LIBERTÀ. GIUSTIZIA. UGUAGLIANZA.

Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni per i diritti del popolo palestinese.

22 giugno 2010

di Shani Ayala e Ofer Neiman

"Israele non cambierà a meno che lo status quo non abbia implicazioni negative" - queste parole sono state scritte dal giornalista Tony Karon, un Ebreo del Sud Africa. Questa frase rispecchia la logica dietro alla vasta campagna BDS – caratterizzata da sanzioni, boicottaggio istituzionale e disinvestimento – che ha iniziato a penetrare nella coscienza pubblica in Israele. Invece di una risposta difensiva, supponente, in linea con l'idea "il mondo intero è contro di noi", sarebbe meglio conoscere i dettagli della campagna e guardarsi allo specchio collettivo, che riflette le gravi e sistematiche violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale.

L'attuale movimento BDS ha avuto originariamente inizio con un appello all'azione, lanciato nel 2005, e firmato da oltre 170 organizzazioni della società palestinese: i cittadini di Israele, i profughi in esilio e i palestinesi che vivono sotto l'occupazione in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. L'appello all'azione è stato pubblicato anche in ebraico e i cittadini di Israele sono invitati a dare il proprio sostegno. È per questo scopo che è stato fondato il gruppo israeliano "Boycott! Sostenere l'appello BDS palestinese dall'interno".

Il movimento BDS sviluppatosi in risposta all'appello palestinese d'azione non ha alcuna leadership formale centrale. Normali cittadini di tutto il mondo, tra cui molti ebrei, avviano iniziative e vi partecipano. L'obiettivo del movimento è quello di dimostrare a Israele il disgusto e il rifiuto della comunità internazionale per le sue azioni, in modo che Israele agisca per fare cessare immediatamente l'occupazione, porre termine alle discriminazioni contro i cittadini arabi di Israele, e riconoscere il diritto di ritorno dei profughi, in quanto formulato nella risoluzione 194 delle Nazioni Unite. Gli elementi di oppressione ai quali il movimento intende mettere fine corrispondono alla definizione giuridica del crimine di apartheid – la sistematica e istituzionalizzata separazione razziale, come avveniva un tempo in Sud Africa.

Il movimento non promuove alcuna specifica soluzione politica (uno stato o due, il ritorno di un determinato numero di rifugiati), ma piuttosto, si impegna a cambiare in modo nonviolento i rapporti di forza che rendono possibile per i governi israeliani di negare con la violenza i diritti fondamentali di milioni di persone, e di rinunciare alle loro responsabilità con dichiarazioni infondate ("il problema dei profughi è colpa degli arabi", "gli insediamenti sono legali", "non c'è nessun assedio su Gaza".)

Va sottolineato che il boicottaggio non è un boicottaggio personale contro gli israeliani ma, piuttosto, un boicottaggio delle istituzioni ufficiali israeliane e delle iniziative che si svolgono sotto il loro patrocinio. Quindi, per esempio, non c'è un appello per negare una ricercatrice israeliana il suo diritto a tenere lezioni all'estero. Invece, si fa appello contro lo svolgimento di conferenze internazionali nelle università israeliane che proclamano con orgoglio i loro legami con le istituzioni militari.

Israele viene ingiustamente bersagliato? Come è stato vero nel Sud Africa bianco, il mondo è giustamente sensibile a situazioni in cui una popolazione che gode di diritti civili determina il destino di un'altra popolazione, la quale non ha né diritti civili né il diritto di voto. La giustizia non è sempre una caratteristica delle relazioni internazionali, ma Israele gode di molti privilegi internazionali, come l'appartenenza all'OCSE. I cittadini di Cina, dove hanno luogo gravi violazioni dei diritti umani, non hanno mai avuto l'opportunità di esprimere una mancanza di fiducia nel governo che ha represso con la forza le manifestazioni studentesche del 1989. Al contrario, i cittadini di Israele esprimono il loro voto alle urne volta dopo volta per i partiti (compresi Kadima e Labour) e i governi sotto la cui amministrazione insediamenti sono costruiti, le persone sono torturate e detenute per anni senza processo, i cittadini inermi vengono uccisi, e le terre e le risorse idriche sono saccheggiate.

Tante persone in tutto il mondo chiedono, quindi, se ci siano buone ragioni per la normalizzazione dei rapporti con Israele. I portuali in Svezia e Norvegia, paesi che storicamente hanno avuto molto simpatia per Israele, si rifiutano di scaricare le navi container israeliane. Gli artisti chiedono perché fare spettacoli in Israele e rafforzare il senso di "business as usual", quando il fatto stesso del loro spettacolo sarà ritratto come un sostegno alla politica di Israele.

Un dibattito pubblico, profondo e di ampio respiro è necessario in questo momento, non solo sulla questione se il boicottaggio sia o non sia giustificato, ma sulla politica di Israele. Molti israeliani riconoscono gli atti odiosi fatti in nostro nome, sotto i nostri occhi. È giusto che una campagna efficace e nonviolenta contro queste azioni abbia il loro sostegno.

Gli autori sono attivi nel gruppo israeliano: "Boycott! Sostenere l'appello BDS palestinese dall'interno ".

Questo articolo è stato pubblicato originariamente in ebraico su Haaretz Online, 22 giugno 2010.

Tradotto dall'ebraico da Dena Bügel-Shunra, di Shunra Media.

Fonte in inglese: Jews Sans Frontieres