Si riaccende la polemica sulle collaborazioni dell'Università di Torino con il Technion, l'ateneo israeliano finito già l'anno scorso nel mirino degli attivisti pro Palestina. Questa volta a scatenare le proteste degli studenti è la partecipazione al consorzio europeo Eit Food, che a partire dal 2017 avvierà progetti di ricerca sui temi legati all'agroalimentare, e nel quale i ricercatori di via Verdi dovranno collaborare con quelli di Haifa. “Unito si fa di nuovo complice di discriminazioni e violazioni dei diritti umani collaborando con Israele all’interno del progetto europeo” è il duro attacco degli “Studenti contro il Technion” la sigla che riunisce diverse realtà dell'ateneo piemontese che aveva lanciato un appello per il boicottaggio dell'istituto e diverse azioni nelle sedi anche del Politecnico.

Nei prossimi sette anni saranno avviati progetti per centinaia di migliaia di euro su dieta mediterranea e nuove tecnologie legate alla produzione di cibo. “Tra gli obiettivi più importanti del progetto c’è lo sviluppo di nuovi prodotti e servizi alimentari più salutari e sostenibili, ponendo alla base la dieta mediterranea. Israele si può permettere di parlare di “piacere di un’alta qualità gastronomica” e condurre ricerca sui “benefici di un cibo salutare” mentre dall’altra parte del muro in West Bank o nella Striscia di Gaza oltre il 70 percento dei palestinesi non ha nemmeno accesso ad un’alimentazione adeguata, che porta così ad un alto tasso di malnutrizione, malattie e mortalità infantile” scrivono ancora gli attivisti che ribadiscono la richiesta “di interrompere ogni accordo tra l'Università di Torino e il Technion”, promettendo nuove contestazioni.

Il referente torinese del consorzio, Luca Cocolin, cerca di buttare acqua sul fuoco delle polemiche: “Le manifestazioni di dissenso sono legittime però la ricerca è apolitica e non credo che i nostri lavori porteranno danni al popolo palestinese. Il Technion non è stato scelto come partner dall'Università di Torino, ma dal consorzio. E la decisione è arrivata perché è uno dei centri più avanzati nello studio delle tecnologie agroalimentari”.

Al consorzio parteciperanno anche star-up e imprese private, in tutto i partecipanti sono una cinquantina e Torino fa parte del centro “Sud Europa”, insieme proprio a Israele e all'università di Madrid. “Israele è stato costretto a rivelare uno studio in cui si calcolava il numero minimo di calorie necessarie a evitare che la popolazione della Striscia di Gaza morisse di fame, ma mantenendola comunque in una costante situazione di fame – denunciano gli studenti – Questo calcolo è stato tradotto nel numero di camion carichi di cibo che potevano entrare nella Striscia, i quali venivano ridotti, dai 170 necessari al giorno, a 67. Parliamo della qualità gastronomica e del cibo che Israele esporterà e condividerà in questo progetto. Israele sostiene di aver inventato molti piatti della cucina araba e palestinese a scopo politico, per emarginare, screditare ed espropriare il popolo palestinese. Il cibo ha uno stretto legame con la cultura, e nel caso israeliano, l’appropriazione di piatti palestinesi segue una strategia di usurpazione che si ripete nelle politiche israeliane, dalle terre alla cultura”.

Una posizione durissima che coinvolge anche le multinazionali che faranno parte del progetto: “Se il progetto Food4Future si propone inoltre di porre al centro della discussione il ruolo del consumatore come consumatore critico e fautore del cambiamento e la sua consapevolezza riguardo un’alimentazione sana e sostenibile – scrivono nel lungo documento – Con questi intenti è piuttosto paradossale la collaborazione con multinazionali quali Nestlé e PepsiCo, da sempre famose per i danni che il loro cibo-spazzatura provoca ai consumatori e per lo sfruttamento dei lavoratori e dei territori nei paesi in via di sviluppo o sottosviluppati”.

Nel 2017 scadrà uno degli accordi collaborazione tra Torino e il Technion e gli studenti chiedono non sia rinnovato, ma il rettore Gianmaria Ajani già in passato aveva spiegato che i rapporti tra i due atenei “sono pubblici e non hanno nulla a che fare con attività militari”, ribadendo che le attività sarebbero proseguite.

Fonte: La Repubblica