di David Lloyd

Qualcosa di straordinario è accaduto sabato sera al meeting annuale dell’Associazione degli studi americani (ASA) a Washington, DC.

Nell’affollato incontro aperto, convocato dal Consiglio Direttivo Nazionale dell’ASA per discutere una risoluzione per "sostenere e onorare" l'appello palestinese al boicottaggio delle istituzioni accademiche israeliane, uno dopo l’altro, gli interventi hanno espresso un forte sostegno a favore della risoluzione.

Hanno invitato il Consiglio a votare la mozione senza ulteriori ritardi o rinvii.

Israele e la complicità degli Stati Uniti

Dei 44 intervenuti, i cui nomi sono stati presentati per iscritto e poi estratti a sorte, 37 hanno parlato a favore del boicottaggio. Spaziavano da docenti di alto livello a studenti post-laurea e anche studenti di laurea membri dell'ASA. Tutti hanno ricordato l'impegno fondamentale dell'ASA per lo studio e la critica del razzismo e della storia dell’imperialismo e del colonialismo degli Stati Uniti.

Molti hanno sottolineato il legame tra Israele come stato colonialista e la complicità degli Stati Uniti nel sostenere politicamente e materialmente i suoi progetti coloniali. In questo contesto, vari hanno osservato che si erano iscritti all'ASA proprio perché il suo impegno per il lavoro intellettuale anti-razzista e anti-coloniale l’aveva reso particolarmente ospitale per i loro studi. Per loro, era evidente il legame tra un impegno anti-razzista all'interno degli Stati Uniti e uno di solidarietà con le vittime di un progetto coloniale che ha il pieno sostegno degli Stati Uniti.

Uno dopo l’altro, gli intervenuti hanno confutato l'accusa che sostenere il boicottaggio è una contraddizione che limita la libertà accademica in nome della libertà accademica. Hanno sottolineato che questa affermazione è semplicemente falsa, a fronte di una campagna di dichiarazioni ingannevoli evidenziata da un volantino che girava nella sala di "Domande Frequenti" in opposizione alla risoluzione. La campagna alludeva che il boicottaggio prende di mira singoli individui a causa della loro appartenenza nazionale o di identità.

Se non altro, la risoluzione promuove la libertà accademica - in particolare quella dei palestinesi, il cui accesso alla normale vita accademica è continuamente violato dall'occupazione, dai blocchi, da una punizione collettiva in forma di chiusura delle scuole e dalla negazione del diritto fondamentale di movimento. A nessuno studioso israeliano verrebbe negato il diritto di esprimersi o pubblicare un parere, di partecipare a una conferenza, di fare ricerca, o di viaggiare dove vuole.

Parlare senza paura

Ma la cosa più importante di questo evento è che ha già dimostrato che impegnarsi nel boicottaggio, e anche nella discussione del boicottaggio, sono un'estensione della libertà accademica.

Nonostante anni di azioni legali mirate a far tacere, nelle quali lobby pro-Israele e gruppi di pressione hanno cercato di fermare ogni critica ad Israele rifiutando di discutere dei fatti, quelli che hanno parlato nell’incontro si sentivano liberi di esprimere le loro opinioni e le loro esperienze senza paura di vessazioni o attacchi.

È stato profondamente commovente sentire giovani studiosi, laureati e laureandi, uno dopo l'altro, esprimere sentimenti di liberazione e di legittimazione. Sono stati finalmente in grado di parlare e di ascoltare altri parlare pubblicamente di un problema che è stato per così a lungo l’”intoccabile” non solo della politica statunitense, ma del dibattito accademico.

La libertà accademica palestinese è la nostra libertà

Gli oppositori del boicottaggio tendono ad incentrarsi sul suo potenziale impatto sugli studiosi israeliani relativamente privilegiati, che in realtà sentiranno un impatto solo in quanto fungono da ambasciatori per lo Stato di Israele. Per una volta, sabato, era la libertà accademica realmente ristretta di studiosi palestinesi al centro del dibattito. Ed è apparso chiaro che l'estensione della libertà accademica per i palestinesi è allo stesso tempo l'estensione della propria libertà accademica qui negli Stati Uniti.

In una lettera al Consiglio nazionale dell’ASA, resa disponibile nel corso della riunione, gli oppositori del boicottaggio hanno affermato di avere una cinquantina di sostenitori. La petizione a favore della risoluzione aveva già accumulato 850 firme. Quello che manca anche in quella stragrande maggioranza dei sostenitori è il gran numero di studiosi che avrebbero voluto sostenere il boicottaggio, ma non osava firmare per timore di intimidazioni o ritorsioni.

Porre fine al blocco sul dibattito

L’incontro aperto dell’ASA è stata una chiara indicazione che il tempo della paura e del blocco del discussione potrebbe essere superato - e che c'è un nuovo clima in cui la discussione critica delle politiche di Israele verso la Palestina non sarà più un tabù.

Ma qualcosa di ancora più significativa è accaduto. Nella loro lettera, questa cinquantina di oppositori al boicottaggio ha rivendicato il sostegno di "alcuni ex presidenti, membri del Consiglio, e vincitori di premi dell’ASA".

Invece chi è intervenuto a favore della risoluzione non si è servito dell’appoggio di tale autorità istituzionale o ufficiale, anche se molti in effetti avrebbero potuto. Anzi, hanno fatto appello ad un senso di giustizia, di coerenza con i nostri valori. Hanno invocato il principio di solidarietà con i popoli oppressi, che l’ASA stessa promuove - e che tutti riconoscono è la condizione stessa di un impegno anti-razzista.

Di volta in volta, gli intervenuti hanno visto il sostegno alla risoluzione non come potenzialmente di divisione, ma come uno sviluppo positivo del senso e significato della propria associazione e della rilevanza e del valore dello studio stesso. Come uno ha detto, il sostegno per il boicottaggio da parte dell’ASA avrebbe rinnovato la sua fede nel significato dello studio in sé - in un momento in cui veniamo invitati ad una separazione sempre più professionalizzata del nostro lavoro intellettuale dai nostri impegni morali e politici.

Ogni associazione corre sempre il rischio di diventare soltanto un istituto, con i suoi protocolli, procedure e tradizioni. Come istituzione si rilassa nelle sue routine, si ossifica e dimentica i valori che hanno portato le persone a crearla. Quello che è successo all’ASA sabato sera ci ha ricordato che l'associazione non è solo un mezzo per certi fini professionali, ma un raduno volontario di persone con valori intellettuali e impegni condivisi.

Partecipare a quella riunione era davvero un'esperienza profondamente ri-energizzante, rinnovando la propria fede, sia nelle possibilità dell’associazione sia nella capacità del lavoro intellettuale di essere al tempo stesso scientifico e impegnato con il mondo.

Attacchi

Al momento della scrittura, rimane incerto quello che il Consiglio Nazionale dell’ASA deciderà per quanto riguarda la risoluzione, anche se non vi è alcun dubbio che la riunione aperta ha dato loro un chiaro sostegno, se decideranno di approvarla.

Ma, già e come poteva essere prevedibile, gli attacchi contro l'associazione sono stati avviati. Sulla base dell'esperienza passata, pochi degli attacchi si baseranno sul contenuto della risoluzione - o sui fatti del continuo negare da parte di Israele la libertà accademica ai palestinesi e del suo assalto implacabile ai diritti di un popolo a riprodurre la propria vita culturale ed intellettuale.

Per lo più, i sionisti hanno rifiutato il dibattito e hanno ceduto quel terreno ai loro avversari. Invece, si affidano sempre di più ad altri mezzi, soprattutto alle vessazioni giuridiche e istituzionali, alla chiusura del dibattito, al costringere organizzazioni studentesche a rescindere risoluzioni di disinvestimento democraticamente approvate, o a punire studenti e accademici per aver criticato Israele.

Non c'è dubbio che le organizzazioni sioniste hanno un grande potere e le risorse materiali per consentire loro di impegnarsi in un assalto forte all’ASA.

Ma nel mondo intellettuale, il ricorso alla forza non è una posizione forte. Sabato sera alla riunione dell'ASA si è mostrato il potere del motivato ragionamento morale. E non si può tornare indietro. Nella lotta per la giustizia per il popolo palestinese, un punto di svolta è stato raggiunto.

David Lloyd è Distinguished Professor di inglese alla University of California, Riverside.

Fonte: Electronic Intifada

Traduzione di BDS Italia