Si documenta lo stretto legame che intercorre fra la politica e gli armamenti e le complicità che permettono a Israele di godere di totale impunità
Il dossier è stato pubblicato con il sostegno di Peacelink, la collaborazione del Collettivo A Foras e con la postfazione di Giorgio Beretta di OPAL.
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Israele applica un regime di apartheid nei confronti della popolazione palestinese, violandone i diritti umani e politici senza che vi sia una reale opposizione a livello internazionale. BDS Italia ha raccolto alcuni dei maggiori esperti della realtà militare israeliana ed italiana pubblicando un Dossier in cui si descrive la consistenza della forza militare di Israele e si documenta lo stretto legame che intercorre fra la politica e gli armamenti e le complicità che permettono a Israele di godere di una quasi totale impunità. Obiettivo della pubblicazione è di portare a conoscenza dell’opinione pubblica italiana la realtà, nota agli addetti ma volutamente censurata dai media “mainstream”, e sollecitare le forze politiche perché si attui l’embargo militare internazionale nei confronti di Israele, come previsto dalle convenzioni internazionali.
Nel volume sono indagate ed approfondite le relazioni tra Israele ed istituzioni e governi europei, le collaborazioni tra istituti di ricerca ed accademie nello sviluppo di armi e tecnologie securitarie, denunciarne la pericolosità e l’impunità, sottolineando come il diritto internazionale sia ignorato e calpestato in nome di interessi “strategici” od economici.
Il Dossier si compone di un'introduzione in cui si chiariscono le motivazioni dell’embargo militare ad Israele e di vari capitoli che si focalizzano sui punti caratterizzanti della politica di guerra e degli armamenti di Israele, compreso il nucleare. Negli ultimi capitoli si citano i casi di due aziende, l’assicurazione multinazionale francese AXA e la italiana Alenia Aermacchi (ora Leonardo), complici in modo differente dell’economia di guerra israeliana e infine si parla della Sardegna, la regione italiana più militarizzata e dove frequentemente si tengono esercitazioni militari cui partecipa anche Israele.
La società civile palestinese chiede da tempo un embargo militare nei confronti di Israele per porre fine a alle complicità internazionali, per rendere manifesta la responsabilità dei governanti israeliani per i loro crimini e mettervi fine. Come avvenne ai tempi della Apartheid in Sud Africa nei primi anni ’80, la mobilitazione internazionale può contribuire a rovesciare il sistema coloniale ed il regime che Israele impone ai Palestinesi, anche con sanzioni e disinvestimenti. Lo chiedono anche Amnesty International e diversi governi. È urgente attuare l’embargo militare totale fino a quando Israele non riconoscerà uguali diritti a tutti i cittadini che abitano la Palestina storica, si ritirerà da tutti i territori arabi occupati, consentirà il ritorno dei profughi e libererà i prigionieri politici.
Il dossier completo è consultabile e scaricabile sul sito di Peacelink
PERCHÉ CHIEDIAMO L’EMBARGO MILITARE CONTRO ISRAELE – SINTESI DEL DOSSIER
Israele sta reprimendo, uccidendo e violando ogni diritto della popolazione palestinese senza che vi sia alcun governo che si opponga alla sua violenza crescente. Per questo abbiamo scritto, in collaborazione con alcuni esperti della realtà militare israeliana un Dossier in cui si descrive la consistenza della forza militare di Israele e si documenta lo stretto legame che intercorre fra la politica e gli armamenti. Il nostro obiettivo è portare a conoscenza dell’opinione pubblica italiana questa realtà e sollevare la necessità di un embargo militare bidirezionale nei confronti di questo paese. Abbiamo voluto indagare ed approfondire le relazioni tra Israele e le istituzioni e governi europei, le collaborazioni tra istituti di ricerca ed accademie nello sviluppo di armi e tecnologie securitarie di ogni sorta e così denunciarne la pericolosità e l’impunità, sottolineando come il diritto internazionale sia troppo spesso ignorato e calpestato dagli interessi economici e strategici.
Il Dossier si compone di un'introduzione in cui si cerca di spiegare il perché dell’embargo militare ad Israele e di vari capitoli che si focalizzano sui punti caratterizzanti della politica di guerra ed armamenti di Israele. Negli ultimi capitoli si citano i casi di due aziende, una francese ed una italiana, complici dell’economia di guerra israeliana e infine si parla della Sardegna, la regione italiana più militarizzata e dove frequentemente si tengono esercitazioni militari cui partecipa anche Israele.
Nell’introduzione vengono affrontati e svolti i tre aspetti che giustificano ampiamente la richiesta di embargo militare nei confronti di Israele, essi sono: l’apartheid e la pulizia etnica, il ruolo centrale di Israele nella proliferazione degli armamenti e la sua totale impunità.
- Israele pratica l’apartheid contro il popolo palestinese in modo in modo quasi scientifico grazie alla sua forza e alla tecnologia militare. Tale crimine si accompagna con una pulizia etnica continua e costante che perdura da oltre cento anni, con il fine di realizzare uno stato ebraico “puro”.
- Israele, ha un ruolo centrale nella proliferazione di armamenti e sistemi di sicurezza grazie alle sue pratiche e strategie aggressive e sofisticate, applicate e testate sulla popolazione palestinese, e proprio in virtù di ciò è riconosciuto come modello da imitare.
- Israele gode della più totale impunità e dell’appoggio della comunità internazionale, nonostante i suoi crimini siano ben documentati. La stessa Italia figura tra i primi partner nella collaborazione militare.
Capitolo 1) “Ruolo del complesso militare-industriale israeliano nel contesto globale della guerra al terrorismo e nel settore della sicurezza”. Angelo Stefanini affronta la questione partendo dall’11 settembre 2001 cui segue la decisione da parte degli Stati Uniti di perseguire, in nome dell’antiterrorismo, il raggiungimento del dominio militare e del controllo egemonico del Medio Oriente. A tale scelta si rifà anche Israele che in nome della lotta al terrorismo globale reprime con la violenza la 2° Intifada. La legittima lotta per la liberazione del popolo Palestinese viene così ricondotta alla guerra globale al terrorismo, travisandone intenzionalmente la natura. Da questo momento la collaborazione tra i due paesi diventa sempre più intensa, e gli Stati Uniti inviano funzionari di polizia in Israele per formarsi nelle pratiche più aggressive che verranno applicate in patria anche contro sospetti criminali minori e contro le comunità minoritarie.
Mentre si intensificano le guerre degli Stati Uniti contro i nemici di Israele e si distruggono interi paesi come l’Iraq, la Siria, la Libia - senza apparenti benefici, anzi con costi enormi - il complesso militare industriale (CMI) dei due paesi, si rinforza sempre di più e Washington invia ogni anno oltre 3 miliardi di dollari di aiuti militari ad Israele (In totale finora 121 miliardi). Soldi che per lo più ritornano alle industrie militari statunitensi per comprare nuove armi. L’attenzione alla forza militare da parte di Israele è molto antica e la nascita dell’industria militare israeliana ha addirittura preceduto la nascita dello stato. Le prime officine militari nacquero infatti negli anni ’20 ad opera delle bande paramilitari dando origine, grazie alla importazione clandestina di armi dall’Europa, alla Israel Military Industries (IMI), che si ampliò e rafforzò con la pulizia etnica contro la popolazione palestinese nel 1948 e nelle successive guerre finché negli anni ’80 Israele raggiunse l’autosufficienza militare.
Ma l’elemento che, forse più di altri, ha contribuito a far diventare Israele una grande potenza militare e il pilastro strategico dell’ordine militare globale americano sono state l’occupazione della Palestina e la pulizia etnica attraverso cui ha potuto testare sempre nuovi modelli di armi, da esportare e vendere come testai sul terreno, cioè sui Palestinesi. Tanto che il corrispondente israeliano Amir Rapaport ha affermato, riferendosi alla sanguinosa Operazione Margine Protettivo contro Gaza del 2014: "Da un punto di vista commerciale, l'operazione è stata un grande affare per le industrie della difesa."
Al momento Israele è l’ottavo maggior esportatore di armi ed ha una presenza diffusa in ogni angolo del mondo, compresi quei paesi che violano sistematicamente i diritti umani. E’ inoltre partner della maggior parte degli Stati UE ed in particolare di Germania, Francia, Italia, Spagna e Finlandia.
Accanto all’industria militare, l’industria della ‘sicurezza’ è l’altro punto centrale nelle politiche israeliane. Anche questa si è sviluppata sulla pelle dei palestinesi che sono sottoposti ad una militarizzazione quotidiana e ad una sorveglianza continua. Le ragioni della sicurezza sono frequentemente utilizzate per giustificare il mancato rispetto dei diritti fondamentali e le riduzioni delle libertà, anche in assenza di minacce reali. Nel campo della sicurezza Israele è leader e l'industria israeliana della sicurezza/sorveglianza nazionale è parte dell'industria della sicurezza globale’. L’altra faccia di questo sviluppo è il “dual use”, il doppio uso - militare e civile - dei prodotti militari a cui corrisponde anche un flusso continuo di persone originariamente impiegate nelle industrie militari statali che in seguito si spostano nel settore privato civile dove applicano quello che hanno imparato.
Anche la lotta contro la pandemia è in mano alle forze della sicurezza che la combattono attraverso il monitoraggio e le tecnologie più sofisticate. La tecnologia viene utilizzata per tracciare con precisione gli incontri tra le persone, i dati biometrici e l'intelligenza artificiale è impiegata per monitorare l'intera popolazione. La lotta alla pandemia è l’ulteriore dimostrazione di come funziona il trasferimento della conoscenza militare israeliana alle industrie civili, in questo caso a quella sanitaria.
Il complesso militare-industriale israeliano è essenziale per ciò che Halper chiama “securitizzazione globale” e operazioni di stabilizzazione post-conflitto, poiché si confanno alla scelta dei poteri e degli stati dominanti di optare per politiche securitarie piuttosto che per convenzionali guerre interstatali. Queste ‘guerre securocratiche’ sono combattute da compagnie di sicurezza private come parte di un'industria di pacificazione globale, dove Israele commercializza le sue tecniche di contro-insurrezione e controllo dei palestinesi per applicarle a conflitti globali più ampi. Questo suo posizionamento come uno dei principali esportatori di armi e servizi di sorveglianza del mondo, lo ha salvaguardato finora dalla critica internazionale.
Nel Capitolo 2 Rossana De Simone affronta le Relazioni militari Italia – Israele sul piano militare. Le relazioni militari tra Italia e Israele si sono intensificate a partire dal 2012, allorché, a luglio, il Ministero della Difesa italiano annuncia di aver sottoscritto con il Ministero della Difesa israeliano un accordo di cooperazione, definito storico, nel settore della tecnologia militare.
Da allora la partnership strategica fra i due governi è andata in crescendo attraverso la firma di protocolli per la realizzazione congiunta di sistemi d’arma, pacchetti di acquisti reciproci di tecnologia della difesa (offset) e con la preparazione, ad opera delle due aviazioni, di esercitazioni comuni presso le proprie basi militari. Altri accordi che si dimostrano strumenti straordinari per lo sviluppo di tecniche, procedure e capacità operative di quella che viene definita “guerra netcentrica”, o “digitalizzazione dello spazio di manovra”, ma che non coinvolgono attività puramente militari, riguardano quelli inerenti la Cooperazione Industriale Scientifica e Tecnologica.
In particolare i settori in cui è possibile presentare progetti di ricerca sono: cyber-sicurezza, nano-elettronica, ricerca spaziale, biorobotica e altri ancora. Tutti gli accordi specificatamente militari sono invece stipulati nell’ambito dell’Accordo quadro, o Memorandum d’intesa, sottoscritto nel 2003 e ratificato con legge n. 94 nel 2005.
Tale legge, che riguarda la cooperazione nel settore militare e della difesa, è stata accompagnata da relazioni del Governo ed è stata presentata come “apposita intesa governativa”. Con questa dicitura si permette di applicare, per la sua esecuzione, il percorso preferenziale previsto dalle leggi 185/90 e 148/03 per i Paesi dell’Unione europea e della NATO. Sarà la Commissione Affari Costituzionali ad affermare che l’accordo militare non solleva motivi di rilievo costituzionale per cui formula un parere favorevole alla ratifica. Diventa necessario, per capirne la complessità, ricostruirne la genesi attraverso il Dossier pubblicato dalla Camera contenente il testo e l’iter parlamentare della legge di ratifica con documentazione allegata. Per i favorevoli, l’approvazione era importante perché Israele doveva far parte di un programma di difesa del Mediterraneo che avrebbe affidato all’Italia un ruolo di mediazione con tutti i Paesi che vi si affacciano. Pertanto si era fatto passare l’atto bilaterale come fosse azione stabilizzatrice di una particolare area geografica (Mediterraneo), e si è giustificato ricorrendo alla presunta difesa di interessi strategici nazionali e agli impegni assunti in ambito internazionale, soprattutto con USA e NATO.
Viceversa dal Dossier emergono le preoccupazioni dei partiti che si sono opposti alla ratifica perché avrebbe trasformato Israele in un partner privilegiato dell’Italia, insieme a Polonia e USA (a cui si può aggiungere la Gran Bretagna, completando così i mercati di riferimento della realtà industriale Leonardo). Altro punto critico è la possibilità dei contraenti di avvalersi dell’art. 5 del DPCM n. 448/99 “Principi generali per le trattative contrattuali” contenente disposizioni in materia di sicurezza, già presenti nel Memorandum in relazione all’Accordo di sicurezza tra Italia e Israele del 5 ottobre 1987.
Rimangono fondamentali per ogni decisione, al di sopra di qualsiasi considerazione politico-militare, le continue violazioni dei diritti umani e della legalità internazionale perpetrate da Israele contro il popolo palestinese. Allora non è importante discutere sulla sventolata superiorità tecnologica israeliana e tantomeno sulla superiorità dottrinale delle sue Forze Armate (che traggono beneficio dalle esperienze di guerra urbana operate a discapito del popolo palestinese), o sulla capacità di utilizzare l’intelligence per raccogliere e analizzare informazioni allo scopo di controllare e abbattere potenziali avversari. E’ essenziale porre fine all'apartheid israeliano.
In questo contesto va fatto un accenno alle Collaborazioni militari Italia – Israele nello sviluppo di startup, di cui scrive brevemente al Cap.3 Loretta Mussi.
Israele è riconosciuto a livello mondiale come la “Start up Nation” e nelle classifiche internazionali è al primo posto per start up pro-capite e per la creazione di brevetti. Ciò è stato possibile perché Israele ha la massima concentrazione a livello mondiale di innovazione e imprenditorialità, grazie al ruolo delle forze armate, dove i giovani acquisiscono vere e proprie competenze manageriali da reinvestire nel civile dove molti si trasferiscono. Anche in questo caso la “bravura” è sostenuta dalle sperimentazioni sul campo. Sono molte le start up italiane ed europee che decidono di traslocare in Israele aprendo centri di Ricerca e Sviluppo a Tel Aviv e dintorni. I settori più interessati e dove Israele eccelle sono, oltre al militare, quelli della medicina, mobilità e trasporti, difesa, cyber security, aerospazio, agricoltura e ambiente. Tra le grandi aziende italiane che hanno aperto programmi a Tel Aviv vi sono Enel, Assolombarda, STMicroelectronics, Banca san Paolo.
La pandemia da Coronavirus è stata sfruttata anche in questo campo. Un caso emblematico è rappresentato dalla la start up israeliana Sensible Medical, composta in gran parte da veterani dell’Unità 81, unità tecnologica top-secret della divisione di intelligence dell’esercito israeliano. Haaretz ha riferito che in alcuni ospedali israeliani la società testa col suo monitor il fluido polmonare ReDS per monitorare i polmoni dei pazienti affetti da coronavirus. Questo sistema sarebbe già in uso in Italia e negli Stati Uniti. Il CEO di Sensible Medical, Amir Ronentold ha confermato che la tecnologia di base del sistema è di tipo militare, “intesa a vedere attraverso i muri in condizione di guerra urbana o per localizzare i sopravvissuti sotto i detriti”.
Cap. 4, Un paese perennemente in guerra, un paese per la guerra di Antonio Mazzeo, si entra nel vivo dell’economia di guerra che domina Israele facendolo diventare una potenza militare-industriale con capacità produttive e di export tra le maggiori in campo internazionale. Economia militare e di guerra influenzano profondamente anche la società che è caratterizzata da una cultura diffusa del “nemico”, interno ed esterno. Israele è tra i primi dieci esportatori di sistemi d’arma al mondo: nel 2018 le esportazioni hanno raggiunto il livello record di 110 miliardi di dollari con una consistente crescita nei settori dell’alta tecnologia e dei beni elettronici e chimici. L’Unione europea si è confermata la principale destinazione dell’export israeliano (oltre 16 miliardi di dollari), seguita dagli Stati Uniti (11 miliardi) e dall’Asia (10 miliardi).
I maggiori produttori israeliani di armi sono holding industriali a capitale pubblico, come la IAI (Israel Aerospace Industries) e società private, come la Elbit Systems, entrambe produttrici di droni cui si aggiungono quasi 7.000 imprese private di piccole e medie dimensioni. Tra le compagnie con fatturati miliardari compaiono innanzitutto quelle specializzate nella produzione di sistemi aerospaziali e satellitari e di velivoli senza pilota (3.520 milioni di dollari nel 2017). Vanno molto forte anche la produzione di elettronica avanzata e sistemi radar genera e quella di sistemi elettro-ottici.
L’industria israeliana ha poi sviluppato enormemente il settore di prodotti e servizi per la “sicurezza interna” come: barriere ad alta tecnologia, sistemi radar anti intrusione e sensori elettro ottici, sistemi di identificazione biometrica, strumenti di sorveglianza audio e video, sistemi di schedatura dei passeggeri dei voli aerei e di interrogatorio dei prigionieri etc. Recentemente è stata annunciata l’esistenza di avanzati programmi di ricerca e sviluppo di armi ad alta energia, cioè tecnologie per armi laser.
Altro settore dove Israele ha la leadership a livello internazionale è quello degli aeromobili senza pilota o droni, le cui vendite contribuiscono al 10% circa dell’intero fatturato annuale. Israele, uno dei primi paesi al mondo a sperimentare e utilizzare velivoli da guerra senza pilota, usa i droni costantemente per azioni di sorveglianza dei palestinesi e, soprattutto a Gaza per azioni di guerra, esecuzioni extragiudiziali, attacchi mirati. Ora sta ampliando le proprie capacità anche ai velivoli di terra a pilotaggio remoto.
A Gaza, la causa più comune delle lesioni che hanno portato all’amputazione di uno o più arti era dovuta ad attacchi con droni armati, con lesioni traumatiche più gravi rispetto ad altri tipi di arma: in questa striscia disgraziata si misura la disumanizzazione dei moderni sistemi di guerra.
Gaza e il Sud del Libano costituiscono un vero e proprio laboratorio sperimentale per le nuove armi prodotte dalle industrie in collaborazione con i centri di ricerca universitari. Altre armi “non convenzionali” usate contro la popolazione civile sono il fosforo bianco, il Dense inert metal explosive (Dime) e gli ordigni termobarici, tre tipologie di armi che producono ferite caratteristiche e riconoscibili, nonché le bombe a grappolo e proiettili all’uranio impoverito. E’ stato accertato anche l’uso delle “pallottole a farfalla”, che si espandono all’interno del corpo della vittima con effetti devastanti.
Il Negev è la capitale mondiale delle cyber war. Israele controlla oggi almeno il 10% del mercato mondiale delle produzioni e dell’export di tecnologie cyber security e per le guerre cibernetiche. Si calcola che nel paese vi siano oltre 752 aziende e/o start-up cyber.
Queste tecnologia sono usate anche per affrontare la pandemia da Covid-19. E’ tale la rilevanza che le autorità israeliane attribuiscono alla cyber security, che è in fase di avanzato sviluppo la costruzione nella città di Be’er Sheva, in mezzo al deserto del Negev, di un polo strategico per la cibernetica e lo sviluppo di nanotecnologie. Questa sarà la sede dei reparti d’élite che fanno uso delle tecnologie d’intelligence più sofisticate. E qui è stata inaugurata la prima base permanente USA.
Il ruolo dell’Unione Europea. L’UE ha fornito un contributo determinante alla produzione di sofisticati sistemi di morte da parte del complesso militare-industriale-accademico israeliano grazie ai fondi previsti dai piani di ricerca pluriennali e multinazionali. L’FP7, programma di promozione delle attività scientifiche per il 2007-2013, ha stanziato 876 milioni di euro a favore di enti e aziende israeliane (1.626 accordi). Mentre “Horizon 2020”, per il periodo 2014-2020, ha assicurato ad Israele finanziamenti per 872 milioni di euro (1.216 progetti): complessivamente in 14 anni 1,7 miliardi di euro. Nello stesso periodo venivano implementate a carico dei paesi europei gravissime restrizioni con pesantissimi tagli all’istruzione e alla sanità e ampi processi di privatizzazione di beni e servizi.
La consolidata partnership tra Italia e Israele. Il complesso militare-industriale israeliano è partner strategico dell’Italia. Negli ultimi venti anni, in particolare, la cooperazione industriale e l’import-export di sistemi da guerra sono cresciuti molto e pericolosamente. E’ del 16 giugno 2003 il patto d’acciaio Roma-Tel Aviv con la firma del “memorandum” d’intesa in materia di cooperazione militare, che regola la reciproca collaborazione nel settore difesa e prevede: interscambio negli armamenti e nell’organizzazione delle forze armate, nella formazione del personale e nella ricerca in campo industriale, scambi di esperienze e la partecipazione di osservatori a esercitazioni militari.
Il 2 dicembre 2013, è stato sottoscritto a Roma l’Accordo in materia di pubblica sicurezza, ratificato dalle Camere con voto bipartisan il 19 maggio 2017, che copre un ampio spettro di attività collaborative.
Nel 2012 Israele ha sottoscritto l’accordo preliminare per l’acquisto di 30 caccia M-346 “Master” di Alenia Aermacchi. I caccia, assemblati nello stabilimento Alenia Aermacchi di Venegono Inferiore (Varese), furono consegnati alle forze armate israeliane nel luglio 2014, proprio durante la sanguinosa operazione “Margine protettivo” a Gaza.
Gli M-346 sono definiti impropriamente come caccia-addestratori, in realtà, essendo armati con bombe e missili possono essere convertiti per attacchi contro obiettivi terrestri e navali.
Radar, missili e sensori israeliani per le forze armate italiane. L’Italia ha acquisito, oltre a materiale di vario tipo e ad imbarcazioni veloci, i radar di Elta Systems per implementare la Rete di sensori di profondità per la sorveglianza costiera della Guardia di finanza in funzione anti sbarco di migranti in Sicilia, Puglia e Sardegna.
Condivisione di basi, caccia e droni. A medio termine, la cooperazione bilaterale in ambito militare industriale potrebbe estendersi alla realizzazione di cacciabombardieri, droni spia e killer e vettori aerospaziali.
Guerre aero-spaziali. E’ sempre più stretta anche la collaborazione tra le forze armate israeliane e quelle italiane, con esercitazioni congiunte delle due Aeronautiche in Sardegna e nel deserto del Negev.
Lo spazio è l’altra grande frontiera dell’alleanza politica, economica e militare tra Italia e Israele. La partnership strategica con le agenzie spaziali di Ue, Italia e Francia ha consentito all’apparato civile/militare-industriale israeliano di divenire uno dei maggiori protagonisti nella corsa alla militarizzazione dello spazio. Attualmente Israele è il più piccolo paese al mondo in grado di svolgere autonomamente missioni spaziali.
Anche le marine militari dei due paesi effettuano esercitazioni congiunte, la più importante delle quali si svolge annualmente nelle acque del Golfo di Taranto.
Israele la trentunesima stella della NATO, tale è considerata vista la stretta. collaborazione con l’Europa e gli Stati Uniti. E’ inoltre membro del cosiddetto “Dialogo mediterraneo” della NATO sin dalla sua istituzione nel dicembre 1994 insieme ad Algeria, Egitto, Giordania, Mauritania, Marocco e Tunisia. Tale “Dialogo”, secondo l’Alleanza atlantica, sarebbe utile per la sicurezza e la stabilità del Mediterraneo. Oltre che nel “Dialogo” la partnership si esplica nella “lotta al terrorismo”, in “operazioni coperte” e in “guerre non convenzionali”.
In appendice al Dossier sono inserite delle approfondite schede, fornite da A. Mazzeo, che documentano i rapporti tra Atenei e istituti di ricerca italiani e israeliani, nel settore della ricerca militare, nei sistemi di controllo elettronico e cibernetico e della sicurezza.
Tale collaborazione è affrontata altresì da Olivia Ferguglia, che, nel Cap. V tratta di questi temi in “Horizon 2020 e le università italiane”, parlando del ruolo centrale delle istituzioni accademiche israeliane nella strutturazione ideologica ed istituzionale del regime di oppressione e colonizzazione. Anche molte delle nostre università sono complici del regime di Apartheid israeliano, attraverso ricerche, scambi di personale e studi congiunti. Non ci sono quasi università in Italia che non abbiano rapporti con accademie israeliane, attraverso accordi quadro di ateneo, convenzioni, Erasmus e Overseas, oltreché naturalmente attraverso Horizon2020.
Le regole di Horizon2020 prevedono che i fondi per la ricerca debbano essere utilizzati esclusivamente per scopi civili, ma è la stessa UE a suggerire nella sua guida “EU funding for Dual Use” (finanziamento europeo per scopi duali) i modi in cui le aziende belliche possono sviluppare prodotti e tecnologie di doppio uso civile e militare, eludendo pertanto la regola.
Col Cap. 6 si arriva al tema dell’arsenale nucleare di Israele, ossia “Il segreto di Pulcinella come lo chiama l’autore Angelo Baracca. Presumibilmente è dal 1960 che lo Stato ebraico ha sviluppato, unico paese della regione, un arsenale nucleare, sul cui possesso e sulle cui caratteristiche mantiene pervicacemente una posizione ambigua opponendosi allo stesso tempo, con mezzi leciti e illeciti, comprese azioni apertamente terroristiche (grazie all’immunità internazionale di cui gode), a che qualsiasi altro paese della regione possa acquisire l’arma nucleare.
Israele, aveva le conoscenze necessarie a realizzare armi nucleari, perché molti fisici illustri fuggiti dai paesi nazisti e fascisti ed ospitati negli Stati uniti, dove avevano lavorato al “Progetto Manhattan”, si erano successivamente trasferiti in Israele. Non disponendo tuttavia delle strutture industriali necessarie fu aiutato dalla Francia che mise a disposizione i suoi siti (all’epoca) nel Sahara: qui Israele sperimenta per la prima volta la bomba a fissione. Israele continuò comunque sempre a negare di possedere un arsenale nucleare nonostante vi siano numerosi episodi che lo confermano. Tra i tanti, la cattura a Roma (violando le leggi internazionali) del tecnico della centrale di Dimona, Mordechai Vanunu, che aveva rivelato al mondo molti dettagli sul programma nucleare del suo Paese. Ricorse invece alla deterrenza nucleare nelle guerre del 1967 e poi nella guerra del Kippur del 1973, quando l’attacco siriano ed egiziano stava travolgendo l’esercito israeliano. Il Segretario di Stato Kissinger non vedeva di mal occhio la possibilità che Israele subisse un ridimensionamento, ma a quel punto Israele minacciò di ricorrere all’arma nucleare, e questo indusse Washington a organizzare un immediato e poderoso ponte aereo che fornì gli armamenti che consentirono di rovesciare le sorti della guerra.
Naturalmente Israele non ha firmato il Trattato di Non Proliferazione (TNP) del 1970 e non ha ratificato il Comprehensive Test Ban Treaty (CTBT) del 1996, che proibisce totalmente i test nucleari (per questo non è mai entrato in vigore, nonostante la sua quasi universalità).
Quanto alla consistenza dell’arsenale si ritiene che sia di 90 testate nucleari, anche se molte stime basate sulla valutazione del plutonio parlano di 100-200. Comunque non è tanto il numero totale che conta, quanto la modernità e l’efficienza sia delle testate sia dei vettori. In questo Israele è fra i paesi che hanno realizzato le tipologie più avanzate di testate nucleari, oltre ad aver sviluppato efficienti sistemi di lancio da bombardieri, da missili basati a terra, e da sommergibili.
Questi ultimi, tutti sommergibili d’attacco, della classe Dolphin, (in totale 6 di cui 2 donati), sono stati acquisiti dalla Germania.
Nel Cap. 7 “L’Unione Europea e i droni MADE IN ISRAEL”, tradotto da un documento di ECCP (Coordinamento europeo delle associazioni per la Palestina) e adattato da Raffaele Spiga, si affronta la questione dell’uso dei droni israeliani per bloccare i migranti che cercano rifugio e un’altra vita in Europa. Forse non tutti sanno che l’UE ha quadruplicato i fondi a disposizione per la militarizzazione delle frontiere, superando nel 2020 la ragguardevole cifra di € 21.3 miliardi, allo scopo di garantire alle proprie agenzie di controllo delle frontiere – Frontex and EMSA – una idonea dotazione militare. E che dal 2018, 63.750.000,00 € di fondi pubblici dell'UE sono stati utilizzati per finanziare e alimentare direttamente l'economia di guerra di Israele, attraverso l’acquisto di droni israeliani per il controllo militare dei confini europei e del mare. Nel frattempo, il numero di "barche fantasma" – barche con migranti che sono scomparse senza lasciare traccia nel Mediterraneo – ha continuato ad aumentare. I droni sono Heron e Hermes.
I droni Heron (Airone) della IAI (Israeli Aerspace Industries), e i droni Hermes 900 e 450 della Elbit sono stati usati ripetutamente nell'operazione Piombo Fuso contro Gaza, (2008-2009) e durante l'Operazione Margine Protettivo (2014) uccidendo moltissimi civili (Human Rights Watch).
Il sito DroneWatch.eu riferisce che è un drone Hermes ad aver ucciso i quattro ragazzi della famiglia Bakr, il 16 agosto 2014, durante Margine Protettivo, mentre giocavano sulla spiaggia a Gaza.
Le due agenzie, Frontex (Agenzia europea della guardia di Frontiera) e EMSA (Agenzia europea per la sicurezza marittima), attraverso l’uso di questi droni consentono all’UE di eludere l'obbligo di salvare le vite dei migranti che cercano di attraversare il Mediterraneo, come prescritto dal diritto internazionale. Essi non sono infatti equipaggiati per operazioni di salvataggio, ma si limitano a segnalare la presenza dei barconi alle capitanerie di porto europee, o peggio, a quelle libiche. In questo modo, nell’agosto 2019 il tasso di mortalità delle persone che tentavano di attraversare il Mediterraneo è passato da una media storica del 2% fino al 14%.
Attraverso l’uso dei droni l’UE è complice dei crimini di Israele, che è leader globale nella loro produzione ed esportazioni dopo averli testati in Cisgiordania e su Gaza
Un tempo i migranti nel Mediterraneo erano salvati dalle navi di controllo, ora devono temere i droni in volo. L'UE deve smettere di usare i soldi dei contribuenti per finanziare le campagne militari israeliane.
Cap. 8. “Le complicità occulte: il caso di AXA” (Filippo Bianchetti e Ugo Giannangeli). AXA, Gruppo assicurativo multinazionale operante nella protezione assicurativa e nell'asset management, attivo soprattutto in Francia, è sorto nel 1817. Attualmente ha 171.000 dipendenti e 105 milioni di clienti in 61 paesi, con un utile di 6,5 miliardi. In Italia è presente con il gruppo AXA Italia che oltre che di assicurazioni si occupa di Sanità Integrativa in competizione con il Servizio Sanitario Pubblico.
La società presenta un’immagine accattivante e promuove linee guida etiche, dichiara di essere impegnata a rispettare i principi universali sui diritti umani, lavoro, ambiente, lotta alla corruzione e di essere in contrasto con l’uso di “armi controverse”. Ha anche dichiarato di non finanziare attività soggette a sanzioni internazionali.
Ma la realtà è diversa. In un approfondito rapporto dell’associazione “Sum Of us”, pubblicato nel giugno del 2019, si conferma che AXA, attraverso la sua affiliata AXA Equitable Holdings ha investito più di 91 milioni di dollari nelle prime cinque banche israeliane che finanziano gli insediamenti illegali di Israele e nella Elbit Systems, la più grande azienda israeliana produttrice di armi, come più volte ricordato, oltre a fornire supporto logistico alle infrastrutture dell’occupazione (il muro illegale).
Nel dicembre 2018 la sua controllata AXA Investments Manager (IM) si è ritirata da Elbit Systems. Ma AXA rimane complice dell'apartheid israeliano perché attraverso AXA Equitable Holdings detiene ancora quote di Elbit e delle banche complici, tutte elencate nel database delle Nazioni Unite delle società complici negli insediamenti illegali. Inoltre, benché la sua partecipazione sia diminuita dal 60,1% al 9,03% attuale, attraverso AXA Equitable i suoi investimenti nelle altre banche israeliane sono quasi triplicati.
Contro AXA si è costituito un movimento europeo, che comprende anche l’Italia, che chiama al boicottaggio della stessa finché non avrà completamente disinvestito da società e aziende israeliane complici dell’occupazione.
Nel Cap. 9, si torna a parlare delle complicità italiane, a proposito della vendita ad Israele di aerei da guerra da parte dell’Alenia Aermacchi, con sede a Venegono Superiore.
Ancora Filippo Bianchetti e Ugo Giannangeli parlano della manifestazione, molto partecipata, che si svolse il 13 ottobre 2012 davanti alla sede dell’Alenia Aermacchi (oggi Leonardo) di Venegono superiore (Varese) sui temi del ripudio della guerra, del taglio alle spese militari e della riconversione civile. La località fu scelta perché a giugno era arrivato a Venegono l’allora ministro degli esteri israeliano Lieberman per contrattare l’acquisto di 30 esemplari dell’M 346, aereo definito addestratore ma in realtà con le caratteristiche di un aereo da guerra. La manifestazione riuscì molto bene ed ebbe anche l’approvazione della popolazione locale.
Il giorno successivo si svolse un affollato convegno nel castello dei Padri Comboniani cui parteciparono i rappresentanti dei movimenti per il disarmo e contro la guerra venuti da tutta Italia oltre a tantissime associazioni. Fu possibile confrontarsi sul complesso militare, industriale, economico e mediatico italiano ed europeo. Nacque così il Forum contro la guerra, ottimo esempio di collaborazione di forze diverse, che fece sperare in un allagamento di tale fronte.
In seguito, nell’estate 2014, a Varese cinque attivisti per i diritti del popolo palestinese depositarono una articolata e motivata denuncia contro Alenia Aermacchi, chiedendo di accertare se la fornitura di 30 aerei M346 fosse stata autorizzata dai competenti ministeri e perché, vista la palese violazione della legge n.185/90 che vieta l’esportazione di armamenti verso paesi responsabili di violazioni delle convenzioni internazionali in tema di diritti umani. Dopo una quasi inesistente attività istruttoria, Il 23 ottobre 2017 il Giudice per le indagini preliminari di Varese dispose l’archiviazione del procedimento, nonostante la forte e motivata opposizione dei denuncianti. Il GIP disse anzi che i rilievi degli esponenti apparivano generici e che si riferivano a decisioni politiche, mostrando di non voler arrivare al fondo della questione.
In realtà, il sistema di controllo governativo sulle esportazioni militari, come ci spiega Giorgio Beretta nella postfazione, è stato modificato ed adeguato proprio per evitare che il percorso di acquisto e vendita tra i vari governi venga intralciato.
Nel Cap. 10 “L’occupazione militare della Sardegna” l’associazione A Foras ci parla del caso della Sardegna e della sue basi militari, non solo perché esse ospitano frequentemente le esercitazioni di Israele, ma perché esse e le numerose esercitazioni che vi si svolgono rappresentano un danno, volutamente sottovalutato, per la salute e per l’ambiente.
A seguito degli accordi internazionali firmati a Roma dall’Italia dopo la 2°guerra mondiale, alla Sardegna sono state imposte numerose ed estese servitù militari (senza consultazione della popolazione). Tali servitù rappresentano il 60% del totale delle servitù militari italiane. Da quasi 70 anni pertanto i territori della Sardegna sono usati ed abusati per esercitazioni militari e sperimentazioni di armamenti di vario genere. Ciò ha portato a gravi conseguenza sul piano sociale ed economico impedendo lo sviluppo dei comuni coinvolti e di quelli limitrofi. Si sono inoltre prodotti gravi danni alla salute delle persone, dell’habitat e della fauna causati dall'esposizione a sostanze tossiche e cancerogene.
Eccesso di tumori e malformazioni si sono cominciati e a vedersi fin dagli anni ’90, e poi con sempre maggiore frequenza. Sui fenomeni di inquinamento e tossicità non sono state fatte ricerche sistematiche, salvo che nei casi in cui gli effetti sulla salute erano più evidenti. Tra questi si ricorda come annus horribilis il 1988, allorché ad Escalaplano il 23% delle nascite riportò gravissime malformazioni. Nello stesso periodo, nella sola frazione di Quirra, si verificarono tumori emolinfatici undici volte superiori alla media regionale mentre per le leucemie l’eccesso fu di sedici volte.
Significativo anche Il numero di casi di tumore a carico dei pastori e delle loro famiglie che, nel decennio 2000-2010, colpirono il 65% di tale popolazione. A seguito di tali accadimenti, il 12 gennaio 2011 è iniziato, presso il Tribunale di Lanusei, un processo per disastro ambientale tuttora in corso. Durante le indagini disposte dalla procura su alcune salme riesumate si sono trovate alte concentrazioni di Cerio e Torio 232 (quest’ultimo più radioattivo dell’uranio impoverito).
Tra le installazioni militari più importanti, usate sia per esercitazioni belliche sia per azioni di guerra vere e proprie, vi sono tre Poligoni (Quirra, Teulada e Capo Frasca), i più grandi d’Europa per estensione, di cui usufruisce anche Israele. Da qui sono partite molte operazione di guerra per l’estremo e medio oriente e nell’area mediterranea.
Tra le esercitazioni cui partecipa anche la Israeli Air Force (IAF) si citano:
- 2003-2008 Operazione Spring Flag a Decimomannu, con simulazioni di battaglie aeree tra F15 israeliani e MIG29 tedeschi. Dopo “Spring Flag 2006”, la presenza dei velivoli da guerra israeliani in Sardegna è divenuta costante e massiccia;
- 2008-2009 Starex, la più importante esercitazione aerea internazionale, svoltasi a Decimomannu e in cui si sono addestrati gli F15 e gli F16 israeliani. Proprio in questo periodo l’aviazione israeliana scatenava l’operazione Piombo Fuso contro la popolazione della Striscia di Gaza.
- 2009-2011 Star Vega: operazione congiunta Italia-Israele svoltasi a Decimomannu e nel Negev.
Nel 2014, gli F-15 e gli F-16 della Israeli Air Force erano attesi in Sardegna al poligono di Capo Frasca per esercitazioni militari insieme all’aviazione italiana e ad altri eserciti Nato per l’annuale esercitazione bilaterale “Vega”. Nello stesso tempo Israele bombarda Gaza, per cui dilaga la protesta contro le esercitazioni militari in programma ed in particolare contro la partecipazione di Israele, mentre da Gaza arrivarono decine di foto di palestinesi tra le macerie, che chiedono all’Italia e alla Sardegna di non addestrare i piloti che li bombardavano.
L’aeronautica militare israeliana venne infine rimossa dall’elenco ufficiale dei partecipanti alle esercitazioni militari multinazionali previste in Sardegna nel secondo semestre del 2014. Si ritiene tuttavia che la cancellazione sia stata momentanea oppure che il contingente israeliano sia stato inserito tra gli “eventuali ospiti Nato” o dell’Aeronautica Militare Italiana.
Il libro si chiude con la Postfazione di Giorgio Beretta “Il salto di qualità del commesso viaggiatore”. Ed effettivamente si è trattato di un salto di qualità nella cooperazione industriale tra Italia e Israele l’accordo per la vendita allo Stato d’Israele, di 30 “velivoli d’addestramento” prodotti dalla Alenia-Aermacchi. Così il presidente del Consiglio, Mario Monti, in visita ufficiale a Israele l’8 aprile 2012, definì tale accordo. Si era invece definito commesso viaggiatore dell’industria militare Silvio Berlusconi in una precedente occasione, ben illustrata nel Dossier.
Fino a quel momento, infatti, nonostante i rapporti diplomatici, economici e anche militari di lunga data tra Roma e Tel Aviv, l’interscambio di sistemi militari tra Italia e Israele era sempre stato contenuto con una media annuale di circa un milione di euro e costituito, peraltro, di “armi leggere”. Le condizioni per il salto di qualità si erano poste a partire dagli anni Duemila con la riorganizzazione di Finmeccanica (oggi Leonardo) e la sua polarizzazione verso il settore militare. Si era così istituita una “One Company”, cioè un’unica azienda attiva per aerospazio, difesa e sicurezza. La quale, con quasi 13,8 miliardi di fatturato, 49.530 dipendenti in tutto il mondo (29.244 in Italia), una significativa presenza industriale e commerciale in più di venti Paesi e un portafoglio d’ordini di oltre 36,5 miliardi di euro nel 2019, si presenta oggi come “una delle prime dieci aziende globali nel settore dell’Aerospazio, Difesa e Sicurezza”. Una multinazionale degli armamenti.
La performance di Finmeccanica-Leonardo è stata possibile grazie al sostegno dei vari governi che hanno tutti puntato alle esportazioni di sistemi militari, per superare una domanda interna inadeguata in tempi di crisi e per generare un sufficiente ritorno economico e industriale per l’investitore. Tale impostazione è confermata nel “Libro Bianco della Difesa” reso pubblico nel giugno del 2015 dall’allora ministra della Difesa, Roberta Pinotti.
Per realizzare questa politica ed incrementare l’export militare, è stato riorganizzato il settore del controllo dell’esportazione di armamenti, con la elevazione, nel 2012, ad “Autorità nazionale” dell’Unità per le autorizzazioni dei materiali di armamento (UAMA). In tal modo l’Autorità nazionale, incardinata presso il Ministero degli Esteri, gode di un’ampia autonomia decisionale e di rari controlli da parte del parlamento. Non solo: nel dicembre del 2019, si è concluso l’iter legislativo per regolamentare le attività cosiddette “Government to Government” (note come “G2G”) svolte dallo Stato italiano nei confronti di altri Stati in materia di cooperazione nel settore degli armamenti prodotti dall’industria nazionale. Tale formula, mutuata dagli Stati Uniti, promuove le esportazioni di sistemi militari tutelando gli interessi delle aziende produttrici e dei Paesi acquirenti grazie alle garanzie poste in atto da parte del Paese venditore. Essa è stata fortemente richiesta dal comparto militare industriale e soprattutto da Finmeccanica-Leonardo, la cui produzione militare è destinata per oltre l’85% a Paesi esteri. Grazie al sistema G2G, infatti, il Paese acquirente riceve precise garanzie governative da parte dello Stato dell’azienda venditrice, evitando, soprattutto, di restare avvinghiati in quelli che l’industria militare considera i “lacci e laccioli” della normativa nazionale sulle esportazioni di armamenti, la legge n. 185 del 1990.
Elaborazione grafica copertina: Rachele Streccioni Girolimetti
Hanno collaborato alla redazione: Angelo Baracca, Filippo Bianchetti, Rossana De Simone, Olivia Ferguglia, Ester Garau, Ugo Giannangeli, Flavia Lepre, Antonio Mazzeo, Loretta Mussi, Charlotte Napoli, Raffaele Spiga, Angelo Stefanini Coordinatore del progetto: Raffaele Spiga
Biografie
Angelo Baracca - Professore di fisica presso l’Università di Firenze. Ha svolto ricerche in varie aree della fisica e in storia e critica della scienza. Ha pubblicato lavori scientifici e vari libri, tra cui manuali scientifici per l’Università e per la Scuola Secondaria, e saggi generali sulla scienza e la sua storia. Da molto tempo si occupa di problemi degli armamenti nucleari e di relazioni internazionali, partecipando attivamente al movimento per la pace e il disarmo. Scrive regolarmente su riviste impegnate su questo fronte. È membro del «Comitato Scienziate e Scienziati Contro la Guerra» (www.scienzaepace.it). Si è occupato di armamenti nucleari e disarmo, su cui ha pubblicato per la Jaca Book A Volte Ritornano. Il Nucleare (2005), L'Italia torna al nucleare? I costi, i rischi e le bugie (2008) , oltre a contributi per l'Annuario Armi-Disarmo, ha curato inoltre due Dossier sul Nucleare per Mosaico di Pace
Giorgio Beretta, Analista del commercio internazionale e nazionale di sistemi militari e di armi comuni. Svolge la sua attività di ricerca per l’Osservatorio permanente sulle armi leggere e politiche di sicurezza e difesa (Opal) di Brescia che fa parte della Rete italiana pace e disarmo (Ripd). Ha pubblicato diversi studi, oltre che per l’Osservatorio Opal, anche per l’Osservatorio sul commercio delle armi (Oscar) di Ires Toscana (Istituto di ricerche economiche e sociali) della Cgil di Firenze, per l’Annuario geopolitico della pace di Venezia e numerosi contributi, anche sul rapporto tra finanza e armamenti, per diverse riviste e quotidiani nazionali. Scrive abitualmente per i siti: www.unimondo.org e www.osservatoriodiritti.it
Filippo Bianchetti Di Varese, medico di base in pensione, attivista per la Palestina dopo un primo viaggio di aiuto sanitario in Cisgiordania nel 2002 (poi 2 volte a Gaza ed una nei campi profughi del Libano). Ha lavorato con ISM-italia e nel Comitato varesino per la Palestina. Ora presente nel Forum contro la Guerra e nel BDS Italia
Rossana De Simone - Il suo attivismo strettamente antimilitarista comincia come delegata FIOM poi FLMU - Aermacchi Varese. In fabbrica ha fatto parte del Comitato cassaintegrati per la pace e il diritto al lavoro. Dal rifiuto di questi lavoratori di lasciarsi coinvolgere in una azione di lobbing volta a difendere l'occupazione mediante richieste di aumento delle commesse militari, e dalla loro lotta, avvenuta durante la prima guerra nel Golfo del1991, nacque l'Agenzia per la riconversione dell'industria bellica in Lombardia. A Bologna ha collaborato con il Comitato cittadino contro la guerra e attualmente fa parte della redazione di "PeaceLink" per cui scrive articoli sulla trasformazione del complesso militare industriale e sul disarmo. Con altri autori ha partecipato alla stesura di "SE DICI GUERRA... Basi militari, tecnologie e profitti" e "FRAMMENTI SULLA GUERRA. Industria e neocolonialismo in un mondo multipolare" per Kappa Vu edizioni
Olivia Ferguglia - Dottoranda in Fisica, attivista e militante per la Palestina nel campo studentesco e universitario
Ugo Giannangeli - Avvocato penalista. All’impegno nella professione ha sempre affiancato un impegno sociale e politico nella sinistra militante, prevalentemente sui temi del carcere, della pena, della repressione delle lotte sociali e della solidarietà internazionale, in particolare a sostegno della resistenza del popolo palestinese contro l’occupazione sionista. Ha partecipato come osservatore internazionale al processo nel 2002 contro Marwan Barghouti e alle elezioni del 2006 in Palestina. Ha partecipato a convegni politici a Cuba, Libia, Libano. Ha contribuito alla stesura del libro “Palestina” della collana “Crimini contro l’umanità”, ed. Zambon e, con lo stesso editore, alla riedizione nel 2018 del libro “Coi miei occhi” della avvocatessa Felicia Langer. Ha contribuito alla nascita del movimento “ No M346 ad Israele” e del “Forum contro la guerra” di Venegono. Collabora con la Scuola dei diritti umani di Como.
Antonio Mazzeo Peace-researcher e giornalista impegnato nei temi della pace e del disarmo, dell’ambiente, dei diritti umani, della lotta alle mafie. Ha pubblicato numerosi saggi sui conflitti nell’area mediterranea, il traffico d’armi, la violazione dei diritti umani, la criminalità organizzata e la militarizzazione del territorio. Ha ricevuto il “Premio G. Bassani – Italia Nostra 2010″ per il giornalismo e nel 2020 la "Colomba d'oro per la Pace" dell'Archivio Disarmo "per aver interpretato per anni il giornalismo e la scrittura come una missione di difesa dei diritti umani e di denuncia delle ingiustizie"
Loretta Mussi Nata a Bolzano, durante il liceo si è attivata con A. Langer in un gruppo misto alla soluzione della questione sudtirolese. Come medico di sanità pubblica ha lavorato, con diverse competenze, per la tutela ambientale, la prevenzione e l'organizzazione dei servizi sanitari in Lombardia, a Roma e in Campania. E’ stata volontaria e quindi presidente di Un Ponte per, lavorando su Libano, Iraq e Palestina. Come attivista per la Palestina, fa parte della Rete Romana Palestina e del movimento BDS Italia. E’ impegnata nel Comitato Romano per la Democrazia Costituzionale e nell'esecutivo nazionale contro l’Autonomia Differenziata. Collabora con varie associazioni per la riorganizzazione del SSN.
Raffaele Spiga Gandhiano e nonviolento, in età giovanile, nel 1976-77 ha collaborato con il sociologo Danilo Dolci presso il Centro Studi e iniziative di Partinico (Pa), Si è occupato di educazione interculturale e di educazione degli adulti. In seguito ha approfondito il tema della risoluzione nonviolenta dei conflitti a livello interpersonale e sociale contro la psichiatrizzazione dei problemi individuali. Professionalmente si è occupato di progettazione e gestione di progetti transnazionali cofinanziati dalla Unione Europea per la coesione territoriale e per la adesione di Paesi extra-UE (Albania, Croazia, Turchia). Dal 2004 al 2012 è stato responsabile del Centro per la Cooperazione Decentrata della Regione Emilia Romagna a Gerusalemme Est occupata, coordinando progetti di cooperazione di enti locali e organizzazioni non governative con controparti palestinesi.
Angelo Stefanini Medico, ha lavorato per anni con ONG in Africa. Ha insegnato Sanità pubblica internazionale alle università di Leeds (UK), Makerere (Uganda) e infine Bologna, dove ha fondato il Centro di Salute Internazionale (CSI). Nella Palestina occupata è stato direttore dell’OMS (2002) e del programma sanitario italiano (2008-2011). Ha pubblicato sul diritto alla salute dei palestinesi in riviste scientifiche internazionali e in riviste digitali. Alla vigilia dell’invasione dell’Iraq (2003) ha promosso la Lettera dei Medici italiani contro la guerra. E’ stato membro del Gruppo di lavoro Associazione Italiana di Epidemiologia AIE-Guerra. Come firmatario di petizioni contro l’operato di Israele è taggato sull’osservatorio pro-israeliano honestreporting.com. Dal 2015, come volontario di PCRF (Palestinian Children’s Relief Fund), compie missioni periodiche nella Striscia di Gaza dove collabora al rafforzamento del sistema sanitario locale.
PeaceLink è un'associazione di volontariato nata su rete telematica che promuove dal 1991 la cultura della solidarietà e dei diritti umani, l'educazione alla pace, la cooperazione internazionale, il ripudio del razzismo e della mafia, la difesa dell'ambiente e della legalità.
PeaceLink significa "legami di pace". È apartitica, non ha fini di lucro ed è una struttura democratica. Chi ricopre cariche associative non riceve compensi.
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A Foras è un’assemblea nata il 2 giugno del 2016 a Bauladu composta da comitati territoriali, collettivi studenteschi, associazioni, realtà politiche e individui che si oppongono all’occupazione militare della Sardegna. A Foras è una assemblea aperta e inclusiva che lotta per il blocco delle esercitazioni, la completa smilitarizzazione, il risarcimento delle popolazioni da parte di chi ha inquinato e la conseguente bonifica dei territori compromessi.
Per aggiornamenti e approfondimenti:aforas.noblogs.org
EMBARGO MILITARE CONTRO ISRAELE
Dosser a cura di BDS Italia, con il sostegno di PEACELINK e la collaborazione del collettivo A FORAS