Il “Muro di Ferro” a Gaza

Contrariamente alla solita copertura mediatica, che prende la sua linea narrativa da fonti ufficiali israeliane e statunitensi, l'invasione israeliana di Gaza non è stata una questione di auto-difesa, ma un'offensiva calcolata. Secondo Gideon Levy, come scritto su Haaretz il 13 Luglio 2014, l'obiettivo israeliano era semplicemente quello di uccidere gli arabi per “riportare la calma...Lo slogan della mafia è diventato politica ufficiale israeliana. Israele crede sinceramente che se uccide centinaia di palestinesi nella Striscia di Gaza, regnerà la tranquillità.” Levy non spiega ciò che Israele intende per “tranquillità” o “calma”, o come e da chi tale “calma” è stata interrotta, domande a cui tornerò in seguito. Ma entro il momento dell’accordo per un cessate il fuoco raggiunto il 26 Agosto, quelle “centinaia” di palestinesi morti, secondo le statistiche dell'Ufficio per il Coordinamento degli Affari Umanitari delle Nazioni Unite (OCHA), si erano trasformate in 2.131, il 70% dei quali, da stime delle Nazioni Unite, sono civili, tra cui 501 bambini. Inoltre, i dati OCHA calcolano che circa 10.224 abitanti di Gaza sono stati feriti (citando il Ministero della Sanità palestinese) e 475.000 sono stati sfollati, mentre le forze militari di terra e di aria israeliane hanno distrutto le infrastrutture di Gaza. Questo lascia Gaza, già impoverita da anni da un lungo blocco israeliano ed egiziano, ancora più profondamente nella povertà, con B'Tselem (il Centro israeliano di informazione per i diritti umani nei Territori Occupati) che, a Febbraio 2014, riportava come il “90-95% dei principali rifornimenti di acqua a Gaza non sono potabili, e creano problemi anche in termini di uso agricolo.” Questa crisi idrica in atto non può che essere stata intensificata dalla distruzione delle infrastrutture a cui ha portato l’invasione di Gaza.

Allo stesso tempo, le stime OCHA calcolano il bilancio delle vittime Israele a 71, 66 dei quali sono soldati uccisi durante l'invasione di Gaza. Mia figlia, cittadina israeliana, che vive in Modi'in, mi dice che l'unica interruzione coerente per la vita quotidiana dei suoi e miei tre nipoti è stato il fatto che non potevano andare in spiaggia a Tel Aviv a causa di problemi di sicurezza. In una lettera pubblicata da Jewish Voice for Peace, una famiglia israelo-olandese che stava trascorrendo l’estate a Tel Aviv durante l'invasione di Gaza, rimarcava: "Portiamo i bambini a fare passeggiate serali sulla Rothschild Boulevard; ci fermiamo fuori nella piazza Habima, andiamo in spiaggia e in piscina, di tanto in tanto a cenare fuori… Ci sono voluti pochi giorni, piuttosto disorientati, per arrivare lentamente alla conclusione che la palpabile paura collettiva è sproporzionata rispetto alla minaccia reale.” Sulla base del numero delle vittime civili israeliane, la minaccia sembra essere quasi inesistente.

La discrepanza lorda del numero delle vittime si pone come una chiara figura dell’asimmetria di questa cosiddetta "guerra" o "conflitto", che in realtà non è tale. Piuttosto, in violazione del diritto internazionale, che interdice una potenza occupante di muovere guerra contro il popolo la cui terra sta occupando, questo "conflitto" è una massiccia azione di polizia coloniale, un atto di terrorismo di Stato destinato a "tranquillizzare" una popolazione che resiste ad un’illegale occupazione della propria terra.

Lo storico israeliano Ilan Pappé ha chiamato le ripetute invasioni di Gaza un “genocidio incrementale.” E Gaza è stata definita “la più grande prigione a cielo aperto del mondo.” E lo è per davvero, dato che la libertà di entrare ed uscire dalla Striscia è strettamente controllata da Israele. In una delle zone più densamente popolate del pianeta, gli abitanti di Gaza non hanno letteralmente modo di sfuggire alla violenza israeliana. Se si riconosce queste osservazioni, allora siamo di fronte a una delle terribili ironie della storia: Gaza è diventata un campo di sterminio, gestito da ebrei.

Tuttavia, è importante non far collassare le distinzioni critiche, laddove esistono, tra ebrei e israeliani, tra ebrei e sionisti, e tra israeliani e politica dello Stato di Israele. Vale a dire, è fondamentale riconoscere, sia negli Stati Uniti che in Israele, l'opposizione ebraica e israeliana al colonialismo israeliano a Gaza, in Cisgiordania e a Gerusalemme est. Tale opposizione è, per esempio, rappresentata da Jewish Voice for Peace e B'Tselem. Mentre tale opposizione al terrorismo di Stato israeliano non attenua questo terrore, mira a una coscienza critica attiva all'interno delle comunità ebraiche israeliane e globali che non possono essere cooptato dall’ideologia di Stato, e quindi costituisce una minaccia per quell'ideologia e per la sua forza materiale.

Quello che è fondamentale sottolineare in questo frangente, in relazione alla forza di Israele, è che non sono stati i razzi di Hamas a provocarla. In un articolo pubblicato su The Jewish Daily Forward il 10 Luglio 2014, due giorni dopo l’inizio dell'invasione israeliana di Gaza, JJ Goldberg, editore di grande scala ed ex redattore capo di The Forward, ha scritto una colonna che traccia il "conflitto" a Gaza a partire dal rapimento dei tre adolescenti israeliani in Cisgiordania il 12 Giugno 2014. Goldberg riporta come il governo sapesse da giorni che i ragazzi erano stati assassinati e che Hamas non fosse responsabile. Tuttavia, promulgò la finzione che i ragazzi potessero essere ancora vivi e che Hamas fosse responsabile del rapimento: “Una volta che la scomparsa dei ragazzi è diventata pubblica”, nota Goldberg, “le truppe hanno iniziato una massiccia operazione di ricerca e salvataggio lunga 18 giorni, entrando in migliaia di abitazioni, arrestando e interrogando centinaia di individui, correndo contro il tempo. Solo il 1° Luglio, dopo che sono stati trovati i corpi dei ragazzi, hanno fatto venir fuori la verità: il governo sapeva quasi dal principio che i ragazzi erano morti. Ha supportato la sceneggiata di sperare di poterli trovare in vita come pretesto per smantellare le operazioni di Hamas di Cisgiordania.” Anche se, spiega Goldberg, “era chiaro fin dall'inizio che i rapitori non agivano su ordine della leadership di Hamas a Gaza e Damasco... [Benjamin] Netanyahu [il primo ministro israeliano] ha ripetutamente insistito che Hamas era responsabile per il crimine e avrebbe pagato per questo.”

Come osserva Goldberg, “Hamas non aveva sparato un solo razzo” contro Israele dopo l'ultimo attacco israeliano a Gaza nel 2012 “e aveva in gran parte soppresso il fuoco dei piccoli gruppi jihadisti. I razzi sparati avevano una media di 240 al mese nel 2007, e sono scesi a cinque al mese nel 2013.” Quindi, “il 29 Giugno, un attacco aereo israeliano contro una piattaforma di lancio per razzi uccise un funzionario di Hamas. Hamas protestò. Il giorno dopo lanciò una serie di razzi di fila, i primi dal 2012. Il cessate il fuoco era finito.”

Se volete, lasciate perdere il brutale regime di apartheid che Israele ha imposto sui Territori Occupati a partire dal 1967, in violazione della Risoluzione ONU 242, un regime militare che genera necessariamente resistenza. Considerate solamente la sequenza di eventi, come riportata da Goldberg ed altri, e riconosciuta dal governo israeliano, che portato all’ultimo pogrom israeliano a Gaza. E’ quindi evidente, in questo caso, che come minimo è Israele ad essere il provocatore.  Inoltre, la sceneggiata che il governo ha utilizzato per giustificare l'azione di polizia di massa che ha portato all'invasione di Gaza è profondamente cinica. Nella sua speranza che i ragazzi potessero essere trovati vivi, mostra da subito un assoluto disprezzo per i sentimenti dei genitori dei ragazzi uccisi, per non parlare della manipolazione dell'opinione pubblica israeliana, che è si è esibita in manifestazioni di intensificazione di razzismo anti-arabo.

Quindi, la "calma" che Israele ha cercato di ripristinare con la sua invasione di Gaza è una calma che le sue forze di polizia e militari, non Hamas, hanno in primo luogo distrutto. Goldberg commenta: "Il reato [di sequestro di persona] fece partire una catena di eventi in cui Israele perse progressivamente il controllo della situazione, per finire finalmente sull'orlo di una guerra che nessuno voleva - nè l'esercito, nè il governo, e nemmeno il nemico, Hamas.” Tuttavia, questa spiegazione appare semplicemente come un alibi, e molto debole, per l'azione premeditata di Israele. Per una volta abbiamo considerato l'invasione di Gaza all’interno della storia imperialista e del colonialismo israeliano, risalente agli inizi del sionismo alla fine del XIX secolo, l’invasione di Gaza del 2014 è tutt'altro che accidentale. Al contrario, è infatti parte di una strategia prima elaborata dal vecchio teorico e attivista sionista Ze'ev Jabotinsky. Come osserva lo storico israeliano Avi Shlaim: “La visione del mondo di Jabotinsky si traduce in una concezione geostrategica in cui il sionismo doveva essere alleato in modo permanente con il colonialismo europeo contro tutti gli arabi nel Mediterraneo orientale.” Di fronte alla resistenza degli “indigeni” al colonialismo ebraico, Jabotinsky propose "di erigere un muro di ferro di forza militare ebraica."

E’ della continua costruzione del muro di ferro, con particolare vigore dal 1967, che il mondo è stato testimone. L’invasione di Gaza del 2014 è solo un altro mattone, o forse dovrei dire pezzo di acciaio, del muro. Quello che il mondo si può aspettare, però, è che fino a quando Israele non smantellerà il muro, la resistenza indigena andrà avanti. A questo proposito, come l'ex relatore delle Nazioni Unite per i territori occupati Richard Falk ha sottolineato, la storia anticoloniale è dalla parte dei palestinesi.

 

Il collegamento con la Cornell

Non è un segreto che, per il campus tecnologico a New York City, il partner istituzionale dell’Università Cornell è il Technion-Israel Institute of Technology. Non è un segreto neanche che Technion è sostanzialmente impegnata nello sviluppo di sistemi utilizzati per la militarizzazione dei territori occupati. Il 1° Marzo 2013, la rivista The Nation ha pubblicato un articolo di Adam Hudson (in cui sono stato citato) dal titolo: "Gli allarmanti collegamenti della Cornell NYC Tech con l'occupazione israeliana.” L'articolo osservava che : "Technion svolge attività di ricerca e sviluppo di tecnologia militare su cui Israele si basa per sostenere la sua occupazione della terra palestinese. Ad esempio, Technion ha sviluppato un bulldozer D-9 telecomandato per l'esercito israeliano, che ha utilizzato durante l'Operazione Piombo Fuso [a Gaza], una guerra che ha ucciso circa 1.400 palestinesi, in gran parte civili... Technion ha anche partnership con aziende di armi israeliane, come la Elbit e Rafael. Elbit fornisce apparecchiature di sorveglianza per il muro di separazione [in Cisgiordania], come ad esempio telecamere e droni, mentre Rafael produce missili che vengono montati sui droni e un sistema di armatura protettiva per il carro armato MK4 delle Forze di Difesa Israeliane... Technion è anche leader nello sviluppo nella tecnologia per droni, che Israele ha dispiegato nei territori occupati.”

Potrebbe sorgere la domanda, quindi, almeno in alcune menti, sulla possibile complicità di Cornell con la politica dello Stato di Israele nei Territori, compresa l'ultima invasione di Gaza e il blocco in corso, che Hamas chiede, ragionevolmente, di essere annullato come condizione per un cessate il fuoco permanente. Mentre da un punto di vista si potrebbe dire che la Cornell è esente da colpe in questa materia perché il suo coinvolgimento con Technion si concentra sullo sviluppo di tecnologie pacifiche; da un'altra prospettiva, si potrebbe vedere questo come un caso in cui la mano destra non sa cosa la mano sinistra stia facendo; cioè, di complicità e di negazione.

A complicare questo punto di vista c’è il fatto che la partnership con Technion è stata costituita senza alcuna consultazione con la Facoltà di Cornell, come prescritto dallo Statuto dell'Università, dove all'articolo XIII, paragrafo 2, troviamo il seguente: "Le funzioni della Facoltà dell’Università è di esaminare questioni di politica educativa che riguardano più di un collegio, scuola o unità accademica indipendente, o che sono di natura generale.”

Voglio evidenziare ciò che si intende con il termine "Facoltà dell’Università,” ovvero un organo rappresentativo di tutta la facoltà, cioè il senato di facoltà. Evidenzio anche, anzi sembra abbastanza ovvio, che la formazione di partnership con altre istituzioni educative al fine di attuare corsi di studio e di ricerca è una questione di "politica educativa che riguarda più di un collegio, scuola o unità accademica indipendente, o in generale.” Questo è chiaramente il caso della collaborazione con la Technion.

Sebbene la relazione del Senato di facoltà con l'amministrazione universitaria sia solo consultivo, il senato è o dovrebbe essere un importante forum per la discussione di questioni che riguardano la governance dell'università. Sospendendo, nei fatti, la sezione dell’articolo XIII sopracitato nel caso Technion, l'amministrazione non solo ha apparentemente violato una legge dell'università che ha a che fare con la governance condivisa, ma ha soffocato il dibattito cruciale su una questione critica. Questo stesso modello di soffocamento del dibattito è stato seguito nella primavera del 2014 da parte dell'Assemblea degli studenti, che ha presentato una risoluzione, proposta dal collettivo Studenti per la Giustizia in Palestina della Cornell, per disinvestire a tempo indeterminato da Israele, impedendo così ogni discussione in merito alla votazione della risoluzione.

Queste azioni da parte dell'amministrazione e dell'assemblea degli studenti sollevano seri interrogativi sulla libertà accademica. L’ironia è che, secondo l’amministrazione, che ancora una volta ha parlato per l’intera Cornell University senza consultazioni con la facoltà, ha condannato l'American Studies Association (ASA) per aver approvato il boicottaggio accademico delle istituzioni accademiche e culturali israeliane, poiché a detta dell’amministrazione un tale boicottaggio viola i principi di libertà accademica. L’ironia è che, quando si è presa a cuore la causa della libertà accademica, l'amministrazione non ha detto nulla circa la sospensione di Israele della libertà accademica nei territori occupati. Né l'amministrazione ha protestato la sospensione della libertà accademica nei campus degli Stati Uniti dove è stato negato ad eminenti studiosi il titolo di docenti di ruolo, come a Norman Finkelstein e a Steven Salaita, che sono stati critici della politica dello Stato di Israele in Palestina, e hanno subito la perdita dei loro posti di lavoro a causa dei loro punti di vista. Inoltre, durante l'invasione di Gaza, sono state implementate nelle università israeliane limitazioni alla libertà accademica, in quanto riguardavano critiche a quella invasione, senza alcuna critica da parte della Cornell e di altre amministrazioni universitarie che portano la fiaccola della libertà accademica, ma solo in apparenza, quando non minaccia i loro interessi corporativi.

Sul sito della Cornell si può leggere quanto segue: "Da 150 anni, gli appartenenti alla Cornell hanno considerato varie questioni del mondo come loro sfide dirette. I risultati migliorano il modo in cui viviamo.” Data la collaborazione di Cornell con Technion, il modo in cui il partenariato è stato formato, e il silenzio di Cornell su Gaza, dobbiamo leggere anche questa affermazione con una certa ironia. Perché è chiaro che la Cornell, nel suo profilo pubblico, stia evitando di considerare alcune delle questioni più pressanti del mondo e che, pertanto, il "noi" le cui vite sono migliorate da Cornell ha un referente limitato, che non sembra includere i palestinesi che resistono al colonialismo israeliano.

 

 

 

 

 

 

 

Fonte: mondoweiss.net

Traduzione: BDS Italia