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Banksy, artista ora anche albergatore, ha risposto ad un appello dei palestinesi, e ritirato un invito al DJ inglese Fatboy Slim per esibirsi a una festa di strada al di fuori del nuovo Walled Off Hotel a Betlemme.

Fatboy Slim era in programma per una performance a Betlemme il giorno dopo quella del 12 marzo prevista a Tel Aviv. Artisti per la Palestina UK (APUK), hanno fatto un appello al DJ per cancellare il suo show israeliano.

Fatboy Slim non ha risposto, riferendo però al Jerusalem Post il 1° marzo che era a conoscenza di eventuali proteste.

Ora non può esserci alcun dubbio.

L’associazione Artisti per la Palestina UK ha commentato:
La decisione di Banksy invia un segnale a quegli artisti che amano pensare che una performace nei territori occupati dà loro licenza per esibirsi in Israele. Esibirsi a Tel Aviv oggi è l’equivalente di una performance a Sun City durante il periodo dell’apartheid [in Sudafrica]; non può essere compensato dal gesto di falsa equidistanza, come quello che Fatboy Slim aveva intenzione di fare.

Ci congratuliamo con Banksy, e ci appelliamo ancora una volta a Fatboy Slim: non è troppo tardi per cambiare idea; non portare la tua musica a uno stato di apartheid.

Artisti per la Palestina UK

Fonte: Artisti per la Palestina UK

Traduzione di Invictapalestina.org

A settembre del 2016 il Freedom Theatre è stato contattato da ‘Invest in Peace’, un’iniziativa statunitense impegnata nel “creare partnerships economiche e da popolo a popolo tra palestinesi e israeliani”, come riporta il suo sito web. ‘Invest in Peace’ si oppone al movimento BDS, di cui il Freedom Theatre è un forte sostenitore. ‘Invest in Peace’ ha scritto per informarci che la nostra organizzazione era stata prescelta per essere inserita nel suo sito web. Noi abbiamo risposto il 21 settembre declinando l’offerta e spiegandone il motivo. Non vi sono state ulteriori comunicazioni da parte di ‘Invest in Peace’.

L'ex leader dei Pink Floyd ha firmato una lettera aperta per chiedere al duo elettronico di annullare la data del 15 novembre a Tel Aviv

L’ex bassista dei Pink Floyd Roger Waters ha preso parte alla campagna organizzata da Artists For Palestine UK che, con una lettera aperta, ha chiesto ai Chemical Brothers di annullare il loro imminente concerto al Convention Centre di Tel Aviv, previsto per il 12 novembre.

«La vostra casa discografica, la EMI Virgin, può anche dirvi che suonare il 12 novembre a Tel Aviv sia una cosa figa da fare – recita la lettera diretta al duo elettronico – Ma l’atmosfera hipster di Tel Aviv è soltanto una bolla sulla superficie di uno stato di sicurezza molto profondo che ha cacciato fuori metà della popolazione indigena palestinese nel 1948 e non ha alcuna intenzione di concedere ai loro discendenti di tornare».

L’imminente esibizione del teatro nazionale nella colonia di Kiryat Arba dimostra che il boicottaggio contro l’attività israeliana in Cisgiordania da solo non potrà mai destabilizzare l’occupazione.‭

di Michel Warschawski

Quante volte siamo stati attaccati come sostenitori del movimento di Boicottaggio,‭ ‬Disinvestimento e Sanzioni‭ (‬BDS‭) ‬per aver sostenuto il boicottaggio accademico e culturale di Israele‭? ‬Decine di volte,‭ ‬anche dai cosiddetti attivisti di sinistra.‭

‬La cultura è neutra,‭ ‬dicono i cinici sia da destra che sinistra.‭ ‬La cultura non è‭ (‬e non deve essere‭) ‬legata al conflitto coloniale in Palestina.‭ ‬La cultura è,‭ ‬infatti,‭ ‬la Svizzera del conflitto‭!
E,‭ ‬comunque,‭ ‬accademici e produttori culturali sono dalla‭ “‬nostra‭” ‬parte.‭ ‬Non meritano di essere puniti.‭

‬A questo punto è importante ricordare che il BDS non prende di mira individui o opere specifiche,‭ ‬ma piuttosto istituzioni ed eventi.

‬La recente decisione dell’Habima Theater di esibirsi negli insediamenti di Kiryat Arba dimostra come questa presa di posizione culturale sia insostenibile.‭ ‬Il nome stesso dell’Habima Theater è la prova dell’inutilità della cosiddetta rinuncia della cultura alla politica.‭ ‬Una decisione governativa presa nel‭ ‬1958‭ ‬ha modificato il nome di questa vecchia e nobile istituzione in‭ “‬Habima National Theater‭”‬.‭ ‬E‭’ ‬quindi impossibile separare il teatro dal suo ruolo nazionale.

La replica di Brian Eno alle assurde accuse di antisemitismo di Aldo Grasso pubblicata il 7 ottobre su Sette del Corriere della Sera.

Mia madre belga ha passato la guerra in un campo di lavoro tedesco (non un campo di sterminio, però neanche una vacanza) e da lei ho un’idea di quello che gli ebrei hanno sofferto durante la guerra - e della storia della loro sofferenza, prima e dopo. Capisco perché alcuni di loro hanno voluto un rifugio dove ciò non sarebbe mai più potuto accadere. Quello che non riesco a capire è il motivo per cui questa esigenza dovrebbe implicare un tale crudele comportamento nei confronti della popolazione indigena della terra che hanno scelto come “loro”. Tutto questo gran parlare della soluzione a due stati mi sembra aria fritta, mentre il governo israeliano continua il trasferimento dei coloni su terra palestinese, bombardando e imprigionando palestinesi strada facendo. A me sembra che si tratti di pulizia etnica. E mi sembra anche di apartheid - come ha inoltre osservato l'arcivescovo Desmond Tutu, al quale il concetto non è estraneo.

di Ranieri Salvadorini

Da alcuni anni Brian Eno è un convinto sostenitore della campagna "Boicottaggio disinvestimento sanzioni" (Bds), risposta della società civile palestinese alle politiche di colonizzazione e apartheid del governo israeliano. Il Fatto Quotidiano lo ha intervista-to sui legami tra l'arte e la questione palestinese.

Nei giorni scorsi lei ha negato l'uso della sua musica alla compagnia di danza Batsheva. La portavoce Noa Ron ha obiettato che "l'autore, Ohad Naharin, non ha mai esitato a esprimersi sulle conseguenze dell'occupazione delle terre palestinesi". L'arte non dovrebbe essere un punto d'incontro tra menti libere?

Guardare i "processi di pace" trascinarsi anno dopo anno, guardare uno dei più sofisticati eserciti al mondo polverizzare e umiliare persone quasi del tutto disarmate, ecco, mi è venuto da pensare che la strategia internazionale semplicemente non stesse funzionando. Chiesi a israeliani e palestinesi sensibili che cosa pensassero del Bds. Come me, hanno pensato che fosse l'unica carta da giocare, adesso. È l'unica cosa che abbia messo il governo israeliano un po' a disagio - perché smaschera la loro campagna per presentare Israele come un paese occidentale civilizzato e amante dell'arte, e invece attira l'attenzione sul fatto che è anche uno stato di apartheid. Non è semplicemente la mia analisi: Jimmy Carter e Desmond Tutu (che dovrebbe sapere una cosa o due sull'apartheid) hanno usato lo stesso linguaggio.

C'è il rischio che una pressione esterna come il boicottaggio compatti ancora di più la società israeliana?

C'è il rischio che il Bds polarizzagli atteggiamenti di alcune persone, facendoli ancora di più ultra-nazionalisti e anti-palestinesi. Qualcosa di simile è successo in Sudafrica. Ma quello che è anche successo, e io credo che stia cominciando ad accadere in Israele, è che molte persone che hanno sempre sentito solo la storia da parte del governo diventino consapevoli che c'è un'altra narrativa, quella palestinese. Molti amici sudafricani mi hanno raccontato che non erano del tutto consapevoli che l'apartheid fosse un problema fino a che in altri paesi non hanno cominciato a farlo conoscere - e a boicottare. I boicottaggi fecero una grande differenza perché si svolsero al di fuori del governo. Fu un gruppo di cittadini che provava a comunicare con un altro, senza la mediazione di un filtro politico.

Pubblichiamo di seguito la lettera di Brian Eno, musicista e compositore di fama mondiale, indirizzata alla Compagnia di Danza Batsheva, nella quale nega l’uso della sua musica per lo spettacolo in programma a TorinoDanza in quanto sponsorizzato dall’Ambasciata di Israele. La lettera è stata pubblicata nella versione integrale da La Repubblica e la notizia è stata ripresa da La Stampa e Ansa, tra gli altri. Sulla stampa internazionale, è stata ripresa da The Guardian, Rolling Stone, Pitchfork, Haaretz, Times of Israel, Jerusalem Post, The Forward,  Eno ha anche rilasciato un'intervista a Il Fatto QuotidianoEno è tra gli oltre 1.100 artisti nel Regno Unito che hanno firmato la dichiarazione di Artisti per la Palestina - UK


Caro Ohad Naharin, cara Batsheva Dance Company,

sono venuto recentemente a conoscenza del fatto che state utilizzando un pezzo della mia musica in un’opera chiamata Humus.

Ho saputo di questo utilizzo solo la scorsa settimana, e, anche se in un certo senso sono lusingato che avete scelto la mia musica per la vostra opera, purtroppo crea un grave conflitto per me.

Da quello che so, l'ambasciata israeliana (e quindi il governo israeliano) è sponsor dei prossimi spettacoli, e, dato che sostengo la campagna Bds da ormai diversi anni, questa è una possibilità inaccettabile per me. Spesso chi si oppone al Bds dice che l’arte non dovrebbe essere utilizzata come arma politica. Tuttavia, dato che il governo israeliano ha reso piuttosto evidente di utilizzare l'arte esattamente in tal senso - per promuovere il ‘Brand Israele’ e per distogliere l'attenzione dall'occupazione delle terre palestinesi - ritengo che la mia decisione di negare l'autorizzazione è un modo per togliere questa particolare arma dalle loro mani.

Lunedì 20 giugno attivist* di diversi gruppi locali hanno partecipato ad un'azione BDS davanti al Teatro Rasi di Ravenna in occasione dello spettacolo musicale For Mandela nel ambito delle mobilitazioni per chiedere al Ravenna Festival di cancellare lo spettacolo della compagnia di danza israeliana Batsheva previsto per il 6 luglio. Il festival quest'anno è dedicato a Nelson Mandela, difensore dei diritti dei palestinesi, e la partecipazione di Batsheva con sponsorizzazione dell'ambasciata israeliana è in contrasto stridente. Le attiviste e gli attivisti portavano cartelli con la celebre frase di Mandela: Sappiamo fin troppo bene che la nostra libertà è incompleta senza la libertà dei Palestinesi. Le persone che entravano erano molto sorprese ma anche molto interessate a capire le ragioni della protesta e a documentarsi.

Di seguito il testo del volantino distribuito.

Il PEN American Center provoca la rabbia dei propri membri per la ‘promozione di un governo che nega i diritti umani’

Più di 100 scrittori, compresi i premi Pulitzer Alice Walker, Richard Ford e Junot Díaz, hanno chiesto al PEN American Center “di rifiutare l'appoggio dell'ambasciata di Israele” in una furibonda lettera aperta.

Inviata al PEN American Center e ad altri partecipanti al festival a marzo ma pubblicata mercoledì online, la lettera si oppone alla sponsorizzazione dell'ambasciata israeliana all'annuale PEN World Voices Festival (PWVF), un evento della durata di sette giorni che si svolgerà a New York alla fine di questo mese.

Nei materiali promozionali l'ambasciata israeliana figura come "campione" del festival, uno dei livelli di coinvolgimento, e come sponsor del dibattito Ninety Minutes, Three Minds che coinvolgerà l'autrice israeliana nata in Etiopia Dalia Betolin-Sherman.

Da alcuni cittadini israeliani a Eros Ramazzotti: per un mondo più PERFETTO, per favore annulla il tuo concerto a Tel Aviv.

Caro Eros Ramazzotti,

siamo cittadini di Israele, attivi contro le politiche di occupazione ed apartheid del nostro governo. Facciamo appello alla tua coscienza. Dopo molti anni in cui abbiamo cercato di cambiare la nostra società dall'interno, siamo arrivati alla conclusione che solo una campagna internazionale, come quella contro l'apartheid in Sudafrica, potrà cambiare la situazione qui.

Siamo stati informati che hai intenzione di esibirti a Tel Aviv il 30 aprile 2016. Secondo quanto raccontano i media, avresti anche detto: " Shalom Tel Aviv. Sarà la prima volta per me in Israele. Sono veramente contento." Vogliamo chiederti di ripensare a questo concerto.

Le politiche di occupazione, colonialismo e apartheid di Israele hanno oppresso il popolo palestinese da più di 67 anni. A un'ora da Tel Aviv, milioni di persone stanno vivendo senza i diritti umani fondamentali e vivono una terribile sofferenza. Israele sta incarcerando persone, compresi bambini [1], senza imputazione, demolisce intere comunità [2] e cerca di appropriarsi illegalmente di territori occupati [3].