La seguente lettera aperta è stata scritta da Joan W. Scott, titolare della cattedra dedicata al professore Harold F. Linder presso la Scuola di Scienze Sociali dell'Università di Princeton, ed è stata pubblicata sul Giornale della Libertà Accademica, pubblicazione periodica dell'Associazione Americana dei Professori Universitari (AAUP).

Nel 2006, ero una degli organizzatori di una conferenza dell'AAUP, poi cancellata, sul boicottaggio accademico. L'obiettivo era quello di aprire un dibattito sull'utilità, passata e presente, di tali azioni apolitiche, per capire cosa fosse davvero spingeva a scegliere una strategia del genere, conducendo la discussione al di sopra delle parti fuori da ogni contesto anche geografico (in questo caso, il luogo scelto era il Rockefeller Conference Center a Bellagio, in Italia), e per apprendere tutto ciò che potevamo dai differenti punti di vista che speravamo fossero presenti alla conferenza. Ideologicamente, immaginammo la conferenza essere una specie di esercizio di libertà accademica, l'adempimento ai principi basilari dell'AAUP. Fin dalla preparazione della conferenza, i difensori delle politiche di destra di Israele, capeggiati dal professore Gerald Steinberg dell'Università di Bar-Ilan, cercarono di impedire l'evento, affermando in nome della libertà accademica che voci “illegittime” [quelle palestinesi] erano state invitate a presenziare. Poco dopo, i leader dell'AAUP, Cary Nelson e Jane Buck, su unirono nell'opporsi alla conferenza, notificando agli organizzatori che non avevano rilasciato l'approvazione ufficiale dell'AAUP per questo evento. A questo punto la conferenza venne cancellata. Tutta la storia, così come alcuni scritti che sarebbero stati parte del materiale discusso alla conferenza, fu pubblicata in un report speciale sulla rivista Academe (numero di Settembre-Ottobre 2006).

Noi, come organizzatori, non avevamo assolutamente intenzione di promuovere il boicottaggio accademico: eravamo semplicemente interessati nella discussione del problema per capirlo meglio e valutare la strategia del boicottaggio. Infatti, ai tempi, ero d'accordo con la visione dell' AAUP che i boicottaggi fossero contrari ai principi di libero scambi protetti dalla libertà accademica. Ma ora ho cambiato idea. Ma anche allora, sulla scia della controversia creata dalla nostra conferenza, cominciò a sembrarmi che l'aderenza inflessibile a un principio non aveva senso senza considerare i contesti politici in cui si vuole applicarlo. Infatti, data l'aleatorietà della definizione di “libertà accademica” e dei suoi differenti usi, il sapere come applicarla richiede anche la conoscenza delle conseguenze pratiche cui essa comporta. Se la conferenza era finalizzata proprio a capire questo, è stato tutto mandato all'aria, poiché ci siamo addentrati in quello che è stato fatto diventare un campo politico minato: i cosiddetti difensori di Israele volevano impedirci di esercitare il nostro diritto di libertà di parola, esattamente così come loro al contempo impediscono le critiche all'interno di Israele sempre con la stessa modalità: minacciando e licenziando chi ha un punto di vista dissidente. Mi chiedevo: cosa voleva dire opporsi alla campagna di boicottaggio accademico nel nome della libertà accademica in Israele quando questo la nega regolarmente a coloro che muovono critiche allo Stato, all'occupazione, al sionismo e quando usa la proscrizione delle critiche come strumento di intimidazione verso le proprie istituzioni accademiche?

Al contrario, il potere della dei partiti di destra e l'oppressione del popolo palestinese sono cresciuti a dismisura dal 2006: perfino il supposto indebolimento del governo di Netanyahu è stato il rafforzamento del potere dei partiti di destra. Il paese che si proclama l'unica democrazia del Medio Oriente sta mettendo in atto un brutale sistema di apartheid; i suoi politici affermano apertamente l'inutilità di del voto elettorale degli arabi israeliani e di testare le lealtà di quest'ultimi verso lo Stato di Israele.

Il sistema legale israeliano si appoggia sulla disuguaglianza tra cittadini ebrei e non ebrei: ai suoi bambini viene regolarmente insegnato che le vite degli arabi hanno minor valori rispetto alle vite degli ebrei; il suo esercito interferisce pesantemente con il diritto dei palestinesi di accedere all'educazione universitaria, alla libertà di incontrarsi e di parola; con il suo Consiglio per l'Educazione Superiore (ora totalmente in mano al partito Likud) ha elevato un collegio religioso in una colonia allo status di università e ha condotto perquisizioni nelle facoltà universitarie per cercare di aggredire, scoraggiare o licenziare coloro che alzavano critiche.

L'ipocrisia di coloro che si ostinano a considerare queste pratiche come democratiche dovrebbe essere esposta alla luce del sole e un boicottaggio accademico e culturale mi sembra la strada giusta da percorrere per arrivare a ciò.

Poiché un boicottaggio di questo genere si rifiuta di accettare la facciata di “democrazia” che Israele vuole esporre agli occhi del mondo, non si tratta di un boicottaggio degli individui basato sull'appartenere ad una specifica nazionalità. Al contrario: si tratta di un boicottaggio delle istituzioni, specificatamente mirato a quelle istituzioni culturali ed educative che sostanzialmente e sistematicamente falliscono nell'opporsi all'occupazione al trattamento disuguale dei cittadini non ebrei, e che anzi ne sono conniventi.

Deve essere provato che queste istituzioni forniscano libertà accademica tanto agli ebrei quanto agli arabi, tanto ai palestinesi quanto agli israeliani, dentro i confini di Israele e nei Territori Occupati di Cisgiordania e Striscia di Gaza, e che a tutti siano dati eguali diritti. Si dice che, di fronte ad un sistema di apartheid che vìola sia nei principi teorici che nella pratica l'uguaglianza e le libertà di tutti, un'opposizione ideologica al boicottaggio (vista come strategia punitiva o non consona) non abbia senso. Infatti, tale opposizione aiuta solamente a continuare un tale sistema di violazioni.

Il boicottaggio è un metodo strategico per esporre alla luce del sole l'amorale e non democratico comportamento delle istituzioni israeliane, e lo si potrebbe quasi vedere come un “voler salvare Israele da sé stesso”.

Le università statunitensi sono state particolarmente complici nella continuazione di questa finzione che è la “democrazia israeliana”: i capi delle accademie americane cercano di proteggere Israele dalle critiche, anche se al tempo stesso devono proteggersi dagli attacchi delle lobby filo israeliane che parlano per conto dell'attuale regime israeliano. Mi sembra che tutto questo sia qualcosa di assolutamente perverso, poiché molte delle politiche israeliane oggi siano in ampio contrasto coi principali valori del sistema educativo americano. Paradossalmente, è proprio perché crediamo fortemente nei principi della libertà accademica che il boicottaggio strategico di uno stato che vìola la libertà sopracitata ha pienamente senso.

 

 

 


Fonte: aaup.org

Traduzione: BDS Italia