di Ranieri Salvadorini
Da alcuni anni Brian Eno è un convinto sostenitore della campagna "Boicottaggio disinvestimento sanzioni" (Bds), risposta della società civile palestinese alle politiche di colonizzazione e apartheid del governo israeliano. Il Fatto Quotidiano lo ha intervista-to sui legami tra l'arte e la questione palestinese.
Nei giorni scorsi lei ha negato l'uso della sua musica alla compagnia di danza Batsheva. La portavoce Noa Ron ha obiettato che "l'autore, Ohad Naharin, non ha mai esitato a esprimersi sulle conseguenze dell'occupazione delle terre palestinesi". L'arte non dovrebbe essere un punto d'incontro tra menti libere?
Guardare i "processi di pace" trascinarsi anno dopo anno, guardare uno dei più sofisticati eserciti al mondo polverizzare e umiliare persone quasi del tutto disarmate, ecco, mi è venuto da pensare che la strategia internazionale semplicemente non stesse funzionando. Chiesi a israeliani e palestinesi sensibili che cosa pensassero del Bds. Come me, hanno pensato che fosse l'unica carta da giocare, adesso. È l'unica cosa che abbia messo il governo israeliano un po' a disagio - perché smaschera la loro campagna per presentare Israele come un paese occidentale civilizzato e amante dell'arte, e invece attira l'attenzione sul fatto che è anche uno stato di apartheid. Non è semplicemente la mia analisi: Jimmy Carter e Desmond Tutu (che dovrebbe sapere una cosa o due sull'apartheid) hanno usato lo stesso linguaggio.
C'è il rischio che una pressione esterna come il boicottaggio compatti ancora di più la società israeliana?
C'è il rischio che il Bds polarizzagli atteggiamenti di alcune persone, facendoli ancora di più ultra-nazionalisti e anti-palestinesi. Qualcosa di simile è successo in Sudafrica. Ma quello che è anche successo, e io credo che stia cominciando ad accadere in Israele, è che molte persone che hanno sempre sentito solo la storia da parte del governo diventino consapevoli che c'è un'altra narrativa, quella palestinese. Molti amici sudafricani mi hanno raccontato che non erano del tutto consapevoli che l'apartheid fosse un problema fino a che in altri paesi non hanno cominciato a farlo conoscere - e a boicottare. I boicottaggi fecero una grande differenza perché si svolsero al di fuori del governo. Fu un gruppo di cittadini che provava a comunicare con un altro, senza la mediazione di un filtro politico.
II direttore di TorinoDanza ha detto: "La nostra scelta di invitare uno spettacolo bellissimo non è in alcun modo politica. E pura arte e dentro un teatro la politica non deve entrare". Come replica?
Gli artisti israeliani di cui parli, che hanno obiettato al mio boicottaggio personale, potrebbero avere ragione, per quel lo che ne so: potrebbe non cambiare per nulla la situazione. Significa che non valga la pena provare? Potrebbe non essere l'unica strategia o la strategia ottimale, e allora dovremmo starcene con le mani in mano finché non siamo sicuri al 100%? Israele sarebbe davvero contento di questo: più se ne parla ... più frega le terre. Sono contrario, invece, ad azioni che interrompano le performance dei colleghi israeliani, penso che non sia giusto.
Esiste una responsabilità sociale dell'artista? E che si intende?
Io credo che sostenere il Bds sia una questione di coscienza personale. Ho scritto a molti artisti per renderli consapevoli del movimento Bds ma ho sempre chiarito che sostenere o no il boicottaggio sarebbe stata una loro scelta personale. Alcuni lo fanno, alcuni no, altri non rendono pubbliche le loro posizioni. C'è però una cosa di cui sono certo: nessuno morirà o sarà ferito come risultato di non poter sentire la mia musica. È un modo non violento di far conoscere la mia posizione e penso di avere il diritto di farlo. Non penso che gli artisti debbano necessariamente prendere posizioni politiche - ma non vedo perché non dovrebbero.
Secondo lei in che misura, e in che termini, l'arte è politica?
Sono sicuro che gli organizzatori del festival non avessero intenzioni politiche. Ma sono ugualmente sicuro che il governo israeliano, nel finanziare performance come questa, abbia intenzioni politiche piuttosto specifiche. Sono stati chiari: vogliono promuovere il brand "Israele" e l'arte è una delle strade principali con cui lo fanno. Io sono libero di scegliere di non essere parte di tale campagna promozionale.
Chi aderisce al Bds a volte viene stigmatizzato come antisemita, le è successo?
Certo, sono stato accusato di antisemitismo. Quando non si sa replicare con l'argomento, si attacca la persona. E la prima linea di difesa, quella che eccita i media. Ho manifestato contro l'America e contro il mio stesso paese, la Gran Bretagna, ma non sono mai stato chiamato anti-cristiano. Perché ogni critica a Israele fa di te un antisemita?
Fonte: Il Fatto Quotidiano