Di Sarah Irving

Questa settimana il quotidiano Haaretz di Tel Aviv ha riportato che i due maggiori sponsor di film israeliani hanno vietato ai beneficiari dei finanziamenti di identificare le proprie opere come palestinesi.

La Israel Film Fund e la Yehoshua Rabinovich Foundation hanno preso provvedimenti in seguito alla decisione di Suha Arraf, una regista palestinese con cittadinanza israeliana, di iscrivere il proprio film Villa Touma alla Mostra del Cinema di Venezia del 2014 come palestinese. Nell’articolo di Haaretz si può leggere che “Arraf considera sé stessa un’artista palestinese e ritiene Villa Touma, i cui personaggi sono palestinesi calati in un’ambientazione palestinese, un film palestinese”.

Il film era stato finanziato dall’Israel Film Fund, dal ministero dell’economia e dalla lotteria nazionale.

Dopo le notizie sull’iscrizione del film di Arraf come palestinese, il ministero della cultura e dello sport israeliano ha richiesto alla Film Fund di restituire la propria quota, mentre il ministero dell’economia (retto da Naftali Bennett, politico di estrema destra) ha invitato Arraf a restituire il finanziamento che aveva ricevuto direttamente al ministero.

In risposta, Arraf ha dichiarato a The Electronic Intifada che “Vogliono vedermi come una ‘registra arabo-israeliana perbene’ o una ‘araba israeliana carina’…Nel momento in cui dici palestinese, però, diventi il nemico”.

l ministero dell’economia ha affermato nel dicembre 2014 che Arraf dovrebbe restituire i 600.000 shekel (150.000 $) che le erano stati assegnati. È stato comunicato all’Israel Film Fund di restituire 1.4 milioni di shekel (350.000 $).

“Mancanza di comprensione”

Sulla scia della polemica su Villa Touma, la Rabinovich Foundation (che non era coinvolta nella realizzazione del film di Arraf), a quanto pare, ha inserito una clausola nei propri contratti che richiede ai registi di sottoscrivere la seguente dichiarazione: “Io, regista di [titolo del film], considero me stesso un autore israeliano di un’opera israeliana. Prometto che presenterò, iscriverò e identificherò me stesso in tal modo in qualsiasi occasione pubblica e mezzo d’informazione in cui ci sia un qualsiasi riferimento al film, ai suoi autori e ai suoi produttori”.

In Haaretz cita il direttore generale della Rabinovich Foundation: “Non sono pronto [a subire una sanzione di milioni di shekel] a causa di qualche idiota che ha ricevuto il nostro sostegno per il proprio film ed ha deciso all’improvviso di non avere una nazionalità. Di conseguenza diciamo in anticipo ‘La preghiamo di dichiarare, signore, che lei è israeliano ed esporrà tutti i loghi nel suo film come richiesto’”.

Si dice che anche l’Israel Film Fund abbia cambiato le condizioni che impone ai registi, i quali sono obbligati, d’ora in avanti, a classificare i propri film come israeliani nelle proiezioni d’oltremare.

Ma le nuove condizioni non sono state accolte con il consenso generale dalla comunità cinematografica israeliana. Nadav Lapid, un produttore, ha descritto queste disposizioni come “nazionalistiche, buie” e come una prova della mancanza di “altruismo, fiducia in sé stessi …e comprensione” di Israele.

In un fatto separato, anche il regista israeliano Guy Davidi, che fu nominato all’Oscar per Five Broken Cameras, film sulla lotta del villaggio di Bilin in Cisgiordania contro il muro dell’apartheid israeliano, ha visto negarsi finanziamenti governativi.

Secondo un articolo di dicembre 2014 apparso sul sito Mondoweiss, fu negato il finanziamento a Davidi per il film in arrivo dopo che questi aveva sostenuto che un boicottaggio economico era un modo legittimo di affrontare l’occupazione israeliana per gli attivisti.

Fonte: Electronic Intifada

Traduzione di BDS Italia