10 maggio 2010
di Akiva Eldar
Supponete che un gruppo palestinese riesca a far nascere nella Valle del Giordano un nuovo insediamento nelle terre abbandonate dai rifugiati della guerra del 1967. Cosa avrebbe da dire il vostro comune patriottismo israeliano di un appaltatore israeliano che accetti di costruirlo o di lavoratori israeliani che si arrampichino sulle impalcature palestinesi? Quali grida sentiremmo dalla destra israeliana contro questi traditori! Nessun timore, le nostre forze non permetteranno mai ai non circoncisi di piantare neanche un piolo nei territori occupati sotto completo controllo israeliano (circa il 60% della Cisgiordania) . L'immagine di ebrei che costruiscono case per i palestinesi e' stata creata solo per il bene della discussione - in particolare per parlare delle proteste in Israele contro il divieto imposto dall'Autorita' Palestinese (AP) contro gli arabi che lavorano negli insediamenti.
Richiede non certo una piccola dose di coraggio minacciare i palestinesi di danneggiare la loro economia se si rifiutano di costruire insediamenti israeliani sulle loro terre. Solo a noi e' permesso minacciare ogni lunedi' e martedi' il boicottaggio nei confronti degli stati che osano criticarci. D'altronde, com'e' noto, abbiamo il monopolio del patriottismo. Ricordate il trattamento che le milizie Etzel and Lehi riservavano alle ragazze ebree che andavano con i soldati inglesi?
"Compra prodotti israeliani" e' un concetto etico importante - con enfasi sul termine "israeliano" . Molti israeliani, compreso chi scrive, e pacifisti in tutto il mondo boicottano i prodotti fatti all'interno degli insediamenti. Ma se gli operai palestinesi osano lasciare il loro lavoro nella zona industriale di Barkan in Cisgiordania, il presidente dell'associazione manifatturiera, Shraga Brosh, dichiara che si assicurera' che il governo blocchi il porto di Haifa ai prodotti palestinesi.
L'intero mondo, con i nostri amici americani in testa, insiste nel dire che la crescita degli insediamenti in Cisgiordania e a Gerusalemme Est non si conciliano con la soluzione "due stati per due popoli". Come si puo' pretendere che la leadership palestinese resti inoperosa mentre 25 000 palestinesi mettono un timbro di approvazione sull'occupazione con il loro stesso lavoro e il sudore della loro fronte? Il protocollo di Parigi - l'accordo economico tra israele e AP - non obbliga gli israeliani ad impiegare manodopera palestinese a Kfar Sava, allo stesso modo non impedisce ai palestinesi di imporre restrizioni agli arabi che lavorano ad Ariel.
L'agitazione creata dalla campagna economica dell'AP contro gli insediamenti indica, piu' di ogni altra cosa, come la mentalita' colonialista abbia segnato le coscienze israeliane. Le proteste contro le perdite minacciate di tagliatori di legna e portatori d'acqua mostrano quanto sia difficile scrollarsi di dosso l'atteggiamento padrone-servo che si e' fatto strada negli ultimi 43 anni. Il divario tra le economie di Israele e dei territori occupati, le restrizioni di sicurezza per entrare in Israele e per muoversi all'interno dei territori occupati, e la discriminazione in favore dei prodotti israeliani hanno forzato la manodopera della Cisgiordania a lavorare all'interno degli insediamenti. Anche i coloni sono diventati dipendenti da questa relazione asimmetrica tra loro e i locali: per quale motivo dovrebbero ospitare lavoratori cinesi nella loro terra santa se possono avere a basso costo operai palestinesi che alla fine della giornata tornano a casa propria.
Se il governo israeliano fosse genuinamente interessatto alla divisione della terra, seguirebbe i passi della PA e si tirerebbe fuori dagli insediamenti. Oltre a congelare le costruzioni negli insediamenti, dovrebbe cancellare i benefici speciali di cui godono le zone industriali nei territori occupati, che attirano avidi imprenditori. Invece di incoraggiare insediamenti al di la' della Linea Verde, il governo israeliano dovrebbe promuove leggi per ricompensare i coloni desiderosi di tornare a casa. Invece di nascondersi dietro l'affermazione ipocrita che cio' permette la sussistenza di migliaia di lavoratori locali, il governo dovrebbe aprire il mercato israeliano ad un amggior numero di beni e lavoratori provenienti dai territori occupati.
Nel frattempo, cosa succedera' ai lavoratori obbligati dall'Autorita' Palestinese a lasciare i cantieri, i campi e le industrie che i coloni hanno costruito sul territorio palestinese? Chi sfamera' le decine di migliaia di famiglie di quei capifamiglia che perderanno il lavoro? Il ministro dell'economia palestinese, Hassan Abu Libdeh, ha promesso che, prima che entri in vigore la regolamentazione del boicottaggio, il governo di Salam Fayyed aiutera' quanti lavorano negli insediamenti a trovare lavoro all'interno dell'AP. Il boicottaggio della produzione degli insediamenti, ha affermato, ha gia' indotto un maggior consumo di beni prodotti da stabilimenti palestinesi e una domanda di lavoro locale.
Traduzione a cura di Giampiero Ruani
Fonte: Haaretz