Dibattiti annullati. Studiosi screditati. Attacchi sulla stampa. Da Roma a Londra: negli atenei Ue va in scena lo scontro con Tel Aviv. Tra censure e sabotaggi.
di Ranieri Salvadorini
I primi fatti risalgono a febbraio. L’Università di Roma Tre ha revocato aula e logo al noto storico israeliano Ilan Pappé a tre giorni dell’incontro «Europa e Medio Oriente oltre agli identitarismi», previsto per lunedì 16.
Per gli organizzatori l’università avrebbe ceduto a pressioni dell’ambasciata israeliana, mentre il rettore Mario Panizza ha minimizzato, parlando aLettera43.it di «errore procedurale».
Panizza ha offerto un’altra aula rispetto a quella stabilita, ma gli organizzatori hanno rifiutato: «Richiedendo (…) di rimuovere i loghi dell’Università da tutti i volantini e gli inviti, cancellando le informazioni dell’evento dal sito dell'ateneo, l’evento era stato delegittimato».
UNIVERSITÀ TROPPO TIMIDE. Da questi fatti ha preso corpo A call for academic freedom, appello pubblico in cui si racconta l’accaduto e si denuncia, con il dietrofront dell’università romana, la pratica di un «doppio standard» in tema di libertà d’espressione: siamo tutti Charlie Hebdo, ma se c’è da aprire un confronto su Israele e Palestina le cose si complicano.
Pochi giorni dopo, alla facoltà di Ingegneria della Sapienza di Roma un episodio simile, con la revoca dell’aula per la proiezione di The Fading Valley della regista israeliana Irit Gal. Il film denunciava l’accesso all’acqua interdetto ai palestinesi.
Analizzando le opinioni raccolte da Lettera43.it sull’episodio romano emerge un’università timida, avulsa dalla realtà.
CALL PARLA DI «DOPPI STANDARD». Così l’accademia, da luogo di produzione di sapere critico, si trasforma in incubatrice di spiriti innocui e conformisti.
«Sembra che in Italia, come nel resto dell’Europa, offendere i musulmani con vignette sul Profeta sia diventato un tema sacro della libertà di parola, mentre quella sul Medio Oriente e la Palestina è limitata, se non interdetta», scrivono gli estensori di Call. «I doppi standard e l'eccezionalismo manifestati nel caso di qualunque dibattito su Israele ridicolizzano il discorso sulla libertà di parola che è stato devotamente avanzato in Francia in seguito agli orribili attentati di Parigi».
Gli atenei votano il boicottaggio, Battista: «Schifezza antisemita»
È di inizio marzo il voto positivo della School of Oriental and African Studies (Soas) di Londra al boicottaggio accademico di Israele, nell'ambito della campagna globale Boycott, Divestment and Sanctions (Bds) e - spiega l'antropologa Ruba Salih - è in corso la mobilitazione perché la British Middle East Studies Association Conference faccia lo stesso, a maggio.
Un'iniziativa controversa, che il vicedirettore del Corriere della sera Pierluigi Battista - sul numero del 9 marzo - ha definito una «schifezza anti-semita», che supera «ogni limite di decenza».
Di tutt'altro avviso Salih: «Tramite i confronti sul Bds si mettono a nudo i legami militari, culturali ed economici del sistema accademico israeliano con l’occupazione, quindi viene meno l’idea cardine che la comunità accademica, in Israele, sia un’oasi di democrazia».
Il Bds, dice l'antropologa, spiazza il governo israeliano, «abituato ad agire impunemente, perché è una sorta di pressione che viene dal basso, frutto di dibattiti e processi democratici in sedi disparate (da congressi accademici, a students unions)».
STEFANINI: «STUDENTI E DOCENTI HANNO PAURA». Per Angelo Stefanini, direttore del Centro di Salute internazionale dell’Università di Bologna nonché responsabile di programmi di salute pubblica sia per l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) sia per il governo italiano, il clima è pesante: «Percepisco che i miei studenti, quelli che seguono i temi sulla responsabilità sociale della scienza, hanno paura, per non parlare dei docenti», dice aLettera43.it. «A Bologna c’è un gruppo di studenti israeliani molto aggressivo e, anche se non ci sono intimidazioni dirette, c’è un’atmosfera che manda un messaggio molto chiaro: ‘Queste cose non si fanno, altrimenti ci sono conseguenze che ricadono sulla tua testa’».
Solo un sentore? Può darsi, tuttavia Stefanini si è “guadagnato” negli anni varie menzioni (su siti come Honest Reporting), in cui si invitano i lettori a scrivere (nel suo caso al Lancet) per screditare l’autore e il suo lavoro.
BENEDUCE: «L'UNIVERSITÀ PUÒ ESSERE DECISIVA». La campagna Bds ha lanciato l’idea, raccolta da Carlo Tagliacozzo, di invitare Omar Barghouti all’Università di Torino. Nome ignoto ai più, l’intellettuale e attivista palestinese è cofondatore del Bds e membro del comitato per il boicottaggio accademico e culturale di Israele. L’incontro è previsto per giovedì 19 marzo alle 17 (mercoledì 18 Barghouti ha parlato a Roma Tre, con l'università che ha prestato l'aula ma non il logo). Niente pressioni a Torino? Per l’antropologo Roberto Beneduce «hanno prevalso messaggi obliqui: l’organizzazione di un contraddittorio, ad esempio, non è stata possibile».
Le persone invitate hanno tutte declinato: chi per impegni, chi perché in disaccordo, chi perché ritiene che una voce dissenziente non troverebbe ascolto. Interviene invece via video l’attore Moni Ovadia. Prosegue Beneduce: «L'università può avere in questo intrico un ruolo decisivo, e creare uno spazio dove discutere ciò che sembra essere diventato impossibile pensare».
Il caso Manduca: quelle denunce nel mirino dell'accademia israeliana
L’accademia israeliana, mobilitata dai media, scrisse al direttore e all’editore stesso della rivista - Elsevier - per chiedere la rimozione sia del documento sia dello stesso Horton, la cui gestione del Lancet sarebbe «tendenziosa» e «faziosa».
Il Jerusalem Post, per esempio, ospitò le lettere di diversi esponenti autorevoli, come David Katz, professore emerito di immunopatologia a Londra e capo della Jewish Medical Association Uk, e altri ancora (qui le lettere).
LA DOTTORESSA ACCUSATA DI ANTISEMITISMO. Gli attacchi sono andati crescendo, ma Horton non ha desistito. L'israeliana Ngo Monitor disse di avere trovato «prove che mostrano i legami tra due importanti autrici della lettera (Paola Manduca e Swee Ang, ndr) e David Duke, ex leader statunitense del Ku Klux Klan e attivista per la “supremazia bianca”».
L’accusa, per la genetista italiana e per Ang, sarebbe di aver fatto circolare un video antisemita (Cnn, Goldman Sachs & the Zionist Matrix) firmato Duke.
Infine fu il Jerusalem Post a “spiegare” tanta aggressività nei confronti della dottoressa, quando scrisse che Manduca «è stata per anni coinvolta nella diffusione di accuse senza fondamento su diaboliche armi israeliane».
HORTON? «COLPEVOLE» DI AVERLE DATO SPAZIO. La vera responsabilità di Horton, secondo questo “schema accusatorio” mediatico, sarebbe di aver pubblicato i suoi lavori, che conterrebbero «affermazioni pseudo-scientifiche». L’equipe guidata da Manduca ha dimostrato in anni di lavoro che contenuti e residui delle armi da guerra israeliane causano difetti nelle nascite a Gaza; che i metalli cancerogeni presenti nelle bombe e nei proiettili al fosforo bianco sono gli stessi trovati nei tessuti delle ferite e nei capelli dei bambini un anno dopo “Piombo Fuso”; che tali metalli non vengono eliminati dall’organismo, e persistono in esso o nell’ambiente. E ancora: esiste una correlazione tra l’esposizione agli attacchi e malformazioni alla nascita, con effetti di lungo termine sulla salute riproduttiva.
Lancet ha pubblicato gli studi scientifici che suffragano l’accusa di crimini di guerra. Così scatta lo stigma di facile presa dell’«antisemitismo».
Fonte: Lettera 43