischio di strumentalizzazione e l’ossimoro “umanitario-militare”. Intervista a Nicola Perugini, co-autore del libro "The Human Right to Dominate" e ricercatore della Brown University di Providence. BDS? "È un movimento che sta crescendo perché ha obiettivi politici molto chiari: delegittimare il regime di dominazione e discriminazione israeliano ponendo fine alle complicità internazionali di governi, potentati economici e istituzioni culturali con il regime stesso"

di Duccio Facchini - 15 ottobre 2015

Uscito nel 2015 in inglese per Oxford University Press, “The human right to dominate” è il titolo del libro scritto dagli studiosi Nicola Perugini e Neve Gordon. Dal “diritto umano di uccidere” al “diritto umano di colonizzare”, il capitolo finale del testo è una domanda apparentemente retorica: “Che cosa resta dei diritti umani?”. Edizioni Nottetempo pubblicherà il volume nel nostro Paese nel 2016.

I diritti umani sono diventati uno strumento di dominazione? Nicola Perugini, assegnista del Postdottorato Mellon alla Brown University (Dipartimento di Studi sul Medio Oriente e Cogut Center for the Humanities) di Providence, negli Stati Uniti, e Neve Gordon, professore di Politiche e Governo alla Ben-Gurion University di Be’er Sheva, in Israele, hanno provato a rispondere a questa domanda attraverso il libro “Il diritto umano di dominare”, scritto per Oxford University Press nel 2015 e in uscita in Italia nel 2016 per l’editore Nottetempo. È un viaggio dentro al “paradosso dei diritti umani”, che guarda soprattutto a quanto accade nei territori palestinesi occupati.

Professor Perugini, può la violenza proteggere i diritti umani?
Vi sono forme di violenza che storicamente (si pensi ai contesti coloniali o alla lotta contro il regime di apartheid in Sudafrica) hanno contribuito alla liberazione da varie forme di dominazione e riaffermato i diritti umani. Ve ne sono altre che hanno prodotto o rafforzato forme di dominazione. Il nostro non è un punto di partenza purista. Però occorre saper distinguere. La repressione contro in migranti e le politiche razziste promosse dal Fronte Nazionale, ma anche dalle forze socialdemocratiche, in Francia (e altrove) nel nome della laicità e della protezione del sistema di diritto repubblicano sono una forma di liberazione dei migranti? L’invasione dell’Iraq, con le sue centinaia di migliaia di morti, o le guerre dei droni, o il paventato uso della forza militare italiana sulle coste libiche per impedire la partenza delle imbarcazioni su cui viaggiano i migranti mentre a quegli stessi migranti si impedisce di raggiungere l’Europa, sono una forma di liberazione? La repressione dell’omosessualità nel nome della protezione del diritto umano alla famiglia è una forma di liberazione?

Nel libro scrivete di una “lingua franca” comune. Che cosa intendete?
Nel corso dei decenni quello dei diritti umani è diventato un discorso che ha visto convergere progressivamente forze politiche contrapposte. Il discorso dei diritti umani offre autorità, credibilità e legittimità politica. Se ad esempio alcune organizzazioni internazionali e locali per i diritti umani e gli avvocati del dipartimento legale dell’esercito israeliano discutono i massacri di Gaza e l’occupazione militare della Palestina utilizzando una grammatica legale comune e facendo riferimento agli stessi principi etici e normativi, allora possiamo parlare di diritti umani -incluso il diritto umanitario internazionale- come lingua franca morale globale.

Da dieci anni un movimento internazionale chiede di rifiutare prodotti israeliani, per protestare contro occupazioni e discriminazioni. Si chiama "Biocottaggio Disinvestimento Sanzioni" (BDS), e tra il 16 e il 18 ottobre ha organizzato una tre giorni di mobilitazione anche nel nostro Paese. In una lettera al milionario israelo-americano Haim Saban Hillary Clinton ha scritto: “So che sei d’accordo sul fatto che l’opposizione al BDS deve essere una priorità”

di Federica Sasso

Anche Hillary Clinton è scesa in campo. Questa volta non per aggiudicarsi le primarie democratiche, ma contro le fatidiche tre lettere che secondo alcuni minacciano addirittura l’esistenza di Israele: BDS. Cioè “Boicottaggio, Disinvestimenti e Sanzioni”. “L’epoca iraniana è finita. Stiamo entrando nell’era del BDS”, ha scritto sul quotidiano israeliano Haaretz l’opinionista americano Peter Beinart. Beinart si riferisce alla nuova priorità dell’attivismo pro-Israele a stelle e strisce, che di recente ha iniziato a investire denaro ed energie per contrastare il movimento che invoca il boicottaggio dello stato israeliano. Se Hillary ha scritto in una lettera al milionario israelo-americano Haim Saban, “so che sei d’accordo sul fatto che l’opposizione al BDS deve essere una priorità”, da questo lato dell’Oceano il presidente israeliano Reuven Rivlin si considera “un soldato” a disposizione della battaglia contro il BDS, il primo ministro Benyamin Netanyahu chiama a raccolta “un ampio fronte” per combatterlo e ha destinato fondi per 24 milioni di euro alla controffensiva. Perfino Yedioth Ahronoth, il quotidiano più letto del Paese, ha lanciato una campagna intitolata “Combattere il boicottaggio”. I toni sono serissimi, il linguaggio fa pensare agli arcinemici Hamas e Iran, e l’impressione è che negli ultimi mesi in Israele e tra le comunità ebraiche americane sia scattato l’allarme rosso. Ma il dibattito sull’impatto reale del BDS è apertissimo.

Tutto ha inizio il 9 luglio 2005, quando una coalizione di oltre 170 enti palestinesi, tra partiti politici, sindacati e movimenti di base lancia un appello alla comunità internazionale chiedendo di boicottare Israele e proponendo azioni di disinvestimento economico. Il modello arriva dal Sudafrica, dove gli attivisti anti-apartheid hanno usato il boicottaggio per ottenere sostegno dall’estero contro le politiche del governo. In Palestina la campagna ruota attorno a tre punti chiave: “la fine dell’occupazione dei territori, inclusa Gerusalemme Est; la fine delle discriminazioni nei confronti dei Palestinesi residenti in Israele e il rispetto del diritto al ritorno dei rifugiati”. Sono passati dieci anni e sul sito del Palestinian BDS National Committee (BNC, www.bdsmovement.net), il comitato che oggi guida la campagna, c’è una pagina che raccoglie i passaggi avvenuti nel frattempo. Si legge di SodaStream, l’azienda che sottoposta alle pressioni del BDS ha deciso di spostare la sua fabbrica da un insediamento del West Bank a una zona interna ai confini del 1967; o del fondo olandese PGGM che ha ritirato gli investimenti dalle cinque maggiori banche israeliane a causa del loro coinvolgimento nella costruzione di insediamenti. C’è la storia di George Soros, che ha venduto tutte le sue azioni SodaStream, e quella di Bill Gates, che ha ridotto la partecipazione in G4S, la società britannica che fa affari con il sistema militare israeliano. E poi ci sono artisti come Lauryn Hill e Roger Waters dei Pink Floyd che rifiutano di cantare in Israele, o scienziati come Stephen Hawking che si ritirano dalle conferenze. A questi vanno sommati Ken Loach, Naomi Klein, e l’arcivescovo sudafricano e premio Nobel Desmond Tutu. Ma il successo più grande arriva dai campus universitari: l’Università di Johannesburg ha tagliato i ponti con l’Università Ben Gurion e una decina di associazioni accademiche statunitensi -più altre in Europa- hanno scelto il boicottaggio di Israele. Gli studenti di centri importanti come Stanford stanno interpretando il boicottaggio come lo strumento non violento che potrebbe aiutare ad uscire dallo stallo di un processo di pace che non c’è.

Nuovo video con artisti e attivisti neri e palestinesi, tra cui  Ms. Lauryn Hill, Cornel West, Alice Walker e Danny Glover, mette in evidenza la connessione tra le lotte delle due comunità.

Più di 60 grandi artisti e attivisti neri e palestinesi sono ripresi in un nuovo video che mette in evidenza le sfide che le due comunità stanno affrontando, tra cui quelle contro la polizia militarizzata e l'industria carceraria. Il  video ha come protagonisti Ms Lauryn Hill, Danny Glover, Cornel West, Angela Davis, Alice Walker, Zaffiro, LisaGay Hamilton, i Baha Men, Ahmad Abuznaid co-fondatore dei Dream Defenders, Yousef Erakat (fouseyTUBE) e altri che alzano cartelli tipo "Gaza sta con Ferguson" e "Mi hanno soffocato in video. Ho detto che non riuscivo a respirare", riferendosi all'omicidio di Eric Garner avvenuto nel luglio 2014. Questo arriva sulla scia della dichiarazione del 19 agosto firmata da oltre 1.100 fra attivisti, artisti, studiosi, studenti e organizzazioni neri, che chiedono "solidarietà con la lotta palestinese" così come un boicottaggio della società privata delle prigioni G4S e di altre aziende che traggono profitto dall'occupazione israeliana.

"Reciproche espressioni di solidarietà hanno contribuito a generare una forte affinità politica che collega organizzatori, studiosi, operatori culturali e prigionieri politici neri negli Stati Uniti con attivisti, accademici, prigionieri politici e artisti palestinesi", ha spiegato Angela Davis, nota studiosa, attivista, e prigioniera politica che ha visitato la Palestina ed ha una posizione di rilievo nel video. "I palestinesi hanno fatto dichiarazioni appassionate contro la violenza razzista della polizia a Ferguson e Baltimora, mentre voci di neri  si sono levate con veemenza in difesa di Rasmeah Odeh. Il fatto che il popolo palestinese continui a rifiutare di arrendersi dopo quasi sette decenni di lotta continua contro il colonialismo israeliano, è di grande incoraggiamento per i neri negli Stati Uniti per accelerare le nostre lotte in corso contro la violenza di stato razzista. Queste immagini potenti rappresentano un viaggio che dalla lotta contro la tirannia va verso una speranza collettiva per un futuro giusto ".