di Gideon Levy
Negli ultimi anni Roger Waters ha dedicato molto del suo tempo al movimento chiamato “Boicottaggio, disinvestimento e sanzioni” (Bds). Ogni artista che intende esibirsi in Israele riceve da lui una lettera di rimprovero. Durante la guerra di Gaza, l’anno scorso, Neil Young ha finito per annullare i suoi concerti – secondo Waters, però, nessun artista ammette di aver cambiato i propri programmi grazie a lui. Cyndi Lauper, Robbie Williams e persino Alan Parsons, per citarne solo alcuni, hanno invece ignorato le sue suppliche, tenendo concerti in Israele. Non vi è dubbio però che Waters sia riuscito ad instaurare un certo clima a livello internazionale. Il suo coinvolgimento contro Israele è nato sulla scia di una sua esibizione avvenuta qui nove anni fa.
Quando e in che modo è iniziato il suo coinvolgimento politico in Medio Oriente?
«Mi era stato chiesto di suonare in Israele, ed è proprio qui che è iniziato tutto. In realtà il mio coinvolgimento nacque senza che me ne rendessi conto, perché nel 2006 ero molto ingenuo. Non pensavo. Quando il mio agente firmò il contratto per il mio concerto a Tel Aviv io, con mia imperitura vergogna, mi occupavo di tutt’altro. Poi però iniziai a ricevere delle mail».
Da parte di chi?
«Centinaia di organizzazioni diverse. Erano soprattutto mediorientali, ma vi erano anche degli europei che dicevano: “Hai sentito parlare di questa nuova organizzazione?”. La Bds aveva un tono era misurato e convincente, quindi iniziai a dialogare con loro».
Le dicevano di non andare?
«Sì. Dicevano che andando avrei favorito l’occupazione. Quanto ero ingenuo! Certo, negli Stati Uniti la hasbara , ossia quella che chiamano la diplomazia pubblica israeliana, è estremamente potente. Alla fine annullai il concerto e mi recai invece a Neve Shalom».
Chi le suggerì Neve Shalom?
«Non mi ricordo. È una comunità agricola nella quale ebrei, cristiani e musulmani tentano di vivere insieme. Era e continua ad essere un esperimento fantastico, che andrebbe incoraggiato in ogni modo possibile. Alla fine pronunciai un breve discorso, nel quale suggerii che quello era il modo in cui i giovani israeliani avrebbero dovuto far pace con i propri vicini. Il pubblico si zittì completamente. In seguito, riflettendo sulle implicazioni delle restrizioni sugli spostamenti, mi resi conto che era piuttosto improbabile che tra i presenti vi fossero dei palestinesi o degli arabi, e mi dispiacque moltissimo».
Ritiene di aver scoperto la verità sul Medio Oriente?
«Non sono un profeta, ma parteggio per il fronte opposto a quello di chi – a prescindere dall’appartenenza — sgancia bombe e uccide bambini».
E qui arriviamo al nocciolo del discorso. Molti si domandano: perché Israele, quando tanti altri Paesi fanno lo stesso?
«Be’, se sei determinato a stare dalla parte della giustizia, dei diritti umani, delle libertà individuali, dell’eguaglianza politica e della libertà di religione, di tanto in tanto ti si presentano delle situazioni che richiedono più di altre la tua attenzione. C’è anche chi si lamenta per il paragone con il Sudafrica dell’apartheid. Nel caso dei territori occupati, il paragone è legittimo. Negli anni ‘70 e ‘80 ci concentrammo tutti sul Sudafrica perché pensavamo che saremmo riusciti a determinare un cambiamento in quella piccola parte di mondo. Oggi quella piccola parte di mondo è Israele».
Non c’è il rischio che Bds unisca gli israeliani rendendoli ancora più nazionalistici?
«Non credo. Penso che la consapevolezza di poter contare fuori dal loro Paese su amici e sostenitori che li appoggiano e ammirano il coraggio di israeliani che si battono per ciò che è giusto darà maggiore forza a quegli israeliani che non sono soddisfatti della politica interna ed estera del loro governo. Che alternativa abbiamo? Qualcuno mi mostri un’alternativa alle proteste nonviolente di chi crede che l’occupazione sia sbagliata e che i cittadini palestinesi di Israele debbano sottostare alle stesse leggi dei cittadini ebrei di Israele».
Lei è per la soluzione che prevede uno o due Stati?
«Preferirei un unico Stato democratico, laico, con pari diritti per tutti, suffragio universale, parità di diritti sulla proprietà, libertà assoluta di religione. Sono molto contrario alle teocrazie».
Cosa risponde a chi ritiene che sia sufficiente boicottare il progetto delle colonie?
«Le colonie rappresentano un problema enorme perché annettono i territori occupati. Tuttavia è sul governo di Israele che occorre esercitare delle pressioni».
Riesce ad ipotizzare una situazione nella quale lei tornerebbe ad esibirsi in Israele?
«Quando vedremo che ce l’abbiamo fatta, che tutti godono di eguali diritti e nessuno uccide nessuno. Allora verrò e suonerò tutto The Wall».
Cosa vorrebbe dire agli israeliani?
«Che nel 1945, o nel ‘47-‘48, avete avuto la solidarietà del resto del mondo, e che purtroppo avete dilapidato quel sentimento di benevolenza. Dovete trovare il coraggio di vivere insieme ai vostri vicini. Guardare alla realtà, anziché restare attaccati all’immagine di una falsa realtà, richiede coraggio».
(Traduzione di Marzia Porta)
Fonte: La Repubblica
Originale: Haaretz