La raccolta di articoli per questa edizione de “Il Giornale della Libertà Accademica” è stata concentrata sulla tematica della globalizzazione dell'educazione superiore e il suo impatto sulla libertà accademica. La questione è: l'espansione dell'educazione superiore americana nel mondo e la crescita dell'integrazione internazionale hanno effetti sulla libertà accademica? E, al contrario, in quali modi la globalizzazione dell'educazione superiore sta cambiando l'università negli Stati Uniti, cambiando le tradizionali concezioni della libertà accademica? Uno degli argomenti che ha attirato di più l'attenzione per la sua potenziale relazione a queste domande includeva la questione della libertà accademica nei campus satelliti delle università, come nel caso della NYU ad Abu Dhabi e Yale a Singapore: come l'espansione dell'università liberale in paesi autoritari va ad interagire con la propria libertà accademica, e come questa viene percepita dagli studio all'interno delle istituzioni accademiche?
Un' altro argomento suggerito è stata l'onda di mobilitazioni studentesche, dal movimento “Occupy” negli Stati Uniti alla rivolta degli studenti in Cile, contro la crescente caratteristica corporazionale e privatistica dell'educazione in tutto il mondo: come sono state cambiate le idee degli studenti e gli obiettivi delle facoltà da queste proteste (apparentemente di tipo economico)?
Queste questioni erano intenzionate a far nascere un dialogo in seno all'Associazione Americana dei Professori Universitari (AAUP) su quando e come l'istituzione accademica dovrebbe rispondere alle violazioni della libertà accademica e dei diritti universitari al di là dei confini statunitensi, poiché come suggerito dai molti eventi scaturiti durante la preparazione dell'ultima edizione del Giornale, i tempi per una discussione del genere sembrano essere maturi. Nell'autunno del 2012, per esempio, membri del Comitato dell' AAUP scrissero una lettera aperta all'Università di Yale per chiedere chiarimenti riguardante il suo coinvolgimento con l'Università Nazionale di Singapore, date le chiare violazioni di questa ai principi della libertà accademici. Alcuni mesi dopo, invece, il Consiglio dell' AAUP approvò una risoluzione in difesa di un accademico dissidente latinoamericano potenziale vittima di atteggiamenti governativi ed accademici violenti e repressivi.
L'AAUP rimase però in silenzio di fronte a un caso similare: le autorità accademiche israeliane chiusero il Dipartimento di Scienze Politici e Governative dell'Università Ben Gurion nel Negez, nel 2012, apparentemente perchè membri del dipartimento erano ritenuti responsabili di visioni sulla questione palestinese “non ortodosse”. [1] Questa rappresentò chiaramente una grave violazione della libertà accademica, e l'Associazione Canadese dei Professori Universitari scrisse una lettera al Ministro dell'Educazione israeliano; mentre il silenzio dell' AAUP su questa vicenda suggerisce che l'associazione abbia urgentemente bisogno di sviluppare linee guida sulla politica da seguire in questi casi.
La risposta principale alle domande poste dalla raccolta del materiale per il Giornale venne a prendere forma in un tavola rotonda riguardante la questione del boicottaggio accademico, e in particolar modo la Campagna Palestinese per il Boicottaggio Accademico e Culturale di Israele (PACBI). Attualmente, la linea politica dell'AAUP si oppone al boicottaggio poiché “da sempre, il fine dell'associazione è quello di favorire il libero scambio delle idee.”
Ciononostante, si riteneva che la tavola rotonda in questione avrebbe avuto il salutare effetto di spronare l'AAUP a discutere i criteri per affrontare le violazioni delle libertà accademiche nel mondo, e in più era diffuso il sentore che, come forum d'opinione, discussione e dibattito, il Giornale avrebbe dovuto dare spazio a tutti i punti di visti, compresi quelli critici verso le politiche della stessa AAUP. Comunque sia, deve essere detto che la pubblicazione di queste critiche non necessariamente indicano qualche cambiamento delle politiche dell'AAUP, o nemmeno l'intenzione di voler considerare tali cambiamenti.
La tavola rotonda è iniziata con un contributo di Marjorie Heins [2], che difende e perora la validità delle politiche dell' AAUP nei confronti del boicottaggio accademico, affermando che, quando indirizzato verso le università, il boicottaggio “tende a privare queste istituzioni delle risorse necessarie e lede l'abilità degli studenti che vi studiano”. Heins ha fornito anche una breve storia della dichiarazione del 2006 del Comitato dell'AAUP, in cui si afferma che il boicottaggio accademico “colpisce direttamente il libero scambio di idee, anche se è indirizzato contro le amministrazioni universitarie.” Heins ha affermato anche che decidere se certe istituzioni accademiche sono complici nel mantenimento dell'occupazione (e quindi della negazioni dei diritti del popolo palestinese) potrebbe portare a uno “sgradevole e sconsiderato test delle proprie linee politiche”. Per queste ragioni, Heins ritiene che l'AAUP dovrebbe mantenere integra la sua politica di opposizione al boicottaggio accademico.
L'intervento successivo è stato di Bill V. Mullen [3], curatore di una serie di scritti sulla campagna palestinese di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni (BDS), a cui hanno fatto seguito interventi di Barghouti, Johar Schueller, Lloyd, Hermez e Soukarieh. Nel suo intervento, Mullen ripercorre la storia della decisione del 2006 dell'AAUP e afferma che gli eventi politici che da allora hanno avuto luogo impongono di riconsiderare tale decisione. Mullen ha poi offerto un excursus sui temi principali dei suoi scritti, riguardanti l'ambigua debolezza della linea politica dell' AAUP in relazione al boicottaggio accademico (che, alla luce delle sue precedenti posizioni nei confronti del Sud Africa garantisce tacitamente uno status di “eccezionalità” ad Israele) e un'analisi delle modalità per cui l'invocazione della libertà accademica nelle università del Medio Oriente aiuti l'avanzata degli interessi americo-israeliani. Mullen ha poi concluso affermando che la libertà accademica è uno strumento del quale Israele e i suoi sostenitori si servono per soffocare qualsivoglia (potenzialmente critico) dibattito.
Il successivo contributo di Omar Barghouti [4] spiega come la definizione dell'AAUP di libertà accademica privilegi implicitamente lo stato inteso come entità nazionalistica, mostrando così come l'AAUP ignori de facto i diritti umani dei popoli sotto occupazione militare e il dovuto rispetto dei diritti degli altri.
Le posizioni di Malini Johar Schueller e David Lloyd [5] ampliano le argomentazioni di Barghouti: ad esempio, riprendono l'analisi di Judith Butler per evidenziare come la politica dell'AAUP venga esercitata da una posizione geopolitica privilegiata (nel senso che non riesce a concepire come ad alcuni soggetti non abbiano l'idoneità per appellarsi al diritto alla libertà accademica).
Come Barhgouti, anche Johar Schueller e Lloyd si soffermano sullo spinoso caso di garanzia dei diritti del popoli che vivono in condizione di occupazione: in tali condizioni, la monotona politica dell'AAUP di lasciar libertà di parola a tutti va ad ignorare l'impossibilità di comparare in maniera egualitaria i diritti di uno stato coloniale (Israele) a quelli degli abitanti di un territorio occupati militarmente (i palestinesi). La posizione dei due oratori si sofferma poi sugli esempi della sistematica negazione della libertà accademica dei palestinesi da parte di Israele, ed espone la campagna di aggressione verso i critici del sionismo negli Stati Uniti, portata avanti sempre nel nome della libertà accademica.
A concludere il dossier di Mullen, gli articoli di Sami Hermez e Mayssoun Soukarieh [6] sviscerano le conseguenze degli appelli alla libertà accademica in Medio Oriente da parte dei rettori delle università americane. In un contesto tale, Hermez e Soukarieh spiegano come le idee di libero scambio di idee ignorano le etiche richieste di boicottaggio delle istituzioni israeliane fatte dai governi arabi, ovviamente articolate in opposizione alla continua occupazione militare israeliana dei territori arabi. Secondo Hermez e Soukarieh, appellarsi al diritto di libertà accademico in un simile contesto geopolitico vuol dire ignorare i precetti etici retrostanti alle politiche dei governi arabi.
Questa tavola rotonda sul BDS si è arricchita di altri due contributi: uno di Joan W. Scott e l'altro di Rima Najjar Kapitan.
Il primo tratta degli eventi che portarono alla decisione dell'AAUP ne 2006 di non appoggiare il boicottaggio accademico. Scott, che sottolinea come ai tempi si trovava d'accordo con le linee dell'AAUP, riporta alla luce la serie di eventi che portarono alla cancellazione di un conferenza in Italia riguardante proprio il boicottaggio accademico e di tentativi fatti fin dal principio fa parte di un gruppo di studiosi filo israeliani per bloccare lo sviluppo della conferenza, reclamando “l'illegittimità” di alcune personalità invitate al dibattito (ovvero, i palestinesi).
Data questo vizio di voler zittire il dissenso, Scott si chiede che senso abbia opporsi al boicottaggio accademico in nome della libertà accademica di Israele quando questo nega la libertà di parola all'interno delle università se volta a criticare lo stato, l'occupazione e più in generale il sionismo. Scott insiste sul fatto che la campagna BDS si sta appellando per un boicottaggio rivolto alle istituzioni accademiche e culturali che regolarmente non fanno niente per opporsi all'occupazione e alle discriminazioni dei cittadini non ebrei, non ai singoli individui. A favore del movimento BDS, Scott spiega come la campagna di boicottaggio sia una via strategica per esporre i comportamenti amorali e non democratici delle istituzioni israeliane, e come sia precisamente un dovere delle persone virtuose che davvero credono nei principi della libertà accademica quello di opporsi ad uno stato che ne abusa.
Rima Najjar Kapitan [7] espone invece la discussione di una recente e storica decisione legale riguardante il boicottaggio, ovvero la decisione della Corte Suprema nei confronti del boicottaggio militare del dipartimento di legge dell'Università di Yale. Kapitan spiega come in questo caso il boicottaggio costituisca una forma di diritto d'opinione protetto dalla costituzione, anche se paradossalmente implica un qualche restrizione allo stesso diritto. Kapitan evidenzia anche l'atteggiamento critico dell'AAUP verso la collaborazione dell'Università di Yale con quella di Singapore: la censura dell'associazione verso un'università responsabile di aver stabilito una branca delle sue attività in un paese che vìola i diritti umani rende chiaro come più importante del diritto d'opinione e di parole sia il valore universali del rispetto e della non discriminazione. Come afferma Kapitan, l'AAUP dovrebbe incoraggiare gli studenti ad esercitare la propria libertà accademica in modo da promuovere al contempo i diritti degli altri, anche arrivando al punto di scegliere di non collaborare con un'istituzione accademica, se questa nega sistematicamente tali diritti.
Questa edizione del Giornale della Libertà Accademica continua con due scritti che considerano altri aspetti della libertà accademico nel constesto globalizzato dell'università. Michael Stein, Christopher Scribner, e David Brown analizzano le modalità con cui forze “esterne” hanno trasformato la sovranità dei professori universitari. Stein e i suoi colleghi, facendo eco al lavoro apparso sulle precenti edizioni del Giornale, evidenziano come la permeabilità delle università aglu usi corporativistici.
Per finire, l'intervento di Jan Clausen ed Eva-Maria Swidler [8] spiega che, poiché gli assistenti aggiunti siano il nuovo volto dell'università, i concetti della libertà accademica (e l'organizzazione delle strategie che da lei derivano) debbano essere ricalibrati intorno all'esperienza dei lavoratori accademici precari. Clausen e Swidler esortano ad esplorare in dettaglio la marginalizzazione dei precari per riuscire a misurare il loro impatto sul concetto di libertà accademica, in modo da capire quale resistenza l'educazione possa offrire alla corporatizzazione della società.
Infatti, i due autori spiegano come, proprio a causa della loro marginalizzazione, i lavoratori precari riescano a creare degli spazi autonomi finalizzati alla produzione pura del sapere. E mentre riconoscono l'importanza di una tale forma dissidente del sapere, i due autori lanciano anche una campagna per un cambio strutturale del concetto di accademia. Ritornando al punto centrale dell'edizione del Giornale, ovvero in quali modi la globalizzazione dell'università tenda a zittire i dissensi, Clausen e Swidler spiegano come editorialisti come Thomas Friedman [9] caratterizzino l'educazione come un punto chiave della campagna statunitense per sopravvivere alla crescente competitività economica mondiale, suggerendo così che per cambiare la struttura odierna dell'università si debba prima “attaccare” lo Stato. Seuniversità come NYU, Yale e Colombia si stanno sviluppando su scala globale andando ad espandere le proprie attività in paesi con record di violazioni dei diritti umani, è chiaro che per l'AAUP sia arrivato il momento di riconsiderare i suoi concetti di globalizzazione, libertà accademica e diritti umani in modo meno aleatorio.
[1] http://chronicle.com/article/Fate-of-Controversial/134782/
[2] http://www.aaup.org/sites/default/files/files/JAF/2013%20JAF/Heins.pdf
[3] http://www.aaup.org/sites/default/files/files/JAF/2013%20JAF/Mullen.pdf
[4] http://www.aaup.org/sites/default/files/files/JAF/2013%20JAF/Barghouti.pdf
[5] http://www.aaup.org/sites/default/files/files/JAF/2013%20JAF/LloydSchueller.pdf
[6] http://www.aaup.org/sites/default/files/files/JAF/2013%20JAF/HermezSoukarieh.pdf
[7] http://www.aaup.org/sites/default/files/files/JAF/2013%20JAF/Kapitan.pdf
[8] http://www.aaup.org/sites/default/files/files/JAF/2013%20JAF/ClausenSwidler.pdf
[9] http://it.wikipedia.org/wiki/Thomas_Lauren_Friedman
Fonte: pacbi.org
Traduzione: BDS Italia