Ilan Pappé, lo storico israeliano ha criticato un’università italiana per aver aver ceduto alle “intimidazioni Sioniste” cancellando un dibattito nel quale era stato invitato a intervenire.

di Stephanie Westbrook*

Solo pochi giorni prima del dibattito che si sarebbe dovuto tenere il 16 febbraio, l’Università di Roma Tre ha negato agli organizzatori l’uso del suo prestigioso Centro di Studi italo-francesi dove si doveva svolgere. L’evento – che avrebbe dovuto trattare l’uso e l’abuso dell’identità in Europa ed in Medio Oriente – si è tenuto lo stesso, ma in una sede differente.

La cancellazione all’ultimo minuto è un altro caso di censura preventiva da parte di un’istituzione di alto livello. “È molto fastidioso vedere come viene trattata la libertà di parola in Europa”, ha detto Pappé a «The Electronic Intifada». “Mettere in ridicolo il profeta Maometto in una vignetta è la cartina di tornasole per una società che cura teneramente la libertà di parola; tuttavia una normale ed aperta conversazione su Israele e Palestina è condannata come un incitamento all’odio”.

Le ragioni iniziali date dall’Università parlano di “errori procedurali”. Pappé ha trovato questa scusa addirittura più sinistra della verità. “Nessuno può veramente dire in modo aperto di voler rifiutare un dibattito sulla Palestina, così dagli eventuali gestori delle sedi di tali eventi solitamente vengono menzionati problemi tecnici, mentre le lobbies sioniste celebrano più apertamente l’ennesimo caso in cui sono riuscite a mettere a tacere i dibattiti sulle politiche di Israele in Palestina”, ha dichiarato Pappé, che è noto a tutti per aver documentato come le forze sionisteabbiano cacciato dalle proprie terre circa 800.000 Palestinesi e distrutto più di 500 villaggi nel 1948. Effettivamente, un sito filo-israeliano, «Informazione Corretta», ha subito cantato vittoria, affermando che ringraziava gli “amici di Roma” per aver negato la sede in seguito alle proteste per la sua vicinanza al quartiere ebraico della città.

L’Università soccombe alle “intimidazioni”

In una comunicazione mail a «The Electronic Intifada», l’ufficio stampa dell’Università di Roma Tre ha affermato che l’Università non si era rifiutata di ospitare l’evento, ma che era stata offerta una sede alternativa. Comunque, gli organizzatori avevano subito segnalato che la sede “alternativa” era un spazio completamente inadeguato, non attrezzato e riservato a spettacoli di ballo e offerto solo per coprire la revoca all’ultimo minuto. Quello che disturbava di più, dicono, erano stati gli sforzi dell’Università per delegittimare il dibattito, ritirando l’uso del suo logo e cancellando velocemente l’evento dal suo sito in cui era regolarmente segnalato.

L’annuncio iniziale dell’Università dell’evento ancora è visibile grazie alla cache di Google.

Pappé, che ha sperimentato questi tentativi di censura già in molti paesi, ha dichiarato: “La coscienza sporca non ci abbandona: ancora un altro rispettabile istituto dell’istruzione superiore in Europa cede alle intimidazioni e alle campagne di criminalizzazione sioniste”. Il tentativo della lobby sionista di mettere a tacere i critici tuttavia non ha funzionato. La nuova sede era stracolma di gente e sono rimasti solo posti in piedi, in una sala per dibattiti trovata all’ultimo minuto, offrendo l’opportunità a molti “di ascoltare un dibattito aperto nel quale la Palestina era un tema in un dibattito più ampio sul potere e l’informazione”, ha detto Pappé. È stata messa anche a nudo la codardia dell’Università, che ha dimostrato più preoccupazione per i gruppi di pressione esterni che per la propria propria reputazione, indipendenza e doveri verso la società. Come ha sottolineato Pappé, “la lotta qui è perciò non solo per il diritto delle rivendicazioni Palestinesi ad essere ascoltate, ma anche affinché il mondo accademico metta fine alla sua vergognosa resa ai poteri forti e adempia più coraggiosamente al ruolo per cui è pagato: essere i cani da guardia della società e non i cuccioli dei governi”.

Una lettera aperta lanciata dagli organizzatori e firmata da Pappé esprime sdegno per l’Università che evita la propria responsabilità di incentivare “le opportunità di dibattiti che  coltivano un pensiero critico” invece di censurarli. La lettera chiama anche “le comunità accademiche in tutto il mondo a opporsi all’uso selettivo dei principi di libertà di parola e della libertà accademica”. La lettera è stata pubblicata domenica e ha ricevuto in poco tempo più di cento firme da accademici di tutto il mondo.

Zittire la Palestina in giro per l’Italia

Questo è solo uno esempio di una serie di tentativi insistenti di spegnere la discussione sui diritti e la storia dei Palestinesi negli spazi pubblici in Italia, e la tendenza più allarmante è quella che le autorità cedono alla pressione e alle accuse infondate.

Il 27 febbraio, l’Università La Sapienza di Roma ha revocato l’autorizzazione a trasmettere il documentario “The Fading Valley” della regista israeliana Irit Gal. Il film tratta i problemi dell’acqua nella Valle del Giordano nella West Bank occupata. Il Comitato “No Acea-Mekorot” lavora per la cancellazione di un accordo tra l’azienda dell’acqua di Roma e la società israeliana responsabile del furto delle risorse idriche palestinesi. Il comitato organizzatore ha affermato in un comunicato stampache l’ennesima cancellazione è avvenuta a seguito di una telefonata dall’Ambasciata israeliana e le obiezioni di alcuni studenti, dopo le quali il preside ha tolto il permesso di usare le strutture dell’Università. “È intollerabile che la sua ambasciata intervenga così pesantemente nelle scelte delle università italiane”, ha scritto il comitato. “Peggio ancora, è disonorevole e vergognoso che le istituzioni accademiche italiane si adeguino ai suoi diktat”.

Negare la storia palestinese

A Torino lo scorso novembre, pochi giorni dopo che un’esposizione di fotografie dell’archivio digitale dell’UNRWA, l’agenzia dell’ONU per rifugiati in Palestina, era stata inaugurata al Museo della Resistenza, sono iniziate le pressioni e l'esposizione è stata chiusa. Questo archivio è nel Registro Mondiale della Memoria, amministrato dall’organizzazione per la e l’istruzione delle Nazioni Unite, l’UNESCO. La Comunità ebraica di Torino ha minacciato di cancellare la sua affiliazione al museo a meno che l’esposizione non venisse sospesa, mentre ha accusato l’agenzia dell’ONU di “esprimere notoriamente punti di vista antisemiti”. Quando il museo ha aperto l’esposizione, ha preso la misura bizzarra di affiggere un avviso all’ingresso e sul suosito che informava i visitatori delle proteste della Comunità ebraica di Torino che “criticava la natura anti-israeliana unilaterale, parziale e prevenuta” dei suoi contenuti. L’ufficio stampa del museo ha confermato a «The Electronic Intifada» che questa è stata la prima volta che ha affisso un simile avviso per un’esposizione. Inoltre, il museo ha cancellato due eventi previsti durante l’esposizione – una tavola rotonda, a cui avrebbe preso parte un oratore designato dalla Comunità ebraica di Torino, a causa di “ragioni organizzative”, ed una lettura dei lavori del poeta palestinese Mahmoud Darwish. Secondo il museo, questi eventi sono stati ritirati per evitare uno “stravolgimento” dell’esposizione. 

Anche l’Università di Padova ha recentemente revocato l’autorizzazione ad un’associazione studentesca per delle iniziative di raccolta fondi per i rifugiati siriani e curdi. In un post su Facebook, gli organizzatori hanno dichiarato di essere stati informati che la cancellazione era avvenuta per le lamentele di un singolo studente israeliano per via di una mappa affissa vicino al tavolo di raccolta fondi (non ufficialmente materiale dell’evento, tra l’altro) dove un altro studente avrebbe scritto “Palestina” sopra lo Stato di Israele. Gli studenti-organizzatori hanno dichiarato non solo che il preside ha cancellato le prossime raccolte fondi organizzate dal gruppo, ma pretende anche che la richiesta di autorizzazione per eventi che trattino la questione Palestina sia presentata congiuntamente con uno studente israeliano.

Anche a novembre, come ha riportato il giornale  «La Stampa», Daniela Santus, una professoressa dell’Università di Torino, ha rifiutato di presiedere una sessione di discussione di una tesi di due studenti universitari perché il tema era la Palestina. Quella stessa professoressa aveva invitato l’ambasciatore israeliano in Italia a parlare all’Università nel 2005.

Ruba Salih, un’accademica della Scuola di Studi Orientali ed Africani dell’Università di Londra, ha preso parte alla discussione con Pappé a Roma. Riferendosi aicommenti della filosofa Judith Butler che “non tutte le vite umane vengono prese in considerazione”, Salih ha denunciato il modo selettivo con cui vengono censurati i dibattiti sulla Palestina. “Quando bambini palestinesi sono descritti come scudi umani, loro entrano inevitabilmente nel regno dei non-umani, diventano oggetti ed obiettivi legittimi di guerra, deprivati della loro soggettività”, ha osservato Salih. “Loro diventano non-vite, o vite sacrificabili per salvaguardare le vite di quelli che esistono”.

*Stephanie Westbrook è una cittadina statunitense che vive a Roma. I suoi articoli sono stati pubblicati da Common Dreams, Counterpunch, The Electronic Intifada, In These Times and Z Magazine. Per seguirla su Twitter: @stephinrome

Fonte: The Electronic Intifada 

Tradouzione di La Città Futura