Martedì scorso, 343 accademici britannici hanno firmato una lettera aperta pubblicata sul “The Guardian” impegnandosi a boicottare le istituzioni accademiche di Israele, un numero che da allora è salito ad almeno 600, secondo il sito del movimento. La mossa è stata elogiata dai gruppi di difesa dei palestinesi, per l'invio di un messaggio forte, e denunciata dai gruppi filo-israeliani come scorretta per degli accademici e dannosa per il processo di pace israelo-palestinese.
“Lo studente” (giornale studentesco dell'Università di Edimburgo) ha parlato di questa iniziativa con il professor Jonathan Rosenhead della London School of Economics, uno degli artefici della lettera di boicottaggio. Intervista condotta da Ethan DeWitt.
Lo Studente: Il movimento Boicottaggio Disinvestimento e Sanzioni opera da anni ormai, e vari boicottaggi accademici hanno circolato in questo periodo. Qual è stato l'impulso per questo in particolare?
Professor Jonathan Rosenhead: L’appello al boicottaggio è stato fatta dalla società civile palestinese nel 2004. E molte persone in Gran Bretagna hanno aderito da quel momento con una buona dose di successo. E sempre più persone man mano sono state coinvolte a causa del comportamento e delle politiche di Israele. E ciò che è successo è che c'è stato un graduale cambiamento di vedute all'interno delle comunità accademiche.
Così, quando ho iniziato a farmi coinvolgere in questa campagna 10 anni fa, sostenere un boicottaggio era quasi eretico. Ed ora è compreso e accettato il fatto che, anche se non tutti sono d'accordo, si tratta di una posizione che è perfettamente accettabile. La situazione è cambiata . E ci si sta avviando sempre più verso il punto in cui le persone sono costrette a cominciare a spiegare perché non sostengono le posizioni del boicottaggio e perché devono.
Ora, ciò che ha provocato questa particolare situazione sono stati gli eventi dell'estate scorsa, quando Israele attaccò Gaza, e [ migliaia di] persone furono uccise. E tutti – con chiunque io parlassi – eravamo scioccati e ci siamo chiesti 'cosa possiamo fare?'. E abbiamo pensato – era l’unica cosa che potevamo cercare di fare - di vedere se la gente era disposta non solo a boicottare i rapporti con le università israeliane [cosa che molti stavano già facendo privatamente], ma se era disponibile a venire fuori pubblicamente e dire 'lo stiamo facendo'. E dopo aver fatto una indagine abbiamo scoperto che era l’occasione buona, e abbiamo reclutato 343 persone attraverso una operazione di messa in rete di gente che diceva “Bene, lo passerò ai miei amici e vedrò se sono d’accordo”
Non volevamo rendere la cosa pubblica prima di aver raccolto un sacco di firme perché il potere della lobby pro-Israele è formidabile, e avrebbe potuto fare cose che avrebbero impaurito altre persone trattenendole dal partecipare.
Qual è l'impatto diretto che un boicottaggio accademico di questo tipo ha sulla politica del governo? Hai visto esempi diretti di questo genere di cose influenzare il comportamento del governo in Israele?
Oh no, tutto in Israele va sempre peggio.
Allora qual è il preciso intento di un boicottaggio accademico; come si fa a vedere che sta aven do un impatto?
Prima di tutto, questo fa parte di un movimento globale di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni. Non si tratta della totalità, si tratta di uno dei suoi aspetti di avanguardia, e, naturalmente, c’è una risonanza mediatica quando altri si uniscono pubblicamente. È abbastanza chiaro che l'impatto non consiste nel cambiare le politiche del governo in Israele, ma nel mettere in discussione la continuazione di rapporti con Israele come se nulla fosse, tanto che il governo israeliano e il presidente israeliano sono entrambi là a dire che Israele ha due minacce strategiche: una è la possibilità che l'Iran possa avere armi nucleari, e l'altro è il movimento Boicottaggio Disinvestimento e Sanzioni. E hanno creato specifici ministeri - commisssioni apposite - con questo compito: come possono far fronte al Movimento di Boicottaggio Disinvestimento e Sanzioni. Compito molto difficile: il Movimento è complesso è, di base, dal basso verso l'alto. Sa, continuano a cercare di capire da dove prendiamo i soldi. Noi non abbiamo soldi!
Così ha visto che questa preoccupazione ha messo radici nel governo israeliano?
Oh, sì, assolutamente. Sanno che si tratta di una questione seria: se potranno continuare con questa strategia di discriminazione, l'esclusione dei palestinesi, la confisca di terre e la costruzione di insediamenti, e il tentativo di creare una grande Israele al di là della linea del cessate il fuoco del 1948.
Ci sono alcuni forti critici del boicottaggio: l’ ambasciatore israeliano e l'Unione degli studenti ebrei hanno entrambi rilasciato dichiarazioni di condanna. Una critica specifica è che se avete intenzione di provare a ottenere un cambiamento, il mondo accademico è il posto sbagliato per farlo: è sproporzionata ed è un attacco indiretto che colpisce ingiustamente persone che non sono realmente implicate nella questione. Come risponde?
Allora, prima di tutto, che l'ambasciatore israeliano e l'Unione degli studenti ebrei dicano cose negative su questo argomento non è così sorprendente. Nelle parole di Mandy Rice-Davies: "lo direbbero, non è vero?"
Ora sulla questione se in realtà è il bersaglio sbagliato: prima di tutto è parte della campagna generale contro tutta Israele. Non si può dire che un suo aspetto specifico è inadeguato perché non prende di mira l'intero. Quindi ci sono il boicottaggio dei consumatori e il boicottaggio contro il commercio dei diamanti di Israele, e il boicottaggio delle imprese che commerciano nel territorio e così via.
Ma in particolare, le università fanno parte di questa grande Israele, che opera da 50 anni integrando le economie degli insediamenti con l'esterno. Non vi è nessun settore innocuo e pulito in Israele. Tutte le università israeliane sono implicate in cose che hanno a che fare con l’occupazione.
Prendiamo anche il campo più apparentemente astratto come la filosofia – che cosa pensa che dovrebbe fare un filosofo? Beh, un filosofo potrebbe elaborare una forma pubblica della politica del governo israeliano di rappresaglia non proporzionale, che diventerebbe la dottrina della politica militare israeliana.
Ci sono persone (nelle università) che hanno progettato i bulldozer blindati, telecomandati, che demoliscono le case palestinesi. Ci sono scienziati tecnologici universitari che creano apparecchiature speciali per il rilevamento di tunnel palestinesi che sarebbero altrimenti utilizzati per rompere l'assedio, e così via. Corsi speciali e dispense speciali per formare persone che servono nell'esercito. È un elenco infinito.
Quindi, solo per restringere il campo: la lettera che avete pubblicato sul Guardian sembra avere l'ambizione generale di prendere di mira le università e non i singoli accademici. Ha menzionato ciò che le università in generale stanno facendo per perpetuare il conflitto, ma ha parlato con singoli studiosi o professori laggiù? Pensa che siano indipendenti dal proprio governo, o li vede come parte del problema?
Tutti dicono che l'accademia israeliana è più liberale rispetto al grande pubblico. E non ho alcun motivo di dubitarne. Questo è quello che dicono certamente quando gli accademici stranieri vanno a visitarli - si esprimono in modo critico verso queste politiche governative. Ma non fanno nulla pubblicamente. Quindi è difficile sapere se stanno solo dicendo questo perché sanno che è quello che i loro visitatori vogliono ascoltare, o se effettivamente prendono sul serio la loro politica.
Quando ci sono state delle occasioni di esprimere seriamente le loro opinioni, se hanno opinioni serie, le hanno mancate, Per esempio, deve essere stato circa tre o quattro anni fa, c'erano credo quattro accademici israeliani senza connessioni o pressioni dall'esterno che facevano circolare una mozione - non riesco a ricordare se era una petizione o una lettera o qualcosa- che fosse sostenuta da accademici israeliani. E l’ hanno indirizzata individualmente ad ogni singolo accademico israeliano: 10.000 in tutto.
Così hanno raccolto tutti i loro nomi e i loro indirizzi di posta elettronica, e così via, chiedendo loro di condividere alcuni principi di base. Del tipo: ci opponiamo agli ostacoli che impediscono agli studenti palestinesi di andare in qualsiasi altra università rispetto a quella che c'è nelle vicinanze; ci opponiamo alle restrizioni degli accademici palestinesi di andare a tenere conferenze all'estero. Sai, cose abbastanza banali sulla libertà accademica che si potrebbe pensare che qualsiasi accademico sosterrebbe. Non c'è bisogno di essere un radicale per sostenerli. Ma tr aquesti 10.000 nomi, ci sono state 470 firme. Ecco, questo è il 4 per cento. Non è un granchè. E forse nel contesto, quei 407 (?) sono abbastanza coraggiosi. Ma dimostra che se sono radicali, il clima politico in Israele impedisce loro di dire nulla a riguardo.Il nostro obiettivo è di cambiare la situazione, dicendo al pubblico israeliano in generale: se continuano con le loro politiche, ci saranno delle conseguenze. E Israele, alla fine, proverà alcuni degli svantaggi che i palestinesi hanno già.
Ha detto in altre dichiarazioni che sembra esserci una propensione a fare di più - che ora che ha pubblicato questa lettera, sempre più studiosi si sentiranno sicuri nell’ uscire allo scoperto e nel sostenerla. Andando avanti, e ipotizzando che il governo israeliano non cambierà in tempi brevi la propria politica, ha intenzione di concentrare l’attenzione sull’aumento del numero di accademici, o ci sono altre cose che si dovrebbero prendere in considerazione nel boicottaggio?
Beh, questo ha del tutto a che fare con un boicottaggio accademico; si tratta di un impegno nel nostro stesso settore in cui operiamo, dove abbiamo un determinato motivo per parlare con la gente.
Volete cercare di ottenere che le stesse università siano coinvolte?
Questo è un lungo cammino in avanti e non è chiaro se le università o le istituzioni vogliano farlo. Quindi non è qualcosa a cui abbiamo pensato particolarmente .
Quello che stiamo ottenendo in questo momento è un diluvio di firme in arrivo. Così il giorno in cui abbiamo pubblicato, il numero di firme è passato da 340 e rotti a più di 500, e ce ne sono ancora in arrivo in massa. Penso che dobbiamo verificare quanto è forte il nostro sostegno . Ma certamente esiste la possibilità, dal momento che si tratta di persone che si sono esposte pubblicamente , che siano disponibili a lavorare in particolari campagne che potranno essere portate avanti nel futuro.
Che cosa possiamo fare dipende da quanti siamo.
Fonte: The Student
Traduzione BDS Italia