I tentativi da parte delle università israeliane di punire gli studenti e docenti che hanno protestato contro la guerra di Gaza sono stati una sfida profonda a chi, come me, si era opposto al boicottaggio accademico di Israele.
di Amir Hetsroni
La persistente guerra di Gaza e ora (forse) le sue conseguenze hanno portato ancora una volta alla ribalta la questione di un boicottaggio internazionale di Israele. Prima di rispondere se un tale boicottaggio sia giustificato date le mutate circostanze, e se derivi o no dall'effettivo riconoscimento della brutalità inaccettabile del comportamento di Israele e non da puro antisemitismo, dobbiamo prima chiarire di cosa stiamo parlando.
Il movimento BDS (Boicottaggio, Disinvestimento, Sanzioni) fa appello a persone e istituzioni di tutto il mondo perché si astengano dal cooperare con Israele in qualsiasi campo - dal commercio, al turismo, alla ricerca scientifica. Questi appelli sono forti e pubblici, ma spesso i loro effetti non vengono dichiarati dai canali ufficiali, passando in silenzio ma non inosservati. Quando, per esempio, le vendite di manghi israeliani in Scandinavia scendono di oltre il 50 per cento in un solo mese (come è successo di recente) non è solo a causa della riluttanza delle catene di alimentari nordiche a commercializzare la frutta israeliana, ma anche perché i loro consumatori lasciano sugli scaffali i prodotti "Made in Israel".
Accanto al boicottaggio ideologico, esiste anche un 'evitamento' non-ideologico di Israele e dei suoi prodotti. Se un gran numero di turisti cancellano i loro piani di vacanza in Terra Santa (come molti hanno fatto di recente), non è necessariamente perché questi turisti sono contro l'occupazione. Molto probabilmente, semplicemente preferiscono prendere il sole su una tranquilla isola greca che cercare riparo dai missili sulla spiaggia di Ashkelon. Questo tipo di evitamento è inevitabile fintanto che Israele continua ad essere un luogo pericoloso con un'immagine decisamente offuscata da immagini di guerra e di terrore. L'evitamento non ideologico opera anche in ambito scientifico: solo la scorsa settimana ho ricevuto una nota da una collega polacca che doveva venire in Israele per esaminare i piani per un progetto di ricerca congiunto, che mi chiedeva di incontrarla invece a Varsavia, spiegandomi che per nessun progetto di ricerca vale la pena rischiare la vita.
Eppure, nel mondo accademico - più che in altri campi - quella del boicottaggio politico è una questione molto controversa. Nel corso degli ultimi anni, e in particolare dopo che il centro accademico di Ariel, un insediamento in Cisgiordania, è stato convertito in un'università dedicata alla ricerca, ci sono state numerose campagne per il boicottaggio delle università israeliane - e in particolare di quella di Ariel, a causa di il suo contributo attivo all'occupazione della nazione palestinese. L'atteggiamento tipico della maggior parte degli accademici in Israele e all'estero, compresi quelli di sinistra, è stato che un boicottaggio politico sarebbe ingiustificato, sia perché basato su motivi 'non-accademici (e pertanto 'irrilevanti' o estranei), sia perché comprometterebbe la libertà accademica di chi fa ricerca negli istituti boicottati.
Una volta condividevo questa posizione. Purtroppo, di recente ho dovuto cambiare idea. Continuo a pensare che un boicottaggio accademico in base a ragioni non accademiche sia ingiustificato, ma qualcosa di profondo è successo nel mondo accademico israeliano durante la guerra di Gaza, qualcosa di abbastanza grave da farmi credere che il boicottaggio non è più fuori questione, in alcuni casi.
Sto parlando dei tentativi innegabili dal management accademico di impedire a studenti e docenti di esprimersi, e di punire coloro che protestano contro la guerra. Allo Israel Institute of Technology uno studente di medicina di origine araba è in procinto di affrontare un processo per aver scritto sulla sua pagina Facebook una battuta sui tre ragazzi rapiti e assassinati nei pressi di Hebron.
L'Hadassah College di Gerusalemme e il College della Galilea Occidentale di Acre hanno sospeso la borsa di studio agli studenti che hanno scritto che le attività di Israele nella Striscia di Gaza sono crimini di guerra. Oltre a questo il College di Hadassah ha aggiunto una multa di 6.000 sheqel [circa 1.300 euro]. I presidenti dell’Università di Tel Aviv e della Ben-Gurion University hanno invitato i loro studenti e i loro docenti a esprimersi con moderazione.
L'Università di Ariel - come ci si potrebbe aspettare da un istituto conosciuto pubblicamente come avamposto accademico di destra - ha avvertito gli studenti e i docenti che ogni affermazione contraria ai principi sionisti viola il codice disciplinare dell'università e sarà trattata di conseguenza.
Ovviamente, i tempi di guerra non sono il periodo migliore per cambiare delle opinioni radicali, ma sono anche il momento in cui si fa più urgente impegnarsi per la libertà di parola e la libertà accademica. Un College che vieta agli studenti di partecipare a manifestazioni di protesta politica non è un istituto accademico. Un'università che pone il veto al diritto dei suoi docenti di pubblicare ricerche non-sioniste (per non paralare di quelle anti-sioniste) non è un'università. In questi casi un boicottaggio accademico potrebbe essere una risposta accettabile - non perché gli istituti sono collocati in terreni politicamente controversi, ma dal momento che mostrano una mancanza di rispetto per i principi di base della scienza e della democrazia. In altre parole, non è la posizione, ma il comportamento, e dovrebbe essere ovvio a tutti che in questo non c'è nessun accenno di antisemitismo.
Amir Hetsroni è un professore di comunicazione presso l'Università di Ariel, un'università israeliana si trova in Cisgiordania. L'articolo esprime la sua opinione e non rappresenta il punto di vista dell'università.
[N.d.T.: Poche ore dopo la pubblicazione di questo articolo il prof. Amir Hetsroni ha ricevuto una lettera di licenziamento dall'Università di Ariel in Cisgiordania]
Fonte: Haaretz
Traduzione di Federico Zanettin / BDS Bologna