Un classico argomento che viene mosso contro il BDS (il movimento di boicottaggio disinvestimento e sanzioni nei confronti di Israele), e soprattutto contro il boicottaggio accademico, è sempre stato il presunto “bisogno di relazionarsi” in qualche modo con gli israeliani. Durante i 46 anni di occupazione militare, sono stati numerosi i tentativi di “relazione”, ognuno dei quali è stato caldamente benvenuto da Israele e dalle sue istituzioni accademiche.
L'esempio più recente che si possa fare è la conferenza internazionale di storia orale organizzata dall'Università Ebraica di Gerusalemme, a cui partecipaerà anche il celebre storico italiano Alessandro Portelli. Conferenza i cui argomenti varieranno dallo studio dei traumi, all'Olocausto ai conflitti, ma che eviterranno diligentemente qualsiasi riferimento alla Nakba. [1]
Un'elusione così scontata è diventata un iconico campo di battaglia tra i sostenitori dei diritti palestinesi e i filoisraeliani, che dicono di voler promuovere il “dialogo” e la sopracitate “relazioni”; né si può definire sorprendente il fatto che l'Università Ebraica non voglia parlare della Nakba, vista la sua diretta complicità nella continua oppressione dei palestinesi. La recente Legge sulla Nakba in Israele ne proibisce perfino la commemorazione, evidenziando così come l'elusione dell'argomento da parte dell'università sia parte di un ben più ampio progetto israeliano di negazionismo.
Gli sforzi fatti privatamente per dissuadere i due oratori ingaggiati per la conferenza sono risultati vani, rendendo così evidente come costoro abbiano fermamente sottoscritto il valore di “relazionarsi con le istituzioni israeliane”, nonostante l'Università Ebraica di Gerusalemme, come è stato ampiamente documentato, sia profondamente complice nelle violazioni delle leggi internazionali e dei diritti umani dei popolo palestinese. Dopo aver contattato gli oratori, la pagina web originaria della conferenza è stata modificata, e un ambiguo riferimento comparso sul sito web potrebbe lasciar intendere la possibilità di una qualche discussione riguardante la Nakba.
Le questioni che circondano la pianificazione di questa conferenza vanno ben oltre la partecipazione mal consigliata e mal informata degli oratori: un appello pubblico per boicottare la conferenza è stato sottoscritto da 71 accademici internazionale ad Agosto, e ad oggi il numero di firmatari è salito ad oltre 250 accademici da 19 paesi diversi, inclusi Sud Africa, Brasile, Spagna ed India.
La disputa nata in seno al mondo accademico, e la timidezza degli accademici statunitensi rispetto ad altri internazionali, non è cosa nuova. In più, rappresenta una conflittualità molto profonda, che a toccare direttamente le corde del cosiddetto “relazionamento con le entità israeliane”.
Relazionarsi con le accademie israeliane è una follia.
Gli accademici hanno partecipato a conferenze in Israele, specialmente a Gerusalemme, per cinque lunghi decenni di occupazione, relazionandosi con la loro controparte israeliana. E sarebbe già abbastanza negativo che queste relazioni non hanno portato a nessun miglioramento, ma a rendere peggiori le cose è il fatto che questi accademici sono diventati parte della strategia politica di Israele: ovvero sempre più relazioni, discussioni, incontri, negoziazioni tra le varie controparti fino all'infinito, mentre viene mantenuto lo status quo della situazione. L'attuale fase di queste inutili azioni recentemente iniziate dal Segretario di Stato Americano John Kerry andrà a finire molto probabilmente nel cestino della Storia, come tutte le altre.
In più, sotto l'egida di questi continui negoziati e discussioni (una tattica procrastinatoria sviluppata dal Primo Ministro Shamir negli anni '80), Israele ha pianificato l'espansione degli insediamenti illegali nei Territori Palestinesi Occupati e nelle Alture del Golan per altri 700.000 coloni israeliani, cifra che corrisponde quasi al numero di palestinesi scacciati dalle proprie terre dalle forze israeliane nel 1948, a cui non viene concesso il proprio diritto riconosciute dalle risoluzioni ONU di poter tornare alle proprie case.
Negli oltre 60 anni delle sue esistenza, Israele ha violato le più cruciali risoluzioni ONU riguardanti i diritti dei palestinesi, ha illegalmente colonizzato i territori che ha occupato militarmente, ha vìolato numerosi articoli delle Convenzione di Ginevra, inclusa l'assistenza da fornire alle popolazione civile sotto occupazione militare. E, tra le altre cose, ha rifiutato alle università palestinesi le autorizzazioni ufficiali per operare nelle loro attività, arrivando perfino a chiuderle con la forza per lunghi periodi. Durante questi fatti, né i senati academici né le unioni delle facoltà universitarie israeliani hanno neanche lanciato appelli per la riapertura delle università palestinesi o per la restituzione della libertà accademica in Palestina. Le università israeliane sono loro stesse direttamente complici delle violazioni israeliane dei diritti umani dei palestinesi e delle leggi internazionali, e tutte hanno in qualche modo collaborato con l'occupazione miliare, inclusa l'assistenza fornita al complesso industriale di sicurezza e dell'esercito [2] In questo specifico caso, L'Università Ebraica di Gerusalemme, con il suo campus Mount Scopus, sorge in parte su terra palestinese illegalmente occupata e confiscata.
Ma, al contrario di quanto avvenne contro l'apartheid in Sud Africa, la maggior parte degli accademici nel mondo è rimasta in silenzio per anni, manifestando solamente una tiepidssima opposizione ai crimini israeliani. Solo nel 2005, e seguito dell'appello del PACBI per il boicottaggio accademico, la coscienza di massa ha cominciato a crescere genuinamente nel Regno Unito. Da allora, il BRICUP (Comitato Britannico per le Università in Palestina) si è reso protagonista di molte azioni di successo, incluso il recente boicottaggio del fisico Stephen Hawking dalla conferenza presidenziale in quest'anno; azioni ha galvanizzato e sensibilizzato scienziati e accademici di tutto il mondo [3]
Quattro anni dopo la fondazione del BRICUP e a seguito dell'operazione Piombo Fuso, sono nate campagne similari sia negli Stati Uniti (USACBI) che in Francia (AURDIP). [4] A parte il rifiuto di Hawking di andare in Israele, queste campagne hanno ottenuto risultati molto importanti: ad esempio, negli Stati Uniti l'approvazione di una risoluzione di boicottaggio accademico di Israele da parte dell'Associazione di Studi Asiatici Americano lo scorso Maggio. In Francia, l'AURDIP, sebbene debba guardarsi le spalle dalle politiche repressive promulgato da Sarkozy e tenute implementate sotto Hollande, rimane un'importante camera di compensazione per il boicottaggio accademico, usando tutti gli eventi pubblici possibili per mettere in risalto le complicità delle università francesi con quelle israeliane e per promuovere il movimento BDS.
Ad oggi, esistono campagne di boicottaggio accademico attive in Spagna (PBAI), Berlino (BAB) e India (IncACBI) tutte nate nel 2010 [5], e in Irlanda (AFP), nato nel 2012 [6]. Ma forse il risultato più importante è stato lo sviluppo di un gruppo BDS all'interno di Israele, Boycott From Within. In Spagna, India e Stati Uniti i gruppi di boicottaggio si stanno lanciando contro le partnership con la Technion University israeliana, e perfino in Germania, dove la minima critica ad Israele viene vista con grande sospetto, il BAB si sta opponendo ad un accordo di cooperazione tra la Free University e la Hebrew University.
E ovviamente, questa messaggio si sta diffondendo a macchia d'olio, andando gradualmente a penetrare nei tessuti accademici di tutto il mondo. In risposta, Israele e le lobby sioniste si sono adoperati con grandi sforzi per opporsi alle campagne di boicottaggio, finanziati dai ministeri governativi. Come le task force israeliane create nelle università di Israele arrivate in Gran Bretagna per “spiegare” il bisogno di “relazionarsi e dialogare” con loro. Task force composte da quegli stessi accademici israeliani che per anni si sono rifiutati di relazionarsi con le loro controparti palestinesi e che non hanno mai supportato i diritti umani e civili del popolo palestinese, compreso il diritto all'educazione. E che ora sono trotterellano per il globo per sostenere la “vera vittima” di tutto [Israele], promuovendo il “relazionarsi” con le forze di occupazione sotto la falsa bandiera del dialogo.
L'ultima, ma solo in ordine di fatti, è la campagna governativa per usare gli studenti israeliani contro il boicottaggio. Recenti rivelazioni hanno svelato la creazione di unità segrete nelle università israeliane finalizzate alla cooperazione con l'Unione Nazionale Israeliana degli Studenti attraverso i social media.
Qualsiasi cosa si possa pensare delle università israeliane, non si potrebbe mai comunque definirle come liberali o sostenitrici dei diritti dell'uomo. Pochi mesi prima dell'attacco alla Striscia di Gaza nel 2008, una petizione pubblica per la libertà accademica nei Territori Palestinesi Occupati è circolata tra oltre 10.000 accademici israeliani. Questa mite petizione, in cui non veniva nient'altro chiesto che il governo di Israele garantisse ai palestinesi la stessa libertà accademica offerta alla loro controparte israeliana, fu firmata solamente da 407 docenti, meno del 4% del totale.
Sebbene l'Università di Tel Aviv è stata di gran lunga la più “liberale” di tutte coi suoi 155 firmatari della petizione, nel 2012 Shlomo Sand castigò alcuni suoi colleghi del dipartimento di storia in quanto occultavano la vera problematica vicenda della loro stessa unviersità, costruita sul villaggio palestinese raso al suolo di Sheikh Muwanis [7].
Gli accademici israeliani continuano ad ignorare l'appello della società civile palestinese per il boicottaggio, il disinvestimento e le sanzioni contro l'aggressiva occupazione militare di Israele, affermando invece che gli accademici internazionali dovrebbero “dialogare” coi loro colleghi israeliani. Infatti, la conferenza alla Hebrew University è pubblicizzata come un “luogo in cui saranno dibattuti difficili discussioni sulla memoria e sulle prospettive”. Come al solito, invece che promuovere il dialogo con gli accademici palestinesi, il meglio che gli organizzatori della conferenza riescono a tirare fuori è un riferimento ai “problemi che il paese [Israele] e la regione devono affrontare”. E uno si chiede: l'occupazione è per caso annoverata tra questi problemi?
Si potrebbe obiettare: cosa c'è di cosi sbagliato nel dialogare [con gli israeliani]?
Forse la domanda appropriata dovrebbe essere: “E' moralmente giusto collaborare con un stato razzista, colonialista, militarizzato e militarizzante al fine ripulire la sua immagine dai crimini che ha compiuto? O questo significherebbe il continuo perpetrare di questi crimini?”
I fatti hanno chiaramente dimostrato che il continuo “relazionarsi” con le accademie israeliane non ha portato ad alcunchè, ma che anzi è servito a desensibilizzare la comunità accademica internazionale nei confronti delle realtà della Palestina occupata. Nel caso del Sud Africa, era chiaro come tutte le accademie non avevano la benchè minima intenzione di avere relazioni con l'apartheid, l'unico modo per averci a che fare era opporsi ad esso (boicottarlo, disinvestire, applicare sanzioni) e seguire i consigli dell'ANC.
E anche se non in grande scala come nel caso del Sud Africa, la campagna BDS è risultata efficace. Molti accademici di tutto il mondo sono ora sensibilizzati su cosa significhi diventare complici dell'illegale occupazione israeliana, delle sue politiche coloniali e le sue pratiche di apartheid, e hanno deciso di cancellare le loro cooperazioni con le istituzioni israeliane. La campagna per il boicottaggio della conferenza internazionale di storia orale alla Hebrew University è parte di un crescente sforzo a livello globale per onorare l'appello palestinese al boicottaggio accademico di Israele.
Poichè molti storici orale considerano il loro lavoro come un modo per dare voce agli oppressi, non ci dovrebbero pensare due volte a boicottare questa conferenza, sebbene molti professionisti statunitensi abbiano nascosto la testa nella sabbia, seguendo ciecamente le politiche del loro governo.
Ci chiediamo quale chiamata gli storici saranno disposti ad ascoltare: si piegherrano al richiamo della Hebrew university, magari disposta a fornire generosi rimborsi di viaggio per inglobarli nelle macchina di propaganda israeliana? Oppure, come speriamo, risponderanno all'appello di non attraversa la linea di picchetto posta dai palestinesi, onorando così le basi etiche e morali del lavoro degli storici? [8]
[1] http://it.wikipedia.org/wiki/Nakba
[2] Keller, U. (2009) Academic Boycott of Israel and the Complicity of Israeli Academic Institutions in Occupation of Palestinian Territories. The Economy of the Occupation: A Socioeconomic Bulletin: Alternative Information Centre.
[3] http://www.bdsitalia.org/index.php/ultime-notizie-bac/701-hawking
[4] AURDIP – Association Universitaire pour le Respect du Droit International en Palestine
[5] PABI – La Plataforma para el Boicot Académico a Israel; BAB – Berlin AB; InCACBI – Indian Campaign ACBI
[7] Sand, S capitolo conslusivo de “The Invention of the Land of Israel: From Holy Land to Homeland” Verso, London, (2012) pp. 259-281
[8] http://www.bdsitalia.org/index.php/iniziative-bac/805-conferenza-storia-orale
Fonte: counterpunch.org
Traduzione: BDS Italia