Appello dei ricercatori contro la partecipazione dell’università alle ricerche di cyber-guerra

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Fare ricerca tra le rovine dell’accademia è attività spesso frustrante. A seguito di un’infinita serie di tagli, la mansione principale cui si dedicano le istituzioni di ricerca è la captazione e la gestione dei fondi. Il lavoro del ricercatore è totalmente subordinato alla capacità di attrarre finanziamenti pubblici o privati. Fare ricerca in tempo di crisi vuol dire sopratutto essere capaci di piegare il proprio progetto a programmi quadro, con buona pace di antichi orpelli come la libertà e l’autonomia.

Non ci interessa analizzare i processi che hanno ridotto il ricercatore al ruolo di bassa manovalanza tecnica del sistema economico, ci limitiamo a prenderne atto.

Questo però non vuol dire che sia giustificabile disinteressarsi totalmente alla finalità del lavoro che si compie, delle tecniche che si contribuisce a sviluppare.

 

La lettura della notizia su un blog di studenti di Fisica de La Sapienza della nascita, all’interno delle università di Firenze e Roma, di centri di ricerca specializzati in guerra cybernetica ci provoca un sentimento di profonda indignazione.

 

 

Questi centri di ricerca, rispettivamente il CSSII ed il CIIS, si inseriscono all’interno di un progetto quadro militare sviluppato dalla Maglan, azienda privata israeliana leader nello sviluppo di tecniche di cyber-guerra , in collaborazione con Finmeccanica, primo produttore di armi in Italia, ed ELT, azienda produttrice di software per la guida di aerei militari.

La piattaforma politica ed economica dell’iniziativa è stata stilata durante una serie di convegni a porte chiuse a cui hanno preso parte rappresentanti delle università, delle aziende coinvolte e dell’establishment politico e militare, il tutto all’interno di una sede universitaria pubblica come l’Aula Magna dell’università La Sapienza.

Durante tali incontri sono stati presentati i più avanzati strumenti tecnologici in materia di distruzione delle infrastrutture critiche di un paese (sistemi di distribuzione idrica ed energetica, telecomunicazioni, ecc.)  attraverso attacchi cybernetici.

Attraverso il sito dei convegni  (www.infowar.it), i partecipanti ci comunicano che un cyber-attacco massicciamente destabilizzante, una sorta di “11 settembre 2001 cybernetico” portato avanti anche tramite azioni più subdole di manipolazione ed “eterodirezione” di opinione pubblica e leadership politica, produce una situazione di diffusa e intensa incertezza che indebolisce le capacità dello stato aggredito di contrastare l’escalation di una eventuale crisi.

La nascita di simili centri racconta di una ricerca embedded fin dalla sua pianificazione. L’università si mette l’elmetto ed arruola tecnici specializzati nello sviluppo di tecnologie belliche su misura dei nuovi conflitti asimmetrici mondiali.

Non è certo un caso che lo statuto de “La Sapienza” (statuto Frati 2010) sia stato rivisto in maniera da eradicare ogni limitazione allo sviluppo di progetti di ricerca per finalità belliche. Per far fronte alla mancanza di fondi pubblici, l’università ha quindi scelto di aprirsi a finanziamenti di tutti i tipi pur di mantenere poltrone e posizioni di potere, abbandonando qualunque pudore etico.

Questi problemi non sono secondari e troviamo urgente un confronto che possa portare ad una presa di  posizione. Il mondo dell’università e della ricerca italiano potrebbe assumersi il compito di sviluppare strumenti di analisi e sintesi concettuali, fornendo un punto di vista autonomo capace di  alimentare un dibattito pubblico ed informato sulla questione.

Il 19 Giugno nell’Aula Magna dell’università La Sapienza si terrà la 4ª Conferenza Annuale sul Cyber Warfare. Ci auguriamo che per allora nel mondo della ricerca sia cresciuto l’appoggio all’appello lanciato dagli studenti di Fisica perchè quel giorno non sia la vetrina della piattaforma InfoWar, ma un’occasione per esprimere il nostro dissenso.

Ricercatori in appoggio della campagna Stop InfoWar

Fonte: Assemblea dell'Officina di Fisica