di Nasim Ahmed
La proliferazione di massa delle armi è una delle più grandi fonti di insabilità nel mondo. Le sue devastanti conseguenze sono universalmente percepite: profeti e politici hanno messo in guardia dai suoi effetti distruttivi sulla società e le vite umane. Gli studiosi musulmani, a guardia dei valori e principi del profeta, hanno proibito di vendere armi durante guerre e conflitti civili, anche leaders celebrati come il Presidente degli Stati Uniti Dwight Eisenhower, ha dato un profetico avvertimento riguardo al potere e al pericolo del complesso militare industriale.
Tali avvertimenti sono rimasti inascoltati dato che sempre più nazioni sono diventate preda delle armi. Questa crescente intossicazione viene soddisfatta da un fornitore globale che prospera sulla miseria umana, il conflitto, la paura e la tensione, fornendo alle nazioni modi nuovi e fantasiosi di espungere la loro paura collettiva.
L'esempio più recente è la tariffa “armiera” che ci sarà, contro le proteste di molti britannici al ExCel London Centre. Il pubblico britannico non saprà che l'evento è una esposizione sovvenzionata dal contribuente e una delle più grandi del mondo per vendere le armi più recenti a clenti internazionali, incluse le regioni devastate dalla guerra. I manifestanti dicono che molti degli espositori sono coinvolti in abusi dei diritti umani mentre Amnesty, che ha intrapreso una estesa campagna contro l'esposizione, asserisce che potrebbero essere esposti strumenti di tortura illegali, ha scritto Evening Standard.
Questa fiera d'armi biennale che ha aperto martedì, è organizzata dal Defence and Security Equipment International LTD (DSEI), con sede nel Regno unito, “un fornitore specializzato in strumentazioni di sicurezza e servizi di formazione e consulenza”.
L'evento è diventato una mecca per il commercio globale di armi ed ha attratto pesanti critiche per molte ragioni, non ultima quella relativa a quanto la crescita e la popolarità di una tale fiera ci dicono sul nostro mondo. La stessa idea di una esposizione di armi non è facilmente digeribile dalla maggior parte delle persone: fare shopping di armi letali e degli ultimi dispositivi per l'arte dell'assassinio, come se si fosse in una showroom di cucine, per acquistare l'ultima tecnologia per uccidere, quella più alla moda e all'avanguardia, è come minimo bizzarro.
Per quanto stravagante possa apparire, è per molti aspetti coerente con la nostra società e cultura moderne; caratterizzate da crescente paura, incertezza e sospetto, una miscela tossica in sé, che è stata istillata con caratteristiche guerresche: generazioni sono cresciute con videogames violenti, molti dei quali espongono e simulano i più recenti dispositivi di guerra a un pubblico di massa; sui nostri schermi non mancano mai produzioni di film violenti che esaltano le recenti e future tecnologie di guerra; e il modo esibizionista con cui vengono coperte dai media le guerre moderne, sembra allo stesso tempo rallegrarsi dell'utilità efficace delle armi moderne per ammazzare quelli che non ci piacciono.
Tutti questi fattori, in un modo o nell'altro, hanno desensibilizzato le persone rispetto all'uccidere a alla guerra asettica. Questa normalizzazione culturale della guerra è diventato un fatto della vita e qualcuno potrebbe giustamente indicarla come una moderna manifestazione della nostra natura sanguinaria e brutale. Ma la guerra, l'uccidere, le armi di distruzione di massa sono sempre state un così cospicuo affare? Ne dubito. Il business della guerra è mai cresciuto come un mostro industriale che minaccia la stabilità sociale, culturale e politica e perfino la sovranità dei governi nella ricerca della loro autodeterminazione e degli interessi delle loro popolazioni al di sopra dei profitti dei produttori di armi? Io non credo.
Negli ultimi anni, la spesa militare globale è aumentata a livelli mai visti dalla Guerra Fredda con una spesa globale in armi che supera attualmente 1,7 trilioni di dollari. La sopravvivenza dell'industria multitrilionaria poggia sulla instabilità globale, e aumenta le tensioni sociali e i conflitti militari in diverse parti del mondo.
Più esattamente, l'esposizione quest'anno ha alimentato una maggior polemica a causa della crescita della quantità di guerre in Africa e in Medio Oriente; due regioni che hanno visto aumentare in modo esponenziale l'acquisto di armi dai produttori in occidente. I dati sulle vendite di armi al Medio Oriente sono deprimenti, a dir poco.
La tendenza degli ultimi pochi anni è stata la caduta della spesa militare negli Stati Uniti e in Europa occidentale – prevalentemente come risultato di una recessione globale, probabilmente crescerà di nuovo, e un significativo aumento altrove. Secondo il SIPRI (Stockholm International Peace Research Institute), un “istituto internazionale indipendente dedicato alla ricerca su conflitti, armamenti, controllo delle armi e disarmo” la spesa militare in Medio Oriente è cresciuta del 57% solo nell'ultimo decennio: le vendite totali di armi alla regione sono state 196 miliardi nel 2014, che è un aumento del 5,2% dal 2013.
Il Medio Oriente è il nuovo mercato per i fornitori di armi, una destinazione ideale per nuove produzioni e vecchi stocks di armi vendute dai paesi industrializzati. Nel rapporto SIPRI 2014 Trends in World Military Expenditure, il think tank mostra un allarmante aumento dell'acquisto di armi da parte dei paesi del Medio Oriente a partire dal 2005: lo stock di armi dell'Iraq è aumentato del 286%, quello degli Emirati Arabi Uniti del 135%, del Bahrain del 126%, e l'Arabia Saudita del 112%. Non sono disponibili i dati 2014 per il Kuwait, ma la sua spesa è aumentata del 112% tra il 2005 e il 2013.
Il rapporto sottolinea inoltre che tutti questi paesi sono grandi produttori di petrolio, e le loro entrate statali sono state alimentate dagli alti prezzi del petrolio nel corso del periodo. Tuttavia è improbabile che questi paesi siano in grado di sostenere alti livelli di spesa – qualcosa come il 12% del PIL in alcuni casi – con la caduta dei prezzi del petrolio verso la fine del 2014.
Mentre un crescente numero di paesi della regione viene intossicato dall'industria delle armi, un paese ha capitalizzato la sua “intossicazione” come nessun altro, attraverso l'uso e la fornitura di armi di alta qualità. Famoso nel mondo per la produzione di alcune tra le migliori armi testate in battaglia, la posizione di Israele nel commercio globale di armi è indegna. Pur essendo uno stato relativamente piccolo Israele gode di vantaggi che altri non hanno. Israele si colloca al sesto posto tra i più grandi esportatori di armi del mondo. Nel 2012, ha esportato 2.4 miliardi di dollari di attrezzature militari. Ma con un valore procapite di 300 dollari circa in esportazioni, Israele è in cima alla lista. Perfino gli Stati Uniti, di gran lunga il più grande esportatore di armi del mondo, ha solo 90 dollari di vendite procapite.
Israele investe in ricerca più danaro della maggior parte degli altri paesi, e in nessun altro posto gli istituti di ricerca, l'industria della difesa, l'esercito e la politica sono così intrecciati. Il risultato è una fabbrica ad alta tecnologia, il “caviale” delle armi di alta qualità che esporta con successo nel mondo i suoi prodotti.
Le esportazioni di Israele crescono rapidamente, le sue esportazioni di armi sono più che raddoppiate tra il 2001 e il 2012. In maggio Times of Israel ha riferito di una straordinaria crescita delle vendite di armi in Africa. Ha affermato che le esportazioni dell'industria armiera nel 2014 erano oltre il 40%. Gli accordi con i paesi africani sono cresciuti stabilmente su base annuale dal 2009(77 milioni di dollari), soltanto con una lieve flessione nel 2012 (107 milioni dollari) rispetto al 2011 (127 milioni di dollari).
Gli Stati africani tuttavia non sono ancora considerati tra i maggiori acquirenti: i paesi di Asia e Pacifico hanno comprato da Israele tecnologia militare ed armi per un valore di 3 miliardi di dollari nel 2014 , mentre solo a meno dello 0,33 mldi di dollari ammontano le vendite in Africa.
Nella esposizione di armi in corso nei Docklands, Israele è uno dei pochi paesi con un “padiglione nazionale”, un'area definita dove le aziende militari israeliane possono esibire le loro merci – la nuovissima tecnologia militare, “testate in battaglia” e “sperimentate in combattimento”.
Lo stato di conflitto perenne di israele con i Palestinesi, gli fornisce un vantaggio nel settore delle armi. La distruzione di Gaza, è stato osservato, è una vaca da mungere per il settore militare di Israele. L'“Operazione Margine protettivo”, il massacro e il bombardamento di Gaza nell'estate 2014 hanno dato ad Israele un vantaggio di mercato. “Testate in battaglia” è il miglior slogan di mercato per le industrie della difesa in tutto il mondo, così per i produttori israeliani di armi, l'”operazione margine protettivo” ha prodotto un vantaggio competitivo enorme, secondo quanto afferma il giornale israeliano Haaretz.
La scorsa estate, le fabbriche hanno lavorato tutto il giorno fornendo munizioni mentre l'esercito sperimentava i loro nuovissimi sistemi contro un nemico reale. Adesso, si aspettano di conquistare nuovi clienti con i loro prodotti “testati in battaglia”. In Israele le fiere commerciali per la tecnologia militare e la sicurezza nazionale sono fatti normali, specialmente dopo ogni round di bombardamenti e/o invasioni di Gaza. La linea pubblicitaria ripetuta dalle aziende in queste fiere commerciali per promuovere le loro merci è che “l'IDF già usa questa tecnologia”, che ovviamente vuol dire che è stata usata con efficacia ed efficienza nella repressione dei Palestinesi e nel bombardamento criminale delle loro case.
Non serve uno scienziato missilistico per capire che una regione intossicata dalla costante fornitura di armi, porterà al maggior disastro sociale, culturale, economico e politico del nostro tempo con conseguenze terribili per tutti. La “nascita di un nuovo Medio Oriente” sarà possibile solo se Israele smetterà di trattare la Palestina come un laboratorio di guerra e la regione si libererà dalla morsa dei commercianti d'armi che non vogliono altro che espandersi nel mercato con una fornitura di armi costante.
Fonte: Middle East Monitor
Traduzione di Alessandra Mecozzi