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Notizie BDS

Notizie internazionali del movimento globale BDS.

Perché medici e professionisti della salute dovrebbero occuparsi della guerra?

Lo dice chiaramente la “Dichiarazione in favore della pace delle società scientifiche sanitarie” promossa dall’Associazione italiana di epidemiologia (Aie), insieme alla rivista Epidemiologia & Prevenzione (E&P): chi ha il compito professionale e morale di operare per il diritto alla salute non può non considerare uno dei suoi principali determinanti: il militarismo e le guerre a esso collegate.

Nel suo recentissimo libro Guerra o salute: dalle evidenze scientifiche alla promozione della pace, Pirous Fateh-Moghadem analizza in modo estremamente documentato alcune caratteristiche intrinseche di tutti i conflitti armati, compresa l’impossibilità di discriminare tra obiettivi militari e civili (inclusi ospedali e strutture sanitarie).

Nelle guerre più recenti, tuttavia, abbiamo assistito a un tragico salto di paradigma: la distruzione di ospedali si trasforma da “danno collaterale”, ossia conseguenza indesiderata dovuta appunto all’incapacità di distinguere tra obiettivi legittimi e no, in un vero e proprio obiettivo intenzionale. Gaza ne è un esempio eclatante.

Dal 7 ottobre 2023 la Striscia di Gaza [1] è sotto continuo bombardamento da parte dell’esercito israeliano, con più di 11.500 vittime (tra cui circa 4.500 bambini) e oltre 20.000 feriti, sfollamenti di massa della popolazione e diffusa distruzione di proprietà civili e infrastrutture. In questo periodo l’Organizzazione mondiale della sanità ha registrato 335 attacchi all’assistenza sanitaria nei territori palestinesi occupati, 178 dei quali nella Striscia di Gaza con 202 morti tra gli operatori sanitari in servizio. A seguito di questi attacchi e della carenza di carburante, medicinali, acqua potabile e altre risorse essenziali, la capacità dei posti letto ospedalieri a Gaza è scesa da 3.500 prima del 7 ottobre a 1.400, lasciando lacune critiche per i pazienti con ferite e altre malattie che richiedono il ricovero ospedaliero [2].

Questa guerra di Gaza, talmente asimmetrica nel dispiegamento delle sue opposte forze da non essere degna – secondo l’intellettuale americano Noam Chomsky – di questo nome, appare sempre più come una “guerra agli ospedali”.

Da quando Hamas ha vinto libere elezioni legislative palestinesi nel 2006, Israele ha ripetutamente affermato che le strutture civili a Gaza, come università, scuole e, soprattutto, ospedali, sono nascondigli per Hamas e le sue armi. Sebbene privo di prove concrete a sostegno di tali affermazioni, le ha ripetutamente utilizzate per giustificare il bombardamento di strutture civili.

In realtà, al di là dell’ovvia debolezza della tesi del “danno collaterale”, questa guerra di Gaza, talmente asimmetrica nel dispiegamento delle sue opposte forze da non essere degna, secondo l’intellettuale americano Noam Chomsky [3], di questo nome, appare sempre più come una “guerra agli ospedali”.

È ciò che è successo all’ospedale al Shifa, il più grande dell’intera Palestina occupata. Racconta così quel momento Chris Hedges, giornalista ed ex corrispondente di guerra statunitense:

“È notte. I carri armati israeliani sparano direttamente verso il complesso ospedaliero. Lunghi lampi rossi orizzontali. Un attacco deliberato a un ospedale. Un crimine di guerra deliberato. Un massacro deliberato dei civili più indifesi, compresi i malati più gravi e i neonati. … Ci sediamo davanti ai monitor. Restiamo in silenzio. Sappiamo cosa significa. Senza energia. No acqua. Senza internet. Nessuna fornitura medica. Ogni bambino in un’incubatrice morirà. Ogni paziente in dialisi morirà. Tutti quelli che si trovano nel reparto di terapia intensiva moriranno. Tutti coloro che hanno bisogno di ossigeno moriranno. Tutti coloro che avranno bisogno di un intervento chirurgico d’urgenza moriranno” [4].

Ma perché gli ospedali?

Secondo Nadav Weiman, ex-soldato israeliano, membro dell’ong Breaking the Silence, Israele sta applicando la “dottrina Dahiya” [5], elaborata nel 2006 dopo la guerra contro il Libano da una think tank dell’università di Tel Aviv. Tale strategia militare, utilizzata anche nell’attacco a Gaza del 2014, prevede l’uso di una forza sproporzionata sulle infrastrutture civili allo scopo di creare deterrenza. Con risultati fallimentari, si direbbe osservando gli eventi in corso. Tuttavia, se il risultato finale atteso non fosse tanto “scoraggiare” il nemico, ma l’azzeramento del sistema sanitario di Gaza avesse un altro fine, allora l’efficacia della “dottrina Dahiya” apparirebbe in tutta la sua disumana efficacia.

A detta di più di 800 esperti di studi sull’olocausto e sul genocidio [6] le forze israeliane stanno commettendo un genocidio contro i palestinesi nella Striscia di Gaza. Dello stesso parere è Craig Mokhiber, dell’Alto commissariato per i diritti umani presso le Nazioni Unite, dimessosi dal suo incarico denunciando che “ancora una volta, stiamo assistendo a un genocidio sotto i nostri occhi e l’Onu sembra impotente a fermarlo” [7].

Le esplicite dichiarazioni di leader israeliani come Netanyahu, il presidente Herzog e il ministro della difesa Yoav Gallant confermano l’intento di commettere un genocidio. Gallant ha emesso il famigerato decreto che nega alla popolazione di Gaza cibo, acqua, carburante ed elettricità e paragona i civili palestinesi assediati ad “animali umani” che meritano di essere trattati “di conseguenza”, un linguaggio disumanizzante che dimostra l’intento genocida [8].

Israele, quindi, non sta facendo una guerra, non sta attaccando gli ospedali di Gaza perché sono “centri di comando di Hamas”. Israele sta sistematicamente e deliberatamente distruggendo le infrastrutture mediche di Gaza come parte di una campagna di terra bruciata per rendere Gaza inabitabile: una nuova Nakba [9], la totale pulizia etnica della Striscia di Gaza, e verosimilmente dell’intera Palestina occupata.

“Gli ospedali godono di protezioni speciali ai sensi del diritto internazionale umanitario”, ha affermato Omar Shakir, direttore di Human Rights Watch per Israele e Palestina. Inoltre, Israele come potenza occupante ha il “dovere di assicurare e mantenere, (…) le strutture e i servizi medici e ospedalieri, la sanità pubblica e l'igiene nel territorio occupato” [10].

Se perdiamo di vista l’etica professionale e il diritto internazionale volti a tutelare l’assistenza sanitaria, anche in tempo di guerra, finiamo in un percorso molto cupo che alcuni medici in Israele sembrerebbero indicare.

L’abisso morale rappresentato dalla guerra a Gaza non finisce qui. Un gruppo di circa cento “Medici per i diritti dei soldati israeliani” ha firmato una dichiarazione a favore del bombardamento dell’ospedale Al-Shifa, come “diritto legittimo” da parte dell’esercito israeliano [11].

La lettera rappresenta un’ovvia negazione della Dichiarazione di Ginevra, il “moderno giuramento di Ippocrate” della World Medical Association, particolarmente rilevante dopo i crimini medici commessi dal nazifascismo in Germania. La lettera dei medici israeliani rappresenta un rifiuto freddo, calcolato e flagrante dell’intera base di tale etica, vale a dire la nostra comune umanità e l’impegno a fornire assistenza sanitaria indipendentemente da chi ne abbia bisogno.

La loro lettera, improntata alla ripetizione costante del mantra dell’“autodifesa” intende far sì che il bombardamento degli ospedali – pieni di malati, feriti, personale medico e migliaia di persone che non hanno altro posto dove andare – diventi legittimo. I civili vengono improvvisamente resi non-persone, irrilevanti o superflui, semplicemente sulla base del fatto (non provato) che alcuni combattenti utilizzino lo stesso edificio.

Trovo singolare che il commento del direttore del Lancet al lavoro della "Commission on Medicine, Nazism, and the Holocaust”, il cui scopo è di “recuperare (…) i valori indivisibili e universali dell’umanità, della dignità umana e della difesa dei diritti individuali”, non citi questa notizia apparsa sui media internazionali ben due settimane prima della pubblicazione della sua rivista [12].

Se perdiamo di vista l’etica professionale e il diritto internazionale volti a tutelare l’assistenza sanitaria, anche in tempo di guerra, finiamo in un percorso molto cupo che alcuni medici in Israele sembrerebbero indicare. Ma che sono certo non riflettono le molte voci ebraiche coraggiose e convincenti che chiedono la pace.

Angelo Stefanini
Co-fondatore del Centro Salute Internazionale (CSI), Università di Bologna
Volontario del PCRF – Palestine Children’s Relief Fund

Bibliografia

  1. 365 km2, meno del comune di Ferrara ma con quasi 20 volte la sua popolazione.
  2. Who appalled by latest attack on Indonesian Hospital in Gaza, 20 novembre 2023
  3. Secondo il filosofo Noam Chomsky “Israele utilizza sofisticati aerei d’attacco e navi militari per bombardare campi profughi densamente affollati, scuole, condomini, moschee e baraccopoli, per attaccare una popolazione che non ha aviazione, difesa aerea, marina, mezzi pesanti, armi, nessuna unità di artiglieria, nessun armamento meccanizzato, nessun comando di controllo, nessun esercito… e la chiama guerra. Non è una guerra, è un omicidio”.
  4. Hedges C. The Horror, The Horror. The Chris Hedges Report, 11 novembre 2023.
  5. Weiman N. La “Dottrina Dahiya” e i deliberati bombardamenti di Israele sui civili di Gaza. Altreconomia, 15 novembre 2023.
  6. Public statement: Scholars warn of potential genocide in Gaza. TWAIL Review, 17 ottobre 2023.
  7. Mokhiber C. Palestina. “Un genocidio che si sta svolgendo sotto i nostri occhi”. Orient XXI, 6 novembre 2023.
  8. Fabian E. Defense minister announces ‘complete siege’ of Gaza: No power, food or fuel. The Times of Israel, 9 ottobre 2023.
  9. Al-Mughrabi N. Palestinians leaving besieged Gaza City fear new Nakba. Reuters, 9 novembre 2023.
  10. Durgham N. Israel-Palestine war: How and why did Gaza hospitals become primary targets? Middle East Eye, 14 novembre 2023.
  11. Deveci M. Israeli doctors group calls for bombing Al-Shifa hospital in Gaza. Anadolu Agency, 5 novembre 2023.
  12. Horton R. Medicine and the Holocaust—it’s time to teach. Lancet 2023; 394: 105.

Fonte: https://ilpunto.it/gaza-una-sfida-al-diritto-internazionale-e-alletica-medica/

I sindacati palestinesi chiedono alle loro controparti indiane di respingere qualsiasi accordo con il regime di apartheid israeliano che faciliterebbe la sostituzione dei lavoratori palestinesi con lavoratori indiani

I sindacati palestinesi chiedono alle loro controparti indiane di respingere qualsiasi accordo con il regime di apartheid israeliano che faciliterebbe la sostituzione dei lavoratori palestinesi con lavoratori indiani come parte della politica israeliana di assedio della popolazione palestinese. Se verrà approvato, l'accordo proposto rafforzerà la complicità dell'India nei gravi abusi di Israele contro il popolo palestinese. 

Israele sta portando avanti una guerra genocida contro 2,3 milioni di palestinesi nella Striscia di Gaza occupata e assediata, (NdT, al 13 nov. 2023) sono state uccise oltre 10.000 persone, tra cui oltre 4.500 bambini. Per 75 anni Israele ha imposto un regime di apartheid e colonialismo contro il popolo palestinese. La distruzione sistematica dell'economia palestinese da parte di Israele, le sue leggi discriminatorie e razziste e le sue restrizioni alla libertà di movimento e associazione, che colpiscono tutti i palestinesi, compresi i lavoratori, sono aspetti di questo regime coloniale di insediamento e di apartheid. 

Migliaia di lavoratori palestinesi affrontano umiliazioni e abusi quotidiani ai posti di blocco dell’esercito israeliano. Migliaia di lavoratori palestinesi in Israele sono stati detenuti e torturati nelle carceri israeliane della Cisgiordania occupata mentre Israele effettuava i suoi bombardamenti a tappeto su Gaza e molti hanno perso i loro mezzi di sussistenza a causa di ulteriori restrizioni ai movimenti. 

La richiesta di un simile accordo con l'India riflette il razzismo e la mercificazione dei lavoratori indiani da parte di Israele, dove viene chiesto loro di “sostituire” un altro gruppo di lavoratori che subiscono il genocidio. Questo razzismo si estende anche ad altri lavoratori migranti asiatici. Ad esempio, Human Rights Watch ha documentato gli abusi sui lavoratori tailandesi nel settore agricolo israeliano. 

Chiediamo un rinnovamento della solidarietà tra i lavoratori del Sud del mondo, in particolare tra i lavoratori indiani e palestinesi. Con l’aumento del commercio di armi e di prodotti agricoli tra India e Israele, la storica solidarietà dell’India con il popolo palestinese si è erosa. Ciò si è riflesso nell'astensione dell'India al voto dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite per un cessate il fuoco umanitario a Gaza. 

Ringraziamo i sindacati indiani, tra cui la federazione Construction Workers Federation of India, che si sono opposti a questo accordo in particolare. Chiediamo a tutti i sindacati indiani, e ai lavoratori in generale, di:

1. Rifiutare qualsiasi accordo razzista con Israele che faciliterebbe la sostituzione e l’ulteriore oppressione dei lavoratori palestinesi. Questo ci disumanizza tutti.

2. Sostenere le azioni sindacali volte a boicottare le aziende complici del regime di apartheid israeliano e del genocidio del popolo palestinese, e rifiutare la movimentazione delle merci israeliane, come stanno facendo i lavoratori di tutto il mondo e come avevano fatto in passato i lavoratori indiani al porto di Cochin.

3. Unirsi al grande movimento internazionale che chiede il cessate il fuoco e l'assunzione di responsabilità per i crimini contro il popolo palestinese.

Firmato:

  • Unione generale dei lavoratori palestinesi.
  • Unione palestinese dei lavoratori delle poste, dell'informatica e delle telecomunicazioni.
  • Federazione palestinese dei nuovi sindacati.
  • Federazione dei sindacati indipendenti.

Di Omar Barghouti, co-fondatore del movimento BDS

L’obbligo etico più profondo in questo momento di carneficina è quello di agire per porre fine alla complicità

In tempi di carneficine, di agitazione gregaria e di polarizzazione tribale, molti potrebbero liquidare i principi etici come una seccatura o un lusso intellettuale. Io non posso e non voglio. Non desidero altro che vedere la fine di ogni violenza in Palestina e in ogni altro luogo, e proprio per questo mi impegno a lottare contro le cause profonde della violenza: l’oppressione e l’ingiustizia.

Ho cari amici e colleghi nel “campo di prigionia” di Gaza, come lo ha definito una volta l’ex primo ministro britannico David Cameron, un ghetto moderno i cui 2,3 milioni di residenti sono prevalentemente rifugiati che discendono da comunità che hanno subito massacri e pulizia etnica pianificata durante la Nakba del 1948. Il blocco illegale in atto da 16 anni da parte Israele, con l’aiuto degli Stati Uniti, dell’Europa e del regime egiziano, ha trasformato Gaza in una zona “invivibile“, secondo le Nazioni Unite, dove il sistema sanitario è quasi al collasso, quasi tutta l’acqua non è potabile, circa il 60% dei bambini è anemico e molti bambini soffrono di crescita stentata a causa della malnutrizione. Le storie strazianti di morte, distruzione e sfollamento che i miei amici stanno condividendo con me mi rendono contemporaneamente triste e indignato. Ma soprattutto mi spingono a contribuire ancora di più al movimento di Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS), che ho co-fondato nel 2005, come mio modesto contributo alla nostra lotta di liberazione.

Il movimento BDS, antirazzista e nonviolento, sostenuto dai sindacati dei lavoratori e degli agricoltori, nonché dai movimenti per la giustizia razziale, sociale, di genere e climatica che rappresentano collettivamente decine di milioni di persone in tutto il mondo, si ispira alla lotta anti-apartheid sudafricana e al movimento per i diritti civili degli Stati Uniti. Ma affonda le sue radici in un’eredità secolare, spesso misconosciuta, di resistenza popolare indigena palestinese al colonialismo di insediamento e all’apartheid. Questa resistenza non violenta ha assunto molte forme, dagli scioperi di massa dei lavoratori, alle marce guidate dalle donne, alla diplomazia pubblica, alla costruzione di università, alla letteratura e all’arte.

Sostenuto dai movimenti di base, dai sindacati e dai partiti politici palestinesi che rappresentano la maggioranza assoluta dei palestinesi nella Palestina storica e in esilio, il BDS chiede di porre fine alla complicità statale, aziendale e istituzionale internazionale con il regime di oppressione di Israele, affinché i palestinesi possano godere dei diritti sanciti dalle Nazioni Unite. Ciò include la fine dell’occupazione militare e dell’apartheid, nonché il rispetto del diritto al ritorno dei rifugiati palestinesi, riconosciuto a livello internazionale.

Una parte importante, ma spesso trascurata, del breve appello del BDS chiede alle persone di coscienza di tutto il mondo di “fare pressione sui vostri rispettivi stati affinché impongano embarghi e sanzioni contro Israele” e invita “gli israeliani di coscienza a sostenere questo appello, per il bene della giustizia e di una pace autentica”. In effetti, un piccolo ma significativo numero di israeliani ebrei si è unito al movimento e ha svolto un ruolo importante nelle nostre campagne che hanno portato i principali fondi di investimento, chiese, aziende, associazioni accademiche, squadre sportive, artisti, tra gli altri, a porre fine alla complicità, o a rifiutare di essere coinvolti, nelle violazioni dei diritti umani di Israele.

Questa volta, però, molti governi e media occidentali stanno ripetendo a pappagallo una perniciosa disinformazione, sostenendo che l’ultima crisi è iniziata il 7 ottobre con un attacco “non provocato” contro Israele. Definire non provocata l’incursione dei gruppi palestinesi non è solo immorale, ma è anche un tipico luogo comune razzista anti-palestinese che ci considera come esseri umani relativi che non meritano pieni diritti umani. Per quale altro motivo l’implacabile, lenta morte e la violenza strutturale che derivano dal regime di ingiustizia di Israele contro di noi, che dura da 75 anni, dovrebbero essere considerate invisibili o immeritevole di condanna e responsabilizzazione?

Mi ispirano le parole del filosofo brasiliano Paulo Freire, che ha scritto: “Con l’instaurazione di un rapporto di oppressione, la violenza è già iniziata. Mai nella storia la violenza è stata provocata dagli oppressi… La violenza è iniziata da coloro che opprimono, che sfruttano, che non riconoscono gli altri come persone, non da coloro che sono oppressi, sfruttati e non riconosciuti”. La reazione dell’oppresso, che la si consideri o meno legalmente o eticamente giustificabile, è sempre e solo questa, una reazione alla violenza iniziale dell’oppressore.

In armonia con il diritto internazionale, il movimento BDS ha sempre difeso il diritto del popolo palestinese di resistere all’occupazione militare e alla colonizzazione israeliana “con tutti i mezzi disponibili, compresa la resistenza armata”, come previsto da numerose risoluzioni dell’ONU, tra cui la UNGA Res. 37/43 e la UNGA Res. 45/130, con una stretta osservanza del divieto di “colpire i non combattenti”. È vietato danneggiare i civili, sia da parte dell’oppressore che dell’oppresso, nonostante l’enorme squilibrio di potere e l’altrettanto immensa asimmetria morale tra i due.

Anche prima del 7 ottobre, il governo di estrema destra di Israele, il più razzista, fondamentalista e sessista di sempre, aveva intensificato i suoi spietati attacchi alle vite e ai mezzi di sussistenza di milioni di palestinesi, nella più totale impunità. Il fatto che la Cisgiordania occupata sia sotto il parziale controllo dell’Autorità Palestinese, coinvolta nel “coordinamento della sicurezza” con l’occupazione israeliana, non ha salvato i palestinesi da una Nakba continua di pogrom, esecuzioni extragiudiziali, espropriazioni, annessioni, costruzione di insediamenti illegali, umiliazioni quotidiane e negazione dei diritti fondamentali.

Comprendere il contesto e le cause della resistenza non implica accettare le sue tattiche di attacco ai civili, e il contesto in questo caso è scioccante. I palestinesi di Gaza stanno affrontando un’ondata senza precedenti di bombardamenti israeliani indiscriminati, comprendenti proiettili al fosforo bianco, che hanno preso di mira scuole, università, interi quartieri residenziali, reti di telecomunicazioni, mercati, moschee, nonché operatori sanitari del Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR), personale delle Nazioni Unite e ambulanze, uccidendo oltre 1.030 bambini.

Ad aggravare questo orrore, l’esercito israeliano ha completamente interrotto la fornitura di acqua, cibo, medicine ed elettricità a Gaza, attuando la Dottrina Dahiya. Sviluppata nel 2008 in collaborazione con l’Università di Tel Aviv, questa dottrina prevede di colpire i civili e le infrastrutture civili con “forza sproporzionata” per infliggere distruzioni devastanti, un crimine di guerra. Martedì, un portavoce dell’esercito israeliano ha ammesso: “Negli attacchi (a Gaza) l’enfasi è sul danno, non sulla precisione”. Cercando di giustificare la sua decisione di imporre un “assedio totale” a milioni di palestinesi, il ministro della Guerra israeliano Yoav Gallant ha dichiarato: “Stiamo combattendo contro animali umani e agiamo di conseguenza”. Piangendo la perdita di vite civili da entrambe le parti, ma senza false equidistanze o ignorando l’oppressione che dura da decenni, Jewish Voice for Peace negli Stati Uniti ha condannato il razzismo di Gallant dicendo: “Come ebrei, sappiamo cosa succede quando le persone vengono chiamate animali. Possiamo e dobbiamo fermare tutto questo. Mai più significa mai più, per tutti”.

In effetti, qualche mese fa, lo studioso di genocidi Michael Barnett ha posto la domanda: “Israele è sull’orlo di un genocidio?”. Data la totale impunità di Israele, incoraggiata dalla radicata complicità di Stati Uniti ed Europa, e in un’atmosfera di prevalente disumanizzazione, lo studioso israeliano di genocidi Raz Segal ritiene che l’attacco a Gaza sia “un caso da manuale di genocidio“. In una situazione di violenza orribile come questa, la coerenza morale è indispensabile. Coloro che non hanno condannato la violenza originaria e continua dell’oppressione non hanno alcuna legittimazione morale per condannare atti di violenza illegali o immorali commessi dagli oppressi.

Soprattutto, l’obbligo etico più profondo in questi tempi è quello di agire per porre fine alla complicità. Solo così possiamo sperare di porre fine all’oppressione e alla violenza. Come molti altri, noi palestinesi amiamo e ci curiamo degli altri. Abbiamo paura e osiamo. Speriamo e a volte ci disperiamo. Ma soprattutto aspiriamo a vivere in un mondo più giusto, senza classifiche della sofferenza, senza gerarchie di valore umano e dove i diritti e la dignità umana di ognuno siano apprezzati e difesi. 

Fonte: The Guardian

Traduzione di BDS Italia

Israele è stato esplicito su ciò che sta realizzando a Gaza. Perché il mondo non ascolta?

di Raz Segal

VENERDÌ Israele ha ordinato alla popolazione assediata nella metà settentrionale della Striscia di Gaza di evacuare a sud, avvertendo che avrebbe presto intensificato il suo attacco alla metà superiore della Striscia. L'ordine ha lasciato più di un milione di persone, la metà delle quali sono bambini, che tentano freneticamente di fuggire in mezzo a continui attacchi aerei, in un'enclave circondata da muri dove nessuna destinazione è sicura. Come ha scritto il giornalista palestinese Ruwaida Kamal Amer oggi da Gaza, “i rifugiati da nord stanno già arrivando a Khan Younis, dove i missili non si fermano mai e stiamo esaurendo cibo, acqua e energia.” L'ONU ha avvertito che la fuga di persone dalla parte settentrionale di Gaza verso il sud creerà ”devastanti conseguenze umanitarie” e ”trasformerà quella che è già una tragedia in una situazione disastrosa.” Nell'ultima settimana, la violenza di Israele contro Gaza ha ucciso oltre 1.800 palestinesi, ferito migliaia e creato oltre 400.000 sfollati all'interno della striscia. Eppure il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu promesso oggi quello che abbiamo visto è ”solo l'inizio.”

La campagna israeliana per spostare gli abitanti di Gaza — e potenzialmente espellerli del tutto in Egitto — è un ulteriore capitolo della Nakba, in cui circa 750.000 palestinesi furono cacciati dalle loro case durante la guerra del 1948 che portò alla creazione dello Stato di Israele. Ma l'assalto a Gaza può anche essere compreso in altri termini: come un caso da manuale di genocidio che si svolge davanti ai nostri occhi. Lo dico come studioso di genocidio, che ha trascorso molti anni a scrivere sulla violenza di massa israeliana contro i palestinesi. Ho scritto del colonialismo dei coloni e della supremazia ebraica in Israele, dell’uso distorto dell'Olocausto per favorire la crescita dell’industria israeliana delle armi, dell’uso di accuse di antisemitismo per giustificare la violenza israeliana contro i palestinesi e del regime razzista israeliano di apartheid. Ora, in seguito all'attacco di Hamas di sabato e all'omicidio di massa di oltre 1.000 civili israeliani, sta accadendo il peggio del peggio.

Secondo il diritto internazionale, il crimine di genocidio è definito come ”l'intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, in quanto tale,” come definito dalla Convenzione delle Nazioni Unite del dicembre 1948 sulla prevenzione e la punizione del crimine di genocidio. Nel suo attacco omicida a Gaza, Israele ha proclamato a gran voce questo intento. Il Ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant ha dichiarato senza mezzi termini il 9 ottobre: ”Stiamo imponendo un assedio completo a Gaza. Niente elettricità, niente cibo, niente acqua, niente carburante. Tutto è chiuso. Stiamo combattendo contro animali umani e agiremo di conseguenza. ”I leader in Occidente hanno rafforzato questa retorica razzista descrivendo l'omicidio di massa di civili israeliani da parte di Hamas — un crimine di guerra ai sensi del diritto internazionale che ha giustamente provocato orrore e shock in Israele e nel mondo — come ”un atto di male assoluto,” nelle parole del presidente americano Joe Biden, o come una mossa che rifletteva un ”antico male,” nella terminologia del presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. Questo linguaggio disumanizzante è chiaramente calcolato per giustificare la distruzione su larga scala delle vite palestinesi; affermazione che si tratta del “male,” nella sua forma ”assoluta”, elude le distinzioni tra militanti di Hamas e civili di Gaza, e occulta il più ampio contesto di colonizzazione e occupazione.

La Convenzione sul genocidio delle Nazioni Unite elenca cinque atti che rientrano nella sua definizione. Israele sta attualmente perpetrando tre di questi a Gaza: “1. Uccidere membri del gruppo. 2. Causare gravi danni fisici o mentali ai membri del gruppo. 3. Infliggere deliberatamente al gruppo condizioni di vita calcolate per provocare la sua distruzione fisica in tutto o in parte.” L'aeronautica israeliana, dal per conto suo, finora ha lanciato oltre 6.000 bombe su Gaza, che è una delle aree più densamente popolate del mondo — più bombe di quelle che gli Stati Uniti hanno lanciato in qualsiasi anno di guerra sull'Afghanistan. Human Rights Watch ha confermato che le armi utilizzate includevano bombe al fosforo, che da fuoco a corpi umani ed edifici, creando fiamme che non si estinguono al contatto con l'acqua. Ciò dimostra chiaramente cosa voleva dire Gallant con “agire di conseguenza”: non prendere di mira i singoli militanti di Hamas, come sostiene Israele, ma scatenare una violenza mortale contro i palestinesi a Gaza “in quanto tali,” nella lingua della Convenzione sul genocidio delle Nazioni Unite. Israele ha anche intensificato il suo assedio di 16 anni a Gaza — il più lungo nella storia moderna, in chiara violazione del diritto internazionale umanitario— ad un ”assedio completo,” nelle parole di Gallant. Questo giro di parole che indica esplicitamente un piano per portare l'assedio alla sua destinazione finale di distruzione sistematica dei palestinesi e della società palestinese a Gaza, uccidendoli, facendoli morire di fame, tagliando le loro riserve d'acqua e bombardando i loro ospedali.

Non sono solo i leader israeliani che usano tale linguaggio. Un intervistato su Channel 14 (canale televisivo pro-Netanyahu) ha chiesto a Israele di ”trasformare Gaza in Dresda.” Channel 12, la stazione di notizie più seguita di Israele, ha pubblicato un reportage sugli israeliani di sinistra che invocano alla ”danza su quella che era Gaza.” Nel frattempo, i verbi genocidi — richieste di ”cancellare“ e ”radere al suolo“ Gaza — sono diventati onnipresenti sui social media israeliani. A Tel Aviv, uno strizione con scritto ”Zero abitanti di Gaza“ è stato visto appeso a un ponte.

In effetti, l'assalto genocida di Israele a Gaza è abbastanza esplicito, aperto e spudorato. I perpetratori di genocidio di solito non esprimono le loro intenzioni così chiaramente, sebbene ci siano eccezioni. All'inizio del XX secolo, ad esempio, gli occupanti coloniali tedeschi hanno perpetrato un genocidio in risposta a una rivolta delle popolazioni indigene Herero e Nama nell'Africa sud-occidentale. Nel 1904, il generale Lothar von Trotha, il comandante militare tedesco, emise un "ordine di sterminio”, “giustificandolo con la logica di “guerra razziale”. “Nel 1908, le autorità tedesche hanno ucciso 10.000 Nama e hanno raggiunto l'obiettivo dichiarato di “distruggere gli Herero,” uccidendo 65.000 Herero, l'80% della popolazione. Gli ordini di Gallant il 9 ottobre non sono stati meno espliciti. L'obiettivo di Israele è distruggere i palestinesi di Gaza. E quelli di noi che guardano in tutto il mondo sono abbandonati alla propria responsabilità di impedire loro di farlo.

Fonte: https://jewishcurrents.org/a-textbook-case-of-genocide

Sul sito di Assopace Palestina è disponibile la versione italiana dell’ultimo rapporto di Francesca Albanese al Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite sulla privazione della libertà nel Territorio Palestinese occupato.

 

https://www.assopacepalestina.org/2023/09/10/nuovo-rapporto-onu-di-francesca-albanese-sulla-privazione-della-liberta-personale-nel-territorio-palestinese-occupato/

Più di 285 organizzazioni, coalizioni o gruppi di base hanno già firmato la lettera della società civile globale che chiede all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite (UNGA) di riattivare il Comitato speciale contro l'apartheid (SCAA) e di unirsi per porre fine all'apartheid del 21° secolo, ovunque si verifichi.

Lanciata dalle organizzazioni della società civile palestinese riunite nel Movimento Palestinese Anti-Apartheid e sostenuta a livello internazionale da leader politici, diplomatici, personalità culturali, organizzazioni e persone di coscienza, questa iniziativa globale contro l'apartheid è diretta ad attivare i meccanismi delle Nazioni Unite per indagare e smantellare il regime di apartheid di Israele.

La lettera è stata pubblicata il 18 luglio, in occasione del Nelson Mandela International Day.

In Italia 50 organizzazioni hanno già firmato, inclusi molti Spazi Liberi dall'Apartheid Israeliana #SPLAI.

Trovate l'elenco aggiornato dei firmatari da tutto il mondo, classificati per regione e paesi, sul sito web del movimento anti-apartheid.

Ringraziando tutte le organizzazioni che hanno già firmato, chiediamo a organizzazioni sindacali, per i diritti umani, religiose, per la giustizia ambientale, per la giustizia di genere, contro la guerra e la militarizzazione, collettivi studenteschi, ecc.) di:

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La lettera in italiano:

LA SOCIETÀ CIVILE GLOBALE CONTRO L’APARTHEID
 

Un’iniziativa del Movimento Palestinese Anti-Apartheid

https://antiapartheidmovement.net/

"Sappiamo molto bene che la nostra libertà è incompleta senza la libertà dei palestinesi".

-- Nelson Mandela

Decenni di mobilitazione da parte del popolo palestinese, insieme al recente sostegno della società civile globale, delle organizzazioni internazionali per i diritti umani, degli esperti delle Nazioni Unite, dei capi di stato, dei parlamentari e dei diplomatici, hanno chiarito che l'apartheid non è solo una piaga del passato, ma una minaccia ancora persistente che richiede un'azione urgente.

Prove inconfutabili ed analisi inequivocabili da tutti questi ambienti dimostrano che Israele sta perpetrando il crimine di apartheid, un crimine contro l'umanità, contro il popolo palestinese.

Sotto l'attuale governo, il più apertamente di estrema destra, razzista, fondamentalista, sessista, omofobo e corrotto nella storia dello stato israeliano, la violenza decennale e l' oppressione del colonialismo di insediamento contro i nativi palestinesi sta assumendo forme sempre più brutali.

È ora che i popoli di tutto il mondo si uniscano e che le Nazioni Unite agiscano con urgenza. L'Assemblea Generale delle Nazioni Unite (UNGA) deve riattivare i meccanismi per porre fine definitivamente al crimine di apartheid e fare in modo che Israele sia ritenuto responsabile per averlo perpetrato.

Pertanto, chiediamo agli Stati membri di fare un primo passo in occasione della prossima Assemblea Generale e di riattivare il Comitato speciale contro l'apartheid.

Il riconoscimento dell'apartheid come crimine contro l'umanità e la significativa solidarietà globale con la lotta del popolo sul territorio - espressa soprattutto ponendo fine ai legami di complicità con l’apartheid da parte di stati, aziende e istituzioni - hanno aperto la strada alla libertà e alla democrazia per la popolazione dell'Africa meridionale e alla loro lotta che ancora continua contro le disuguaglianze economiche. Lo smantellamento dell'apartheid in Sudafrica è oggi una pietra miliare vitale nella lotta globale contro il razzismo, la discriminazione e l'oppressione coloniale, che rimane però "incompleta", come ha detto Mandela, senza l’abolizione totale dell'apartheid nel resto del mondo, a partire dalla Palestina.

Il Comitato speciale contro l'apartheid dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite (UNGA) ha già svolto un ruolo fondamentale nella lotta globale contro il razzismo, monitorando e denunciando le politiche di apartheid e creando procedure ai sensi del diritto internazionale per sopprimere e punire questo crimine contro l'umanità. È tempo che l'UNGA si assuma la responsabilità di rilanciare questo Comitato speciale e si unisca per porre fine all'apartheid del 21° secolo, ovunque si verifichi.

#UNinvestigateapartheid

Ci avviciniamo al 18° compleanno del movimento BDS per i diritti dei palestinesi! Diamo uno sguardo ad alcuni punti salienti della nostra lotta per i diritti dei palestinesi nella prima metà del 2023:

1. In un'enorme vittoria per i diritti umani, G4S, la più grande azienda di sicurezza del mondo, ha deciso di disinvestire completamente dall'apartheid israeliano. Questa decisione arriva dopo 13 anni di instancabile campagna BDS con il sostegno di partner globali.

2. La sindaca di Barcellona ha sospeso le relazioni istituzionali con il regime israeliano di apartheid, compreso l'accordo di gemellaggio con Tel Aviv. La decisione è stata sostenuta da oltre 54 personalità di spicco, tra cui Mark Ruffalo e Susan Sarandon, nonché da gruppi ebraici progressisti e singoli cittadini di 15 Paesi.

3. La capitale della Norvegia, Oslo, ha annunciato che escluderà dagli appalti le aziende che contribuiscono direttamente o indirettamente al progetto illegale di colonizzazione di Israele.

4. La città belga di Liegi ha votato per porre fine a tutti i legami con Israele, citando il suo regime di "apartheid, colonizzazione e occupazione militare" contro i palestinesi. E Verviers (Belgio) ha tagliato i suoi legami con il regime di apartheid israeliano per "rafforzare il suo sostegno al popolo palestinese".

5. Il sindaco di Belém (Brasile) dichiara la città zona libera dall'apartheid.

6. L'OLP, il movimento BDS, la società civile palestinese e le organizzazioni per i diritti umani lanciano uno storico appello anti-apartheid per intensificare la pressione globale e smantellare il regime di colonialismo e apartheid di Israele.

7. Gli organismi sindacali e i sindacati professionali palestinesi esortano tutti i sindacati, le federazioni sindacali e i sindacati professionali del mondo a contribuire al Movimento anti-apartheid guidato dai palestinesi.

Fate una donazione per aiutarci ad aumentare il nostro impatto!

8. Nonostante l'ipocrisia della decisione della FIFA di eliminarli come ospiti, l'Indonesia si è schierata a favore dei diritti dei palestinesi e ha chiesto l'esclusione del regime israeliano di apartheid dai Mondiali di calcio maschili Under 20, mentre il governatore di Bali si è opposto all'inclusione della squadra del regime israeliano di apartheid.

9. L'Unione canadese dei dipendenti pubblici (CUPE Manitoba), che rappresenta 37.000 lavoratori, ha annunciato il suo sostegno al movimento BDS per porre fine all'apartheid israeliana e all'oppressione dei palestinesi.

10. L'artista Sam Smith, vincitore del premio Brit and Grammy, ha annullato la sua esibizione nell'Israele dell’apartheid, in seguito alle pressioni dei fan e dei sostenitori dei diritti dei palestinesi.

11. La South African Rugby Union (SARU) ha revocato l'invito alla squadra Tel Aviv Heat che rappresenta il regime israeliano di apartheid, per la Mzansi Challenge.

12. Aziende tecnologiche statunitensi hanno chiuso le attività in Israele, seguendo l'esempio dei giganti tecnologici israeliani che si sono trasferiti all'estero, minando ulteriormente la fiducia degli investitori nella travagliata economia israeliana.

13. Organizzazioni brasiliane hanno imposto la cancellazione di un evento di propaganda all'Università di Campinas con la partecipazione di università israeliane complici. La ricercatrice britannica Sophie Grace Chappell si è ritirata da una conferenza sull'etica organizzata nell’Israele dell’apartheid.

14. L'Indigo Music Festival ha cancellato un evento che doveva svolgersi nel Sinai dopo la pressione popolare guidata da BDS Egitto a causa della partecipazione israeliana al festival in violazione delle linee guida anti-normalizzazione del movimento.

15. Il Balkan Trafik Festival in Belgio pone fine alla partnership con il regime israeliano di apartheid.

16. In risposta allo sciopero degli artisti contro il Museo d'Arte Contemporanea Kiasma, a causa della sua complicità nel sostenere l'apartheid israeliana, la Galleria Nazionale Finlandese ha accettato nuove linee guida etiche che hanno portato a un sostanziale traguardo per la comunità artistica.

17. A seguito a un'intensa pressione, tra cui l'appello del PACBI a boicottare tutti i film sostenuti dalla Fondazione Rabinovich, il fondo cinematografico razzista israeliano, secondo quanto riferito, porrà fine all’esigenza, imposta ai registi che chiedono il suo sostegno economico, di firmare un giuramento di fedeltà e negare l’esistenza dell'apartheid israeliana e della pulizia etnica contro i palestinesi autoctoni nei loro film.

18. A seguito di un'iniziativa dei cittadini europei (ICE) durata un anno per vietare il commercio con gli insediamenti, il Comitato europeo per le petizioni (PETI) ha deciso all'unanimità che la Commissione europea deve rispondere alla nostra richiesta di fermare il commercio con gli insediamenti illegali.

Questi 18 risultati del movimento BDS sono solo un'istantanea della nostra posizione attuale. Grazie per continuare a essere solidali con la nostra lotta non violenta contro l'apartheid e l'occupazione, per la libertà, la giustizia e l'uguaglianza dei palestinesi!

Fonte: BNC

Traduzione di BDS Italia

Una grande vittoria per l'attivismo in difesa dei diritti umani contro la complicità aziendale: Allied Universal, la più grande società di sicurezza privata al mondo, che possiede G4S, ha deciso di vendere tutte le sue attività rimanenti nell'Israele dell’apartheid. Ciò fa seguito ad anni di campagna #StopG4S, condotta dal BDS e dal Comitato Palestinese BDS.

La vittoria arriva in seguito ai gravi "danni reputazionali" che le campagne per i diritti umani hanno causato a G4S e ad alcuni lucrosi investimenti e contratti. Oltre al movimento BDS, anche altre campagne per i diritti umani hanno preso di mira G4S per la sua lunga e violenta storia di abusi dei diritti umani contro prigionieri, migranti e altre comunità in tutto il mondo, compresi Regno Unito, Sudafrica e Stati Uniti.

Sig. António Guterres
Segretario Generale delle Nazioni Unite

Ufficio del Segretario Generale


Signor Volker Türk
Alto Commissario per i Diritti Umani
Ufficio dell'Alto Commissario per i Diritti Umani


Sig. Václav Bálek

Presidente

Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite


Oggetto: Relatore speciale delle Nazioni Unite per i diritti umani nei Territori palestinesi
occupati Attacchi all’Avv. Francesca Albanese


27 aprile 2023

Vostre Eccellenze,
Vi scriviamo a titolo personale, in quanto siamo stati gli ultimi tre relatori speciali delle Nazioni Unite per la situazione dei diritti umani nei territori palestinesi occupati dal 1967. In quel ruolo abbiamo ottemperato al mandato a noi affidato informando con regolarità sulla tendenza deprimente e continua al deterioramento dei diritti umani nei territori palestinesi occupati (TPO). John Dugard, (Sud Africa) ha prestato servizio dal 2001 al 2008. Richard Falk (Stati Uniti d'America) ha prestato servizio dal 2008 al 2014. E Michael Lynk, canadese ha prestato servizio dal 2016 al 2022.

Durante i nostri rispettivi mandati, siamo stati tutti oggetto di incessanti e taglienti attacchi, in gran parte malevoli e denigratori sul piano personale, per nessun altro motivo se non per il fatto che ognuno di noi ha criticato Israele per le sue ben documentate violazioni del diritto internazionale nella condotta dei suoi 55 anni di occupazione della Palestina. Tutti noi accettiamo critiche e rimproveri se ci arrivano quando siamo in servizio in un ruolo pubblico. Ciò è particolarmente vero quando si difendono i diritti umani. Tuttavia, vi è un limite quando la critica è calunniosa, quando implica principalmente attacchi personali, quando la rappresentazione delle nostre segnalazioni è deliberatamente errata quando il suo intento non è quello di affrontare in modo costruttivo la qualità della nostra segnalazione, ma di sviare l'attenzione dalle violazioni reali dallo Stato che viola i diritti.

Con grande rammarico, stiamo assistendo alle stesse modalità distruttive di attacco dirette contro chi ci ha succeduto, l’Avv. Francesca Albanese (Italia), ma con ancora maggiore ferocia e meschinità. È arrivata in questa posizione un anno fa dopo un'esperienza vissuta in Israele e Palestina, con unesperienza professionale di ex funzionaria delle Nazioni Unite, avvocato e autrice di grande talento e voce di spicco e rispettata nella comunità internazionale dei diritti umani. Nel suo primo anno di mandato, l’Avv. Albanese si è comportata in modo eccezionale, utilizzando le sue capacità di comunicatrice pubblica di talento e di sagace analista dei diritti umani per aumentare la consapevolezza globale sulla terribile situazione nella Palestina occupata. Gli attacchi contro di lei da parte di organizzazioni e soggetti che hanno difeso a lungo l'occupazione israeliana non solo sminuiscono personalmente l’Avv. Albanese, ma, cosa più importante, sono anche un tentativo di sminuire ed eliminare il suo particolare mandato sui diritti umani, e sono chiaramente intesi a distogliere l'attenzione dalla portata sostanziale dei suoi scrupolosi e illuminanti resoconti.

Va tenuto presente che l'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha più volte affermato che la comunità internazionale ha una responsabilità permanente nei confronti della questione palestinese, fino a quando tale questione non sarà risolta in modo soddisfacente in tutti i suoi aspetti. 1(1) Ciò deve anche significare che quegli ufficiali delle Nazioni Unite e titolari di mandati, che sono impegnati con la questione della Palestina e che lavorano all'interno del quadro consolidato del diritto internazionale e delle risoluzioni delle Nazioni Unite sulla Palestina, devono essere difesi da attacchi malevoli che non solo denigrano la persona, ma che cercano anche
di minare la legittimità stessa del lavoro delle Nazioni Unite su questo tema.
Un aspetto essenziale di questo modello di critica malevola dell’Avv. Albanese è evitare di rispondere alla sua analisi e alla sua documentazione sulle violazioni israeliane dei fondamentali diritti umani dei palestinesi che vivono sotto un'occupazione prolungata. L'intento è di spostare la conversazione all'interno delle Nazioni Unite e di altri ambienti dai messaggi contenuti nei rapporti all’autrice dei rapporti: questa è una modalità irresponsabile di risposta alle critiche che non deve avere luogo, in modo da salvaguardare il ruolo importante di questo mandato.
Durante i nostri rispettivi mandati come relatori speciali delle Nazioni Unite per i diritti umani nei TPO, la leadership delle Nazioni Unite non ha fatto abbastanza per denunciare gli incessanti attacchi contro di noi, mentre stavamo coscienziosamente adempiendo al mandato del Consiglio dei diritti umani. Il silenzio della leadership delle Nazioni Unite di fronte a questi attacchi ha solo incoraggiato quelle organizzazioni e quegli individui a continuare con questo comportamento e a cercare di gettare fango sul mandato in ogni occasione disponibile.
Sebbene siamo tutti molto orgogliosi dei nostri rispettivi contributi nell'adempimento del mandato e nell'assicurare che la questione della Palestina resti una questione urgente da risolvere per la comunità internazionale, il nostro lavoro sarebbe stato ancora più efficace se la leadership dell'ONU dell'epoca avesse fornito il necessario sostegno pubblico che abbiamo richiesto contro questi attacchi.
Di conseguenza, esortiamo ciascuno di voi a intraprendere attivamente ogni ragionevole passo in qualità di leader delle Nazioni Unite per garantire che l’Avv. Albanese sia difesa pubblicamente contro le calunnie e le false dichiarazioni. In questo modo si proteggerà la reputazione e l'efficacia di una straordinaria sostenitrice dei diritti umani. E si potrà garantire che il mandato in futuro attragga candidati di alta qualità, che saranno in qualche modo meno scoraggiati dalle persistenti calunnie scagliate contro di loro da parte di ONG e altri diffamatori. Ciò rafforzerà il ruolo indispensabile delle Nazioni Unite nella ricerca di una giusta soluzione alla questione della
Palestina. E così facendo si proteggerà l'efficacia del sistema dei diritti umani delle Nazioni Unite nel garantire che la difesa impavida e responsabile, che è parte integrante delle procedure speciali delle Nazioni Unite, rimanga al centro del suo lavoro.

Sinceramente vostri,

John Dugard       Richard Falk        Michael Lynk
1(1) Molto recentemente dichiarato nella Risoluzione del UNGA 77/22 (30 novembre 2022).
La lettera originale e firmata si trova su twitter: https://t.co/LZkX8JdXak

12 nuovi motivi (+1 sempre valido) per disinvestire da Israele

Con il suo governo più di estrema destra, fondamentalista e corrotto di sempre, Israele sembra sempre più una #NazioneChiusa. Di recente abbiamo pubblicato 17 ragioni per ripensarci prima di investire nell'Israele dell'apartheid. Di seguito, 12 nuovi motivi (+1 sempre valido) per disinvestire:

Sempre valido: Gli investimenti in Israele finanziano il brutale regime di colonialismo e apartheid che da 75 anni opprime i palestinesi indigeni, con massacri, pulizia etnica, assedi, demolizioni di case e continui furti di terra e acqua. Inoltre ...

1. La società di rating Moody's ha avvertito che le "riforme" di Netanyahu potrebbero "comportare rischi a lungo termine per le prospettive economiche di Israele, in particolare per l'afflusso di capitali nell'importante settore dell'alta tecnologia" e portare a un abbassamento del rating.

2. Secondo il quotidiano economico The Marker da quando il nuovo governo israeliano è salito al potere, gli investitori nel mercato azionario israeliano hanno perso oltre 25 miliardi di dollari. Il prof. Eugene Kandel, ex presidente del Consiglio economico nazionale israeliano, ha previsto due scenari per l'economia israeliana: "un attacco di cuore o un cancro".

3. L'azienda israeliana di alta tecnologia Riskified, che vale oltre 1 miliardo di dollari, sta trasferendo 500 milioni di dollari dalle banche israeliane all'estero e sta investendo in un nuovo centro di ricerca e sviluppo in Portogallo. Teme "una significativa e prolungata recessione economica in Israele" in quando sta diventando "uno Stato più autoritario".

4. Secondo analisti israeliani di alto livello "gli investimenti in Israele negli ultimi mesi sono quasi scomparsi... Vediamo una scarsa propensione agli investimenti da parte degli investitori stranieri, ma anche da parte di noi israeliani".

5. Gli esperti del Ministero delle Finanze israeliano hanno avvertito il ministro Smotrich che Israele potrebbe perdere 74 miliardi di dollari di PIL nell'arco di cinque anni, nel caso in cui la classifica della "democrazia" di Israele dovesse scendere, colpendo il rating del paese.

6. Il capo economista israeliano Shira Greenberg ha stimato che la riduzione del rating di Israele eliminerebbe metà della crescita del PIL nei prossimi cinque anni.

 A high tech worker protest in Tel Aviv

Una protesta di lavoratori dell'high-tech a Tel Aviv, all'inizio di marzo 2023. Lo striscione recita "Vendita di liquidazione per l'high-tech". Foto: Eyal Toueg

7. Oltre 250 dirigenti d'azienda ebrei americani hanno messo in guardia dalla "distruzione" dell'economia israeliana, affermando che potrebbero essere costretti a "rivalutare la loro fiducia in Israele come destinazione strategica per gli investimenti".

8. Secondo un esperto economico israeliano "quasi il 100% delle nuove aziende high-tech [israeliane]... sono registrate negli Stati Uniti. ... [le loro] future entrate fiscali andranno nelle casse [statunitensi]", e il danno "persisterà per decenni", molto dopo che Netanyahu e Smotrich se ne saranno andati.

9. Un recente sondaggio mostra che il 17% degli israeliani, ovvero un milione di adulti, sta considerando di trasferire fondi all'estero. Con migliaia di persone che hanno già spostato miliardi di dollari, uno dei sondaggisti ha twittato che "se anche solo un quinto di questo [17%] accadrà, significherà il collasso totale".

10. Il senatore statunitense Murphy minaccia la "condizionalità degli aiuti a Israele", affermando: "Se continueremo a sostenere il governo israeliano, esso dovrà continuare a occuparsi di un futuro Stato palestinese".

11. Il presidente israeliano Herzog ha avvertito: "Chiunque pensi che una vera e propria guerra civile... sia un punto a cui non arriveremo mai non sa quello che dice. L'abisso è a portata di mano".

12. Quasi 100 ex dirigenti e supervisori dei reattori nucleari israeliani hanno avvertito che se il "folle blitz" del governo non viene fermato può diventare un rischio "esistenziale" per il Paese.

L'apartheid è sempre terribile per gli oppressi. Come in Sudafrica ieri e in Israele oggi, ora sappiamo che è terribile anche per gli affari a lungo termine! #ShutDownNation

Fonte: BNC

Traduzione di BDS Italia