di Ali Abunimah
Human Rights Watch chiede ad ogni impresa di interrompere completamente le proprie attività economiche nelle colonie israeliane nella Cisgiordania occupata, compresa Gerusalemme.
In un rapporto pubblicato martedì [12 gennaio 2016] l'organizzazione di New York ha anche sollecitato i governi a interrompere l'aiuto a Israele.
"Gli affari delle colonie inevitabilmente contribuiscono alle politiche di Israele che espropriano e discriminano pesantemente i palestinesi, mentre traggono profitto dal furto perpetrato da Israele della terra palestinese e di altre risorse," ha detto in una conferenza stampa Arvind Ganesan, direttore della sezione "Affari e diritti umani" di Human Rights Watch.
"L'unico modo che le imprese hanno per rispettare le proprie responsabilità nei confronti dei diritti umani è smettere di lavorare con e nelle colonie israeliane," ha aggiunto Ganesan.
Il rapporto "Occupazione Spa: come le imprese delle colonie contribuiscono alle violazioni israeliane dei diritti dei palestinesi," farà probabilmente infuriare Israele.
Si rivelerà anche un utile strumento a disposizione del movimento per il Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS) per spiegare alle imprese perché devono porre fine alla loro complicità con i crimini israeliani.
E' così, nonostante Human Rights Watch insista sul fatto che "non sta chiedendo un boicottaggio delle imprese delle colonie da parte dei consumatori, ma piuttosto che le imprese rispettino le proprie responsabilità riguardo ai diritti umani interrompendo le attività con le colonie."
Secondo il rapporto, più di mezzo milione di israeliani vivono in 237 colonie nella Cisgiordania occupata.
L'unico modo è uscirne
Con le sue radicali indicazioni, Human Rights Watch ha abbandonato le sue precedenti posizioni secondo cui le imprese potevano "ridurre" il danno dovuto al fare affari nelle colonie senza necessariamente andarsene del tutto.
Human Rights Watch è ora arrivata alla conclusione che "il contesto degli abusi dei diritti umani a cui gli affari nelle colonie contribuiscono è così pervasivo e grave" che le imprese devono interrompere ogni attività nelle colonie, compresa la costruzione di case o infrastrutture e fornire servizi come lo smaltimento dei rifiuti.
"Dovrebbero anche interrompere i finanziamenti, la gestione e il commercio con le colonie o altre forme di appoggio o attività ed infrastrutture legate alle colonie ", sostiene il rapporto.
Nelle sue 162 pagine il rapporto esamina nel dettaglio i modi in cui le imprese ottengono profitti da e contribuiscono alle gravi violazioni israeliane dei diritti dei palestinesi, che a volte rappresentano crimini di guerra.
Questi includono: ottenere profitto dalle discriminazioni israeliane che permettono alle imprese di sfruttare le risorse ed i lavoratori palestinesi; ottenere profitto dal e partecipare al furto di terre di individui e comunità palestinesi; contribuire alla distruzione dell'economia palestinese da parte di Israele; rendere più sostenibili le colonie fornendo loro servizi e pagando tasse alle loro amministrazioni comunali.
Schiacciare l'economia palestinese
La colonizzazione israeliana è anche fondata sul favorire lo sviluppo delle colonie ebraiche mentre distrugge attivamente le possibilità di sviluppo economico palestinese.
Il rapporto costituisce una netta smentita alle frequenti affermazioni israeliane secondo cui le imprese delle colonie dovrebbero essere tollerate, o persino esaltate, perché forniscono ai palestinesi fonti di impiego e di sviluppo.
Per esempio cita una stima della Banca Mondiale secondo cui l'economia palestinese potrebbe creare 3,4 milioni di dollari in più -un incremento del 35% del PIL - se Israele togliesse le sue restrizioni discriminatorie sulle attività economiche palestinesi.
Allo stesso modo, alcuni economisti hanno stimato che si creerebbero fino a 200.000 posti di lavoro se i palestinesi potessero coltivare la Valle del Giordano nella Cisgiordania occupata, la maggior parte della quale è stata confiscata da Israele per uso esclusivo dei coloni.
Human Rights Watch afferma che nei pressi del villaggio di Beit Fajjar, nella zona di Betlemme, Israele ha negato l'autorizzazione alle cave di proprietà palestinese e perseguita continuamente le imprese confiscando i loro macchinari.
In conseguenza di queste politiche, il lavoro scarseggia.
Ibrahim, un lavoratore del posto, ha detto ai ricercatori: "Se potessi trovare lavoro a Beit Fajjar, lascerei il giorno stesso le colonie."
Al contrario, Israele ha dato la licenza a dozzine di cave gestite da israeliani su terreni confiscati ai palestinesi.
Una di queste, Nahal Raba, è gestita dalla compagnia tedesca HeidelbergCement, che aiuta Israele a violare le leggi internazionali che vietano il furto di risorse in un territorio occupato.
Rubare la terra
In un caso di studio di una espansione di 96 unità [abitative] nella colonia di Ariel, il rapporto cita il ruolo della catena di agenzie immobiliari globali statunitense RE/MAX e di una banca israeliana che finanziano, commercializzano e traggono profitto dalla colonizzazione illegale della terra palestinese.
Descrive anche l'impatto devastante che Ariel e i suoi continui ampliamenti hanno avuto sui villaggi le cui terre sono state rubate per il loro sviluppo.
Appoggiando queste espansioni immobiliari, secondo il rapporto, imprese come RE/MAX e la banca israeliana "aiutano le colonie illegali in Cisgiordania a funzionare come un mercato immobiliare sostenibile, permettendo al governo di trasferirvi coloni."
Questo trasferimento è un crimine in base alla Quarta Convenzione di Ginevra e allo Statuto di Roma per la [costituzione della] Corte Penale Internazionale.
Human Rights Watch non cita per nome la banca del suo caso di studio, sottolineando che le imprese prese in considerazione nel rapporto sono esempi tra centinaia che fanno affari nelle colonie.
Tuttavia la bruchure pubblicitaria ufficiale di "Ariel Verde", l'ampliamento citato nel rapporto, offre mutui ipotecari della banca Mizrahi Tefahot.
Si tratta di una delle cinque grandi banche israeliane da cui una serie di importanti fondi pensione hanno recentemente disinvestito a causa del loro ruolo nel finanziamento delle colonie.
"Non vendo agli arabi"
Le aziende che finanziano, vendono e promuovono gli insediamenti sono anche parti attive del razzismo contro i palestinesi appoggiato ufficialmente da Israele.
"Dato il carattere quasi esclusivamente ebraico delle colonie e le norme che di fatto impediscono ai residenti palestinesi della Cisgiordania di viverci, gli agenti immobiliari che vi vendono le proprietà contribuiscono concretamente alle discriminazioni contro i palestinesi "afferma Human Rights Watch.
Il rapporto cita fonti israeliane che confermano che lo sviluppo separato e diseguale è la raison d’etre della colonizzazione: la Divisione per la Colonizzazione dell' Organizzazione Sionista Mondiale, appoggiata dal governo, ha affermato, ad esempio, che la colonizzazione in Cisgiordania intende "rafforzare l'insediamento ebraico nella periferia del Paese."
"Non compro dagli o vendo agli arabi. Non è razzismo, solo che non voglio aver a che fare con loro" ha detto a Human Rights Watch un agente immobiliare di RE/MAX che propone in vendita proprietà nelle colonie della Gerusalemme est occupata.
Sembra evidente che simili agenti immobiliari lavorino consciamente e volontariamente in modo discriminatorio.
Lo sfruttamento dei lavoratori
Human Rights Watch si è anche concentrato sulle imprese israeliane che producono lenzuola per un rivenditore statunitense nella zona industriale di Barkan, una colonia in Cisgiordania costruita su terreni confiscati a proprietari palestinesi.
Si tratta di una zona industriale di una ventina gestite da israeliani nella Cisgiordania occupata, dove le imprese possono spostarsi per evitare le norme ambientali.
Questa impresa paga i lavoratori palestinesi molto meno del salario minimo israeliano, approfittando del fatto che le leggi del lavoro israeliane non sono state applicate ai lavoratori palestinesi nelle colonie.
Donne palestinesi ricevono 2 dollari l'ora e dicono di non aver diritto alle vacanze, a giorni di malattia o a straordinari.
Human Rights Watch non fa il nome dell'impresa "perché nel frattempo si è spostata da Barkan in Israele."
Tuttavia la descrizione fornita corrisponde a un'impresa chiamata Royalife, che vende le proprie lenzuola negli Usa tramite il distributore Pottery Barn.
Hani, uno studente universitario palestinese del villaggio di Salfit, ha lavorato in una fabbrica di Barkan che produce le candele di Hanukkah [festa ebraica delle candele Ndtr.].
Ha detto a Human Rights Watch che lavorava con turni di 12 ore al giorno e una sola pausa di 30 minuti. Veniva pagato 2 dollari l'ora, un terzo del salario minimo israeliano.
Il fatto che i lavoratori palestinesi siano totalmente dipendenti dalle autorità dell'occupazione israeliana per i permessi di lavoro rende praticamente impossibile per i palestinesi lottare concretamente contro queste condizioni di sfruttamento.
Human Rights Watch sostiene che la realtà smentisce le affermazioni dei coloni e dei loro sostenitori secondo cui luoghi come Barkan sono modelli di "coesistenza" che costruiscono "ponti di pace".
Questo tipo di propaganda a favore delle colonie è regolarmente promossa da sionisti progressisti negli USA, compresa Jane Eisner, la direttrice di Jewish Daily Forward [giornale di sinistra di New York che si rivolge ad un pubblico ebraico. Ndtr.]
Nel difendere SodaStream ha insistito nel sostenere che l'impresa stava dando "lavoro ben pagato" ai palestinesi e non stava " beneficiando dell'occupazione. "
Ma, afferma Human Rights Watch, "queste rosee affermazioni ignorano il contesto pesantemente discriminatorio in cui le imprese delle colonie operano, e la vulnerabilità dei lavoratori palestinesi agli abusi."
Rifiutare aiuto ad Israele
Tra i suoi suggerimenti, Human Rights Watch sollecita gli Stati a "rifiutarsi di compensare i costi delle spese del governo israeliano nelle colonie revocando i finanziamenti concessi al governo israeliano per una somma pari alle sue spese nelle colonie e nelle relative infrastrutture in Cisgiordania."
Dati i miliardi che si ritiene spenda per le colonie, questo cancellerebbe quasi del tutto gli aiuti ad Israele.
Questo appello a tagliare gli aiuti probabilmente non piacerà all'amministrazione Obama, che si vanta regolarmente che nessun'altra amministrazione è stata così generosa con Israele.
Prima di lasciare il suo incarico il prossimo gennaio, il presidente Barak Obama spera di concludere un accordo che potrebbe veder salire i sussidi militari USA ad Israele fino al 50%.
E mentre l'Unione Europea recentemente ha preso la misura minima di richiedere un'adeguata etichettatura dei prodotti delle colonie, i suoi 28 membri hanno continuato a finanziare generosamente Israele, comprese la sua ricerca militare a la colonizzazione.
Infatti i più fedeli alleati di Israele, che include il governo greco di sinistra di Syriza, stanno attivamente cercando di sabotare la già debole decisione politica di etichettare [i prodotti delle colonie].
In un contesto di tale distruttiva complicità, l'appello di Human Rights Watch a porre fine ad ogni affare con le colonie, anche se tardivo, è una mossa ben accetta nella giusta direzione.
Fornisce un chiaro appoggio e una spinta a coloro che hanno lavorato per anni per fare pressione concreta ed effettiva su Israele e sui suoi complici per porre fine ai loro crimini.
Fonte: Electronic Intifada
Traduzione di BDS Italia