di Ingrid Colanicchia
Il 2016 è stato un anno di crescenti successi per il movimento di Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS) contro l’apartheid e l’occupazione israeliane. Tra le tappe più importanti ricordiamo: i quasi 200 docenti universitari italiani che in gennaio hanno firmato una dichiarazione a sostegno del boicottaggio accademico; il Consiglio studentesco dell’Università di Chicago che in aprile ha votato a favore del disinvestimento dalle aziende che traggono profitto dalle violazioni dei diritti umani da parte di Israele; le 352 organizzazioni europee che in maggio hanno chiesto all’UE di sostenere il diritto al boicottaggio (v. Adista Segni Nuovi n. 21/16); il compositore Brian Eno, che a settembre ha rifiutato di concedere in licenza la sua musica a qualsiasi gruppo che sia sponsorizzato dallo Stato di Israele; per finire, in novembre, con gli studenti dell’Università norvegese di Scienza e Tecnologia (NTNU) che hanno adottato una risoluzione contro una possibile collaborazione tra NTNU e università israeliane per la ricerca su petrolio e gas.
Un elenco lungi dall'essere esaustivo (per ulteriori dettagli si consulti il sito bdsitalia.org). Inevitabile quindi che Israele mettesse in moto tutta la potenza della sua macchina repressiva per tentare di arginare il movimento. In marzo, al convegno interamente dedicato alla questione organizzato dal maggiore quotidiano israeliano, Yedioth Ahronoth, hanno partecipato personaggi di primo piano della politica di Tel Aviv, come il presidente della Repubblica Reuven Rivlin, nonché ministri e membri dell'opposizione, e le minacce agli aderenti al movimento si sono sprecate. E dalle parole ben presto si è passati ai fatti. In agosto il ministro dell'Interno, Arye Dery, e il ministro della Pubblica Sicurezza, Gilad Erdan, hanno annunciato l'istituzione di una task force congiunta al fine di impedire l'ingresso in Israele a membri stranieri di organizzazioni che sostengono il BDS e al fine di espellere gli attivisti già nel Paese. E in Parlamento è attualmente in discussione un disegno di legge anti-BDS che comporterebbe la creazione, sempre allo scopo di impedirne l'ingresso, di un elenco di individui e organizzazioni ritenute anti-israeliane.
Giunge quindi assolutamente a proposito la dichiarazione in difesa del diritto a boicottare Israele diffusa nel mese di dicembre da 200 giuristi che evidenziano come l'adesione al movimento non sia altro che «un legittimo esercizio della libertà di espressione». «Il BDS – scrivono i giuristi (tra cui una dozzina di italiani) – è un movimento pacifico globale guidato dalla società civile palestinese volto a fare pressione su Israele affinché rispetti i propri obblighi secondo il diritto internazionale umanitario e dei diritti umani come richiesto da numerose risoluzioni delle Nazioni Unite, in particolare quello di porre fine all'occupazione dei territori palestinesi e siriani, di fermare la discriminazione sistematica contro i palestinesi nei territori palestinesi occupati e all’interno di Israele e di consentire il ritorno dei profughi palestinesi». «L'efficacia del BDS – proseguono – ha condotto non solo Israele, ma anche altri Stati ad adottare misure per reprimere questo movimento. Francia, Regno Unito, Canada e alcuni legislatori statali negli Stati Uniti hanno adottato leggi e varato decreti esecutivi per sopprimere, mettere fuori legge e, in alcuni casi, criminalizzare il sostegno al BDS. Tali misure – spiegano i firmatari – hanno lo scopo di punire singoli individui, aziende e istituzioni pubbliche e private che prendono decisioni aziendali e in materia d’investimenti e di appalti etiche e legalmente responsabili.
Altri Stati, in particolare Svezia, Olanda e Irlanda, senza aderire al boicottaggio di Israele, hanno però dichiarato che il sostegno al BDS è legittimo esercizio della libertà di espressione. Note organizzazioni per i diritti umani, tra cui Amnesty International, la Federazione Internazionale per i Diritti Umani (FIDH) e Human Rights Watch, hanno allo stesso modo stabilito che singoli individui, associazioni, istituzioni pubbliche e private, enti locali ed imprese hanno il diritto di sostenere e implementare il BDS nell'esercizio del diritto fondamentale della libertà di espressione». «Stati e organizzazioni che considerano il BDS come un legittimo esercizio della libertà di espressione hanno ragione», dichiarano i giuristi: «Il fatto che si approvino o meno gli obiettivi o i metodi di BDS non è il nucleo della faccenda. La questione è se, al fine di proteggere Israele, debba essere limitata la libertà di espressione che occupa un posto centrale e chiave tra i diritti umani fondamentali. Gli Stati che vietano il BDS stanno minando questo diritto umano fondamentale – concludono i 200 giuristi – e minacciano la credibilità dei diritti umani esentando un determinato Stato dall’essere destinatario di misure pacifiche volte a ottenere il rispetto del diritto internazionale».
Tra i firmatari ci sono giuristi di fama mondiale come il sudafricano John Dugard, già giudice presso la Corte internazionale di giustizia; Sir Geoffrey Bindman, membro onorario del Consiglio della Regina nel Regno Unito; José Antonio Martín Pallin, già giudice della Corte Suprema in Spagna; Alain Pellet, Cavaliere della Legione d'Onore in Francia; Guy Goodwin-Gill, già consigliere giuridico per l'Ufficio dell'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR); Livio Pepino, già magistrato, consigliere della Corte di Cassazione e membro del Consiglio Superiore della Magistratura in Italia; Eric David, già consulente legale del Consiglio d'Europa e del governo belga; Robert Kolb, già esperto legale per il Comitato internazionale della Croce Rossa e il Ministero degli Affari Esteri svizzero; Marco Sassòli, già vice capo della divisione legale del Comitato internazionale della Croce Rossa; Michael Mansfield, Consiglio della Regina nel Regno Unito; Lauri Hannikainen, della Commissione europea contro il razzismo e l'intolleranza (ECRI); e Géraud de la Pradelle, che ha condotto l'inchiesta civile sul coinvolgimento della Francia nel genocidio in Rwanda.
Fonte: Adista