di Luca Lampugnani

Alla fine ha vinto la 'trasparenza', anche se decisamente parziale. Dopo mesi di battaglie legali, infatti, qualche tempo fa un tribunale israeliano ha imposto al ministero della Difesa di Tel Aviv di pubblicare i nomi dei Paesi che hanno acquistato armi da Israele, dando perciò ragione ad una petizione sulla libertà di informazione presentata da un avvocato, Itai Mack. Peccato che, come riporta il quotidiano Hareetz, le rivelazioni del governo siano viziate da pesanti 'tagli', tanto che rispetto al registro delle armi convenzionali delle Nazioni Unite, dove gli stati che hanno dichiarato di acquistare armi da Israele sono all'incirca una ventina, Tel Aviv ne ha ufficializzati solo alcuni.

Tra questi Regno Unito, Spagna, Kenya, Corea del Sud e Stati Uniti, dati parziali di un mercato che nel biennio preso in considerazione ha fruttato al governo israeliano qualcosa come 7 miliardi di dollari, poco più di 5 nella nostra valuta. Entrando nello specifico, stando a quanto scrive il quotidiano di Tel Aviv, nel 2012 Israele ha stipulato accordi di vendita per 3,83 miliardi di dollari con paesi non meglio identificati dell'Asia e del Pacifico, per un valore di 1,73 miliardi di dollari con gli stati del Vecchio Continente, di 1,1 miliardi con gli storici alleati degli Stati Uniti e di, rispettivamente, 604 e 107 milioni di dollari con paesi africani e sudamericani. Per giustificare la mancanza di ulteriori nomi di acquirenti, rispetto a quelli già citati, il governo ha fatto sapere di aver rivelato solo ed esclusivamente quelli che già avevano dichiarato i loro acquisti al registro dell'Onu, spiegando che per motivi di "sicurezza nazionale" non sarebbero stati resi pubblici quelli mancanti: "gli altri stati che hanno acquistato attrezzature di sicurezza da Israele hanno scelto di non riferire al registro delle armi convenzionali e di non fare annunci ufficiali, quindi il Ministero della Difesa non rivelerà i loro nomi per salvaguardare i rapporti di politica estera di Tel Aviv".

Eppure, secondo Hareetz, quest'ultima affermazione del governo israeliano è da considerarsi completamente falsa, tanto che da un'indagine condotta dal quotidiano sono spuntati numerosi altri accordi di vendita segnalati all'Onu ma non riportati dal ministero della Difesa nonostante la sentenza del tribunale. Sempre nel 2012, infatti, risultano nel registro delle Nazioni Unite la vendita di 47 pistole 9 millimetri e di 5 mila 700 fucili d'assalto al Messico e di una cifra non rivelata di missili anti-carro 'Spike' al Cile. Ma la pratica israeliana di vendere e di tenere segreti gli acquirenti, nonostante le ultime rivelazioni, è una pratica che continua ormai da molti decenni. Negli ultimi vent'anni anni, riporta infatti Hareetz, Tel Aviv ha affermato di aver venduto armi e strumenti bellici e militari a Uganda, Colombia, Botswana e Portogallo, mentre dai dati in possesso al registro dell'Onu (spesso le segnalazioni venivano fatte dal Paese acquirente, non certo da Israele) sarebbero da inserire nell'elenco anche, tra gli altri, Kazakistan, Brasile, Vietnam, Spagna, Turchia, Romana, Ruanda e Italia.

Esportazioni, come riferisce il quotidiano israeliano, che hanno spostato da Tel Aviv a vari paesi del mondo la 'bellezza' di 91 veicoli tra carri armati e altri mezzi militari, 37 aerei, 10 navi da guerra, 2 mila 500 lanciamissili e missili e oltre 8 mila 600 armamenti d'artiglieria, numeri supportati da quanto rivelato dal ministero della Difesa che ha parlato di 8 mila licenze di esportazione concesse ogni anno da Israele.

Fonte: International Business Times