Notizie BDS
Notizie internazionali del movimento globale BDS.
La compagnia israeliana di cosmetici Ahava sarebbe sul punto di trasferire i propri impianti di produzione dalla West Bank al territorio israeliano compreso nei confini precedenti al 1967.
Negli ultimi anni, la compagnia era stata presa di mira dalla campagna pro-palestinese di Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS) a causa della posizione della sua fabbrica nell’insediamento illegale di Mitzpeh Shalem.
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G4S, il gigante britannico della sicurezza privata, ha annunciato l’intenzione di vendere la sua intera attività in Israele entro i prossimi 12/24 mesi. La notizia è stata accolta favorevolmente dagli attivisti palestinesi al boicottaggio, il disinvestimento e le sanzioni (BDS), per i quali G4S è stato un obiettivo da lunga data.
La decisione di lasciare Israele, è stato rivelato nel report dell’intero esercizio pubblicato Mercoledì della società, quando la società ha registrato un calo del 40 per cento al lordo delle imposte.
La società ha detto che i suoi piani per uscire da Israele facevano parte di un “programma di gestione continua del portafoglio” progettato per “migliorare in modo efficace il nostro obiettivo strategico.” Il business con Israele impiega 8.000 persone, con un fatturato di £ 100 milioni.
Secondo il Financial Times, G4S “si sta togliendo da attività che possano danneggiare la sua reputazione, tra cui tutte le proprie attività in Israele”, notando che gli attivisti per i diritti umani e gli attivisti BDS “hanno più volte attaccato il lavoro di G4S in [Israele].”
L'Ahava spostarà il suo impianto all'interno della Linea Verde
di Richard Silverstein
Una lotta ingaggiata da anni dal movimento BDS contro l'impresa israeliana di cosmetici Ahava si è conclusa con una vittoria per gli attivisti contro l'occupazione. Dopo che siti di notizie economiche hanno recentemente riportato che una compagnia cinese aveva iniziato colloqui per comprare l'impresa, questa ha annunciato oggi di aver intenzione di spostare il proprio impianto da Mitzpeh Shalem, in Cisgiordania, al kibbutz Ein Gedi, che si trova presso l'impianto originale, ma all'interno della Linea Verde. La costruzione della nuova fabbrica di Ahava richiederà due anni.
Benché il titolo in prima pagina di Yediot Achronot descriva falsamente l'annuncio dell'impresa come una ammissione che è stata "sconfitta dall'odio", ciò è chiaramente falso. Si è trattato senza dubbio solo di una questione di affari. Probabilmente i nuovi proprietari della ditta cinese, che hanno acquistato l'impresa lo scorso settembre per 75 milioni di dollari, non volevano avere la seccatura di continue proteste in giro per il mondo e vedere infangato il proprio nome. Vorrebbero piuttosto comprare un prodotto con un notevole potenziale e sviluppare i propri affari senza intralci. Gli attuali proprietari israeliani preferirebbero di gran lunga incassare i proventi del loro investimento piuttosto che difendere il principio che gli ebrei hanno diritto ad ogni palmo della terra di Israele. Il denaro ha sconfitto il "principio". In questo caso, il denaro era nel giusto, il principio era sbagliato.
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Lunedì, 15 febbraio 2016, alle 6 circa, la giunta direttiva degli studenti universitari dell'UIC [Università dell'Illinois a Chicago. Ndtr.] ha votato all'unanimità una risoluzione per sollecitare l'università ad abbandonare ogni rapporto con società che traggono profitto dall'occupazione israeliana e da altre violazioni dei diritti umani.
La risoluzione di "UIC per Disinvestire" mira a porre fine alla complicità dell'UIC in investimenti nell'ambito di società multinazionali che traggono attivamente profitto e consentono le violazioni dei diritti umani, tra cui G4S [multinazionale inglese del settore della sicurezza], Hewlett-Packard [informatica], Caterpillar [macchinari per il movimento terra], Lockheed Martin, Boeing [imprese aeronautiche] e Foxconn [multinazionale taiwanese di apparecchi elettrici ed elettronici]. Nella risoluzione, si sottolinea anche la trasparenza, chiedendo all'università di condividere il suo quadro di investimenti con l'opinione pubblica e definire un ruolo per gli studenti nel comitato per gli investimenti del consiglio di amministrazione.
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Le sanzioni non hanno distrutto il Sud Africa e l’Iran; e non distruggeranno Israele. Soprattutto, libereranno Israele dalla trappola dalla quale non è in grado di uscire da solo.
di Shlomo Sand
I media la definiscono l’intifada dei singoli. Ma tutti noi sappiamo che è innanzitutto un’ intifada dei giovani. La classe politica israeliana è convinta che [i giovani] vengano sobillati, ma chiunque voglia essere onesto con sé stesso sa che le ragioni reali della recente ondata di attacchi sono la persistente occupazione, le umiliazioni quotidiane, il vuoto esistenziale e la percezione di non avere nessuna via di uscita.
Poco distante dalle nostra vita quotidiana a Tel Aviv e a Haifa, un popolo privo dei diritti umani e privo dei più fondamentali diritti civili ha vissuto per circa mezzo secolo. Noi, gli israeliani, lavoriamo, studiamo e viviamo agiatamente e liberamente, mentre non lontano da noi un popolo è alla mercé dei soldati e della smisurata avidità per la terra dei coloni appoggiati dal governo.
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I prof che lo hanno sottoscritto lamentano di essere stati censurati. La replica: «È un sito ufficiale e va utilizzato per dare notizia delle attività di ricerca»
Il rettore Elda Morlicchio chiede di rimuovere dal sito ufficiale del centro di studi postcoloniali, uno dei link della pagina online di ateneo, l’appello al boicottaggio dei prodotti israeliani e all’università l’Orientale divampa la polemica. La docente parla di uso improprio del sito, ma alcuni dei suoi colleghi l’accusano di censura.
Il caso è scoppiato ieri, ma affonda le sue radici nel 2014. Risale infatti a ben due anni fa la decisione del professore britannico Iain Chambers, sociologo ed esperto di studi culturali, volto molto noto nell’ex Collegio dei Cinesi, di pubblicare sulla pagina del centro studi postcoloniale e di genere, struttura di ricerca dell’ateneo, del quale è presidente, l’invito lanciato da gruppi ed associazioni, nell’ambito della campagna BDS (Boicottaggio, Disinvestimento, Sanzioni), a non comprare il «made in Israel». BDS sollecita ad evitare di acquistare merci di varia natura: stampanti, computer cosmetici,farmaci, prodotti agricoli. Accomunate, argomentano gli attivisti, dal lucrare sulla occupazione dei territori palestinesi, o perché realizzate in fabbriche all’interno delle colonie, o perché «finanziano il colonialismo», o per altri analoghi motivi. «Ci ispiriamo – sostengono i promotori di BDS – al movimento contro l’apartheid in Sudafrica e rispondiamo all’appello lanciato da centinaia di associazioni palestinesi». Piace anche a Chambers, quell’appello, e ad altri suoi colleghi del centro di studi postcoloniali. Lo collocano dunque in bella evidenza sul sito e lì resta praticamente per quasi due anni. Fino a ieri, però, quando lo stesso Chambers, su invito del rettore e con estremo disappunto, lo rimuove.
"Jewish Voice for Peace" e "Jews Say No!" si prendono la responsabilità per il falso 'NYT' che ha messo in luce la copertura mediatica tendenziosa su Israele/Palestina
di Adam Horowitz
Ieri abbiamo informato di un'edizione parodistica del New York Times distribuita nelle strade di New York. Da allora il finto giornale ha determinato titoli in prima pagina in tutto il mondo e l'account di Twitter e il sito web relativo a questa azione sono stati sospesi. Oggi, la sezione di New York di 'Jewish Voice for Peace' e l'organizzazione ' Jews Say No!' ["Voce ebraica per la pace" e "Gli ebrei dicono no!", due organizzazioni ebraiche nordamericane contrarie all'occupazione israeliana. Ndtr.] hanno rivendicato quest'azione. Ecco un comunicato stampa inviato dalle organizzazioni questa mattina:
(3 febbraio 2016) - Ieri diecimila copie di un supplemento speciale del New York Times dedicato ad Israele e Palestina sono state distribuite a NYC, mentre migliaia di versioni digitali sono state diffuse in internet. Il supplemento speciale, che era una parodia, include articoli come "Il Congresso discute dell'aiuto degli Stati uniti a Israele" e "Sulle orme di Mandela e di [Martin Luther] King: un movimento non-violento guadagna terreno da dieci anni," così come un editoriale: "La nostra nuova politica editoriale: ripensare a Israele-Palestina."
Un convegno a Milano, una due giorni per ritrovare l’essenza di una questione sempre più cruciale e sempre meno centrale
di Christian Elia
“Se questo fosse un conflitto, un faccia a faccia tra due contendenti, oggi celebreremmo un meeting post-mortem. Sarebbe come parlare di nativi americani, o degli ebrei dell’Olocausto. E invece no. Non è un confronto alla pari, non lo è mai stato. Non è solo un confronto tra israeliani e palestinesi, che sarebbe come uno scontro tra un camion e una bici. E’ molto di più”.
Michel Warschawski è uno degli ospiti della due giorni organizzata a Milano, dal titolo L’ultimo giorno di Occupazione sarà il primo giorno di Pace. Anima dell’Alternative Informatio Center, ex studente del Talmud, nato in Francia e immigrato in Israele da adolescente, militante politico e attivista anti-sionista, Warschawski continua a rappresentare l’Israele migliore. Quello che non si è fatto annientare dall’odio.
“Sempre più, i fattori internazionali hanno mutato questo confronto. Il declino dell’egemonia Usa sulla regione, l’emergere di tanti, troppi nuovi attori interessati ad assetti regionali e le primavere arabe. Tutto il contesto degli ultimi decenni è stato sconvolto”, sostiene Mikado, come lo chiamano in molti. “Mi è stato chiesto un bilancio delle cosiddette primavere arabe. Ma come si fa? Come si può immaginare di trarre bilanci di un processo rivoluzionario in soli cinque anni?”.
Perché per lui, questo funerale che si continua a celebrare, è prematuro. “Ricordo, durante i giorni di Piazza Tahrir, un’intervista all’inviato di una radio israeliana al Cairo. Un bravo ragazzo, non uno dei soliti fanatici pro governativi che mandiamo in giro. E questo ragazzo era colpito, dalla gente, dalla passione, da una piazza che rompeva gli stereotipi ai quali eravamo abituati. Il suo interlocutore, seccato, gli chiede – ma rispetto a noi? – e l’altro, stupito, risponde- niente – e l’intervista è finita. Perché per Israele, quel che accade nel mondo, è un trauma”.
Secondo Warschawski “la politica estera di Israele rispetto agli ultimi dieci anni è stata schiantata dai fatti. Non è stato capace di proteggere Mubarak e gli altri alleati, non è stato capace di impedire la distensione tra Usa e Iran. Perché mai gli Usa dovrebbero continuare a coprire di denaro un poliziotto locale che non riesce più a far bene il suo dovere? Israele, mentre il centenario equilibrio dell’accordo Sykes – Pikot è andato in pezzi, è rimasto impotente e smarrito”.
Illustre Signora Mogherini,
In nome delle nostre Associazioni, Ebrei contro l’Occupazione (ECO) e Salaam Ragazzi dell’Olivo (Comitato di Milano), vogliamo segnalarle che le decisioni della Commissione Europea nei riguardi della Palestina ed Israele sono del tutto inadeguate a far cessare le ingiuste, ed inumane, politiche di Israele contro i Palestinesi, sia quelli con cittadinanza israeliana, sia quelli residenti nei territori palestinesi occupati militarmente da Israele da ormai molti decenni.
Le azioni dei governi israeliani, dal 1948 a tutt’oggi, violano i più fondamentali diritti umani, civili e politici del popolo palestinese, e le numerose risoluzioni delle Nazioni Unite, dal 1947 ad oggi. I palestinesi sono stati cacciati dalla loro terra con l’occupazione militare iniziale del 1947-49 (sin da prima della proclamazione dello Stato di Israele), che ha visto anche il massacro di molte decine di migliaia di loro. Da allora, lo Stato di Israele continua ogni giorno a cacciare i Palestinesi dalla Cisgiordania e da Gerusalemme EST, e le uccisioni di Palestinesi negli attacchi con forze militari assolutamente preponderanti ed armi sofisticate contro Gaza ed in Cisgiordania hanno raggiunto numeri tali da guerra di un esercito moderno contro una popolazione civile.
Leggi: Ebrei contro l'occupazione e Salaam Milano scrivono a Federica Mogherini
La ONG israeliana Shurat HaDin sosteneva che un sindacato statunitense aveva violato il diritto del lavoro USA appoggiando il movimento per il boicottaggio anti-israeliano, ma il tribunale non ha accolto la richiesta.
Un centro legale israeliano che si autodefinisce "in prima linea nella lotta al terrorismo e nella salvaguardia dei diritti degli ebrei in tutto il mondo" ha perso una causa intentata contro un sindacato USA per aver aderito al boicottaggio contro Israele.
La causa era stata presentata dal centro di consulenza legale Shurat HaDin contro il sindacato United Electrical, Radio and Machine Workers of America (UE), dopo che questo durante la sua convenzione nazionale nell'agosto 2015 aveva aderito al movimento Boicottaggio, disinvestimento e sanzioni (BDS).
La UE, che rappresenta circa 35.000 lavoratori nei settori industriale, pubblico e non profit, è stato il primo sindacato nazionale americano ad appoggiare il BDS, che propone i boicottaggi come mezzo per spingere Israele a ritirarsi dai territori occupati.
Leggi: Un tribunale del lavoro americano respinge l'istanza antiboicottaggio di una ONG israeliana