Notizie BDS
Notizie internazionali del movimento globale BDS.
Nuova proposta di legge cerca di mettere fuori legge il boicottaggio - sia di prodotti degli insediamenti sia di Israele
Se sarà approvata, la legge porterà a pesanti sanzioni per le autorità e la popolazione palestines, così come per gli attivisti israeliani e stranieri
21 giugno 2010
Una nuova proposta di legge (di seguito la traduzione integrale), la terza di una serie che cerca di limitare le attività degli attivisti per la pace e per i diritti umani in Israele e nei Territori Palestinesi Occupati (OPT), è stata presentata da un gruppo di deputati alla Knesset.
La prima proposta di legge, presentata a febbraio e denominata "Legge sul finanziamento delle ONG", cerca di limitare i finanziamenti governativi esteri ai gruppi di attivisti in Israele, definendo le loro attività di natura politica e negando loro lo status per l'esenzione fiscale.
La seconda proposta di legge, presentata ad aprile, prevede la chiusura e vieta la registrazione di organizzazioni di beneficienza che forniscano informazioni per cause legali all'estero nei confronti di funzionari israeliani sospettati di aver commesso crimini di guerra. Questa legge è conosciuta come la "Legge sulla giurisdizione universale".
La terza proposta di legge, presentata alla Commissione per il diritto del Knesset per l'approvazione il 15 giugno da 24 deputati, sia della maggioranza sia dell'opposizione, è più completa, e cerca di mettere fuori legge qualsiasi attività di promozione di qualsiasi tipo di boicottaggio contro organizzazioni, individui o prodotti israeliani, sia negli insediamenti illegali nei Territori Occupati Palestinesi (OPT) sia in Israele.
Di sesguito un estratto del rapporto del 7 giugno 2010 di Richard Falk, relatore speciale dell'ONU per i diritti umani nei territori palestinesi occupati.
VII. Boicottaggio, disinvestimento e sanzioni
38. L'operazione Piombo Fuso ha scioccato la coscienza dell'umanità, accrescendo nel mondo i sentimenti di solidarietà alla terribile esperienza e alla lotta del popolo palestinese. Questi sentimenti sono stati intensificati dalla consapevolezza che, nè gli stati confinanti, nè le Nazioni Unite, nè i loro membri più potenti, volevano o erano capaci di proteggere il popolo palestinese e difendere i loro diritti. La scena di un popolo sotto assedio, che dura ora da più di trenta mesi nella Striscia di Gaza, ha acuito il senso che ci sia una certa responsabilità per le persone di ogni dove in merito ad intraprendere azioni appropriate e nonviolente. La campagna globale di Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS) della società civile, che mira all'apporto di una pressione sociale ed economica nonviolenta per condurre alla fine dell'occupazione da parte di Israele, è lo sviluppo di questi sentimenti e si sta espandendo con notevole velocità durante gli ultimi anni. Questa percezione di un movimento anti-occupazione di portata mondiale somiglia in molti aspetti al movimento anti-apartheid che ha contribuito in modo importante alla trasformazione del clima politico in Sud Africa negli ultimi anni Ottanta.
22 giugno 2010
di Shani Ayala e Ofer Neiman
"Israele non cambierà a meno che lo status quo non abbia implicazioni negative" - queste parole sono state scritte dal giornalista Tony Karon, un Ebreo del Sud Africa. Questa frase rispecchia la logica dietro alla vasta campagna BDS – caratterizzata da sanzioni, boicottaggio istituzionale e disinvestimento – che ha iniziato a penetrare nella coscienza pubblica in Israele. Invece di una risposta difensiva, supponente, in linea con l'idea "il mondo intero è contro di noi", sarebbe meglio conoscere i dettagli della campagna e guardarsi allo specchio collettivo, che riflette le gravi e sistematiche violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale.
L'attuale movimento BDS ha avuto originariamente inizio con un appello all'azione, lanciato nel 2005, e firmato da oltre 170 organizzazioni della società palestinese: i cittadini di Israele, i profughi in esilio e i palestinesi che vivono sotto l'occupazione in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. L'appello all'azione è stato pubblicato anche in ebraico e i cittadini di Israele sono invitati a dare il proprio sostegno. È per questo scopo che è stato fondato il gruppo israeliano "Boycott! Sostenere l'appello BDS palestinese dall'interno".
- Uomini d'affari dicono che Israele non sostiene le industrie degli insediamenti
- Industriali esaminano modi per aggirare il boicottaggio
- Palestinesi che lavorano negli insediamenti potrebbero essere messi in prigione
Mishor Adumim, Cisgiordania, 27 maggio (Reuters) - Imprenditori israeliani in un parco industriale nei territori occupati della Cisgiordania stanno ripensando le loro strategie commerciali per affrontare il boicottaggio palestinese di beni prodotti negli insediamenti ebraici.
Contemporaneamente, le aziende sono furiose con il governo israeliano, in quanto, dicono, la più rigorosa applicazione della legge del lavoro, che li costringe a pagare ai palestinesi il salario minimo israeliano, è più dannosa delle stesse sanzioni palestinesi commerciali e sul lavoro.
Il complesso industriale di Mishor Adumim e altre fabbriche costruite in o vicino a insediamenti in Cisgiordania, è uno degli obiettivi di un nuovo divieto palestinese di merci prodotte nei territori occupati e di legami commerciali con i loro produttori.
"Il danno del boicottaggio palestinese non è tale da portare alla chiusura di una fabbrica, tuttavia le zone industriali al di là della Linea Verde (il confine israeliano pre-occupazione) hanno subito parecchi colpi ultimamente," ha detto a Reuters Avi Elkayam, un ristoratore che presiede il comitato dei produttori di Mishor Adumim.
Leggi: Le imprese degli insediamenti valutano l'impatto del divieto palestinese
Cisgiordania (Reuters) – L'agricoltore palestinese Nasser Ismail spera che i datteri che coltiva nella Valle del Giordano gli conquisterà spazio sugli scaffali dei supermercati in Europa, ora occupati dai suoi vicini coloni ebrei che vendono lo stesso prodotto ad un prezzo elevato.
Sono sempre di più i palestinesi che guardano verso le palme da dattero nella ricerca di modi per ricavare una vita dalla terra della Cisgiordania coltivata dalle loro famiglie da generazioni. Oggi, molti lottano per la sopravvivenza.
Ad ovest del fiume biblico, un lento torrente di 100 km, che segna il confine con il regno di Giordania dal Mare di Galilea al Mar Morto, molte delle coltivazioni palestinesi sono ora abbandonate, a metà stagione, per mancanza di acqua, una risorsa in gran parte controllata da Israele da quando ha occupato i territori nel 1967.
Ad aggravare i loro problemi, gli agricoltori dicono che esportare attraverso i confini controllati da Israele è complicato e richiede molto tempo nella migliore delle ipotesi, è impossibile nella peggiore. La maggior parte ha rinunciato.
In Jiftlik, un villaggio rurale nel cuore della valle assolata, i piccoli proprietari parlano di abbandonare del tutto la terra.
Eppure, nella stessa regione, nelle terre adiacenti alle coltivazioni palestinesi, i coloni israeliani con migliori approvvigionamenti di acqua hanno costruito un settore agricolo descritto dal loro sindaco come "una miniera d'oro".
14 giugno 2010
In esclusiva da Yehuda Talmon: "Le aziende che in passato sono state orgogliose dei loro legami con il Ministero della Difesa cancellano le tracce dai loro siti, in quanto questo è diventato motivo per interrompere i rapporti commerciali."
Imprenditori israeliani hanno ricevuto circa dieci lettere nel corso delle ultime due settimane dai loro colleghi in Italia, Germania e Svezia, i quali chiedono una dichiarazione che non fabbricano prodotti "dual use" - per uso civile e sicurezza.
Le società che hanno inviato le lettere hanno detto che se non ricevono questo tipo di conferma, i loro codici etici li obbligano a interrompere i rapporti con le aziende israeliane, ha dichiarato ieri Yehuda Talmon, capo dell'Organizzazione degli appaltatori indipendenti (Lahav).
"Il fenomeno ha avuto inzio con l'arrivo di comunicazioni da parte di imprenditori europei, inclusi quelli che le quali hanno rapporti commerciali da 10 a 20 anni , all'ufficio della presidenza di Lahav. Nelle comunicazioni, affermavano che, secondo il codice etico della loro società, è vietato fare affari con chi fabbrica prodotti "dual use", direttamente o indirettamente".
Leggi: Dopo il caso "Flottiglia" gli imprenditori europei: Ci è vietato fare affari con voi
10 giugno 2010
Il Commissario UE al Commercio, Karel De Gucht, e il Ministro palestinese dell'Economia Nazionale, Hasan Abu-Libdeh, hanno discusso oggi le misure per migliorare le relazioni commerciali bilaterali tra la UE e la Palestina e di agevolare la commercializzazione dei prodotti palestinesi sui mercati dell'UE.
Il Commissario Karel De Gucht ha dichiarato: "La Commissione Europea proporrà nei prossimi mesi la concessione di accesso libero da dazi e quote per le esportazioni palestinesi verso l'Unione Europea. Ciò migliorerebbe l'accesso delle esportazioni palestinesi verso i mercati UE al di là del nostro attuale accordo di libero scambio e contribuirebbe a rilanciare il settore privato. L'UE continuerà inoltre a sostenere la richiesta palestinese di diventare un osservatore dell'Organizzazione mondiale del commercio come un primo passo verso l'integrazione nel sistema commerciale multilaterale e come parte fondamentale del processo di costruzione dello Stato."
Bloccate il carico e lo scarico delle navi israeliane
Finché Israele non rispetti pienamente il diritto internazionale e metta fine al suo assedio illegale di Gaza
Il movimento sindacale palestinese, soggetto chiave del Comitato nazionale per il "boicottaggio, disinvestimento, sanzioni" fa appello ai sindacati dei lavoratori portuali in tutto il mondo perché blocchino il commercio marittimo israeliano in risposta al massacro operato da Israele di lavoratori e attivisti umanitari a bordo della Flotta per la libertà di Gaza, finché Israele non rispetti il diritto internazionale e metta fine al suo illegale blocco di Gaza. Ubriaco di potere e impunità, Israele ha ignorato i recenti appelli del Segretario generale delle Nazioni Unite e il quasi generale consenso dei Governi del mondo per la fine dell'assedio, scaricando l'onere sulla società civile internazionale di sostenere la responsabilità morale di obbligare Israele a rendere conto di fronte al diritto internazionale, per mettere fine alla sua impunità criminale. I lavoratori portuali nel mondo hanno storicamente contribuito alla lotta contro l'ingiustizia, e in modo particolare contro il regime di apartheid in Sud Africa, quando i portuali hanno rifiutato di caricare/scaricare i cargo da e per il Sud Africa come uno dei mezzi più efficaci di protesta contro il regime di apartheid.
Leggi: Appello dei sindacati palestinesi al sindacato internazionale dei portuali
26 maggio 2010
In questi giorni si svolgono due iniziative importanti promosse dal movimento di solidarietà internazionale con la Palestina: la campagna Stop Agrexco in Italia (attiva anche in Inghilterra e in Francia) e la partenza di 8 navi "La flotta della libertà" per raggiungere Gaza con aiuti umanitari e circa 800, tra attivisti e parlamentari, a bordo.
Nel primo caso si tratta di una campagna volta al boicottaggio dei prodotti ortofrutticoli provenienti da Israele e commercializzati dalla società Carmel-Agrexco. I gruppi e le associazioni aderenti a questa campagna hanno scritto e si sono incontrati con i responsabili della Coop Italia spiegando le ragioni dell'iniziativa.
In risposta, la Coop ha deciso di sospendere la commercializzazione di tali prodotti etichettati "made in Israel", ma in parte provenienti dagli illegali insediamenti israeliani nei territori occupati, al "fine – dice un suo comunicato – di valutare se esistono possibilità di specificare maggiormente l'origine, così da salvaguardare un diritto di informazione al consumatore".
Questa decisione, corretta e rispettosa sia dei consumatori che della legalità, ha conquistato l'onore delle cronache, in particolare per reazioni scomposte e accuse alla Coop di razzismo e discriminazione verso Israele. Alcuni parlamentari - purtroppo anche del centrosinistra – sono insorti contro questa decisione.
16 maggio 2010
Mentre il boicottaggio internazionale contro l'apartheid del Sud Africa si ritiene che abbia contribuito alla caduta del regime, in Israele è considerato irrilevante e non confrontabile.
di Gideon Levy
La maggior parte degli israeliani è inorridita dall'idea che qualcuno al di là dei nostri confini possa prendere in considerazione il boicottaggio del nostro paese, i nostri prodotti o università. Il Boicottaggio, dopo tutto, è considerato illegittimo in Israele. Chi chiede tale misure è percepito come un antisemita che odia Israele e che sta minando il diritto stesso dello stato ad esistere. In Israele, quelli che chiedono il boicottaggio sono bollati come traditori ed eretici. Non è tollerata l'idea che un boicottaggio, per quanto limitato, possa convincere Israele a cambiare le sue politiche - e per il proprio vantaggio.
Perfino un evidente, logico passo - come il boicottaggio da parte dell'Autorità palestinese di prodotti realizzati negli insediamenti - è visto da occhi ipocriti israeliani come una provocazione. Inoltre, mentre il boicottaggio internazionale contro l'apartheid in Sud Africa si ritiene che abbia contribuito alla caduta del regime, in Israele è considerato irrilevante e non confrontabile.
Sarebbe possibile immedesimarsi in queste reazioni intolleranti, se non fosse per il fatto che Israele stesso è uno dei più prolifici "boicottatori" del mondo. Non solo pratica il boicottaggio, ma fa anche la predica agli altri di mettersi in riga, a volte costringendoli. Israele ha imposto un boicottaggio culturale, accademico, politico, economico e militare sui territori occupati. Allo stesso tempo, quasi nessuno qui in Israele dice una parola di dissenso mettendo in discussione la legittimità di questi boicottaggi. Il solo pensiero di boicottare il boicottatore? Questo è inconcepibile.