In generale, i palestinesi che lavorano per gli israeliani in Cisgiordania odiano gli insediamenti e l’occupazione. Ma devono sfamare le proprie famiglie, quindi mettono da parte l’orgoglio.
di Larry Derfner
I sostenitori dell’occupazione israeliana hanno trovato dei nuovi portavoce: i lavoratori palestinesi nella fabbrica in Cisgiordania della società israeliana SodaStream, diventata nota via la campagna BDS e Scarlett Johansson. Giornalisti del Christian Science Monitor, del Telegraph e altri media hanno visitato lo stabilimento di Mishor Adumim, hanno parlato con alcuni dei 500 palestinesi che vi lavorano e li hanno riferito che sono contro il boicottaggio. Che minacciavo il loro sostentamento. Avrebbero avuto difficoltà trovare un lavoro presso una società palestinese e nessuna possibilità di trovare uno che pagasse bene come SodaStream, che, hanno detto, li tratta in modo equo.
“I lavoratori palestinesi sostengono l’opposizione di Scarlett Johansson al boicottaggio di SodaStream” è stato il titolo del Christian Science Monitor. “Qui servono 1000 SodaStream” il titolo del Telegraph, tratto da una citazione di un lavoratore palestinese presso la fabbrica.
Per chi non capisce l’occupazione (comprese anche persone intelligenti, informate, liberali come Scarlett Johansson), questa è una testimonianza molto persuasiva. E così gli hasbaristi (propagandisti, ndt) l’hanno subito accolta. Il sito Honest Reporting, uno dei più noti dei molti “osservatori dei media” filo-israeliani e anti-arabi, ha pubblicizzato i racconti dei palestinesi sul proprio sito in articoli come “Combattere il BDS – Parlano i lavoratori della Sodastream” e “SodaStream mostra che è il BDS il vero ostacolo alla pace”.
La freddezza di questi propagandisti è tale che il burro non si scioglierebbe nelle loro bocche. A dire il minimo, è piuttosto cinico usare i lavoratori palestinesi come un’arma contro il boicottaggio e, per estensione, a sostegno degli insediamenti e dell’occupazione. Cinico perché quei palestinesi non sostengono a fatto gli insediamenti o l’occupazione. Alcuni cercano di non pensarci, altri sono riluttanti a parlarne ad alta voce, ma la maggior parte di loro, se il capo non c’è, vi dirà che chiaramente sono contro gli insediamenti e il domino di Israele, ma devono sfamare le loro famiglie.
Il Christian Science Monitor ha trovato un lavoratore palestinese di SodaStream che ha detto così:
“Mi vergogno di lavorare qui”, ha detto. “Credo che questa sia la nostra terra, non ci dovrebbero essere fabbriche [israeliane] su questa terra”.
Ho sentito cose simili nel gennaio 2010, durante il cosiddetto congelamento degli insediamenti, da diversi lavoratori palestinesi che costruivano nuove case a Modi’in Illit e Givat Ze’ev. Dal mio articolo sul Jerusalem Post (i palestinesi vanno tutti sotto pseudonimi):
“Se potessi lavorare a Ramallah per la metà dei soldi, lo farei, ma lì non c’è lavoro” ha detto Taher.
“Mi fa male che stanno costruendo insediamenti, ma ho 10 figli da sfamare”, ha detto Ibrahim. “Lascia perdere, non esiste nessun congellamento. Gli insediamenti sono come un cancro – sono troppi per essere fermati”.
“Certo che sono contro gli insediamenti, ma non ho scelta, devo sfamare la mia famiglia”, ha detto Ghassan.
E per quanto SodaStream possa trattare in modo giusto i suoi lavoratori palestinesi, la giustizia è tutt’altro che la norma tra i datori di lavoro israeliani in Cisgiordania, in particolare le imprese edili, secondo quello che mi ha detto Salwa Alenat, responsabile per la Palestina dell’ONG israeliana per i lavoratori Kav LaOved:
“Hanno gli stessi diritti legali dei lavoratori israeliani, ma la maggior parte viene imbrogliata in un modo o l’altro. Alcuni vengono pagati la metà del salario minimo, altri solo un terzo. C’è una pratica diffusa di non pagare gli straordinari, di non dare congedo per malattia o ferie per le vacanze e di non pagare l’indennità di licenziamento. I palestinesi non modo di fare ricorso, quindi molti dei datori di lavoro credono di poter farla franca in qualsiasi caso. Fanno fare ai lavoratori ogni sorta di lavori estremamente rischiosi. Ho decine di casi di palestinesi gravemente feriti sul posto di lavoro che non hanno ottenuto niente – nessuna cura medica e nessun risarcimento”.
Tuttavia, per quanto possano essere cattive le condizioni di lavoro nei cantieri israeliani in Cisgiordania, Alenat mi ha detto che la lotta per farsi assumere è così disperata che alcuni palestinesi in cerca di lavoro hanno informato sui loro rivali alle autorità israeliane.
Ed erano tutti contro il congelamento degli insediamenti, per quanto è stato un congelamento, esattamente come sono anche probabilmente contro il boicottaggio. Ma non perché sono a favore degli insediamenti che rubano la loro terra, e non perché gli piace che i soldati israeliani siano i loro padroni. A nessuno di loro piace tutto ciò, e la maggior parte lo odia. Devono sfamare le loro famiglie, tutto qua, quindi mettono da parte l’orgoglio.
Vorrei che ci fosse un modo di porre fine al furto della terra dei palestinesi, della loro libertà e del loro orgoglio con mezzi diversi dal boicottaggio. Non ho nessun desiderio di far perdere il lavoro a nessuno, palestinese o ebreo. Ma il boicottaggio sta funzionando dove le elezioni, le manifestazioni, le parole, la nonviolenza palestinese e Obama hanno tutti fallito.
Se qualcuno mi sa indicare un modo per porre fine all’occupazione che non costerà a nessuno il proprio lavoro – e che non sia un fallimento già provato – sarò lieto di sostenerlo. Ma nessuno l’ha fatto fino ad oggi. Quindi fino ad allora, vedrò il boicottaggio non come qualcosa per cui gioire, ma come il minore di due mali, il più grande dei quali è l’umiliazione che Israele impone ai palestinesi, perfino quelli che lavorano per la SodaStream.
Fonte: 972 Magazine
Traduzione di BDS Italia