Silvan Shalom è ministro per lo Sviluppo regionale, ministro per lo Sviluppo del Negev e della Galilea e ministro dell’Energia e dell’Acqua: si trova nel deserto per una riunione di gabinetto che si svolge vicino alla tomba di Ben Gurion nel giorno del suo anniversario. Il Consiglio dei ministri, in Israele, si tiene la domenica, ma Shalom trova un po’ di tempo per un’intervista ed è ansioso di parlare del gas che potrebbe cambiare l’economia e la situazione politica israeliana.
Che cosa avete trovato?
«Abbiamo trovato il giacimento di gas naturale chiamato “Leviatano” e questo ci permetterà di esportarne circa il 50%, cominciando da Cipro, Grecia e Italia. In un recente viaggio in Italia il primo ministro Enrico Letta e altri ministri mi hanno detto che vorrebbero ospitare il porto per il gas israeliano previsto in Europa. Dobbiamo valutare se questo sarà trasportato attraverso un gasdotto o se dovremo renderlo liquido e quindi spedirlo via nave. Ci sono diverse opzioni. Per esempio vorremmo costruire un collettore sottomarino con Cipro e Grecia».
Quali sono gli effetti di questa scoperta per Israele?
«Servirà anche per il mercato interno e permetterà di tagliare i prezzi di acqua e gas e il costo di molti prodotti. Tutto questo ridurrà in modo rilevante il costo della vita».
Quando si realizzerà la svolta?
«Saremo pronti per l’esportazione entro il 2018-2019, ma già ora abbiamo tagliato i costi del gas per l’industria di 250 milioni al mese, il che significa 3 miliardi l’anno. Ma dal 2015 il risparmio salirà a 9 miliardi. Israele diventerà un Paese molto più a buon mercato. Poi la speranza è trovare il petrolio e vorremmo che arrivassero a investire i grandi operatori. Ma molti sono ancora impegnati con i Paesi arabi».
Avete intenzione di esportare anche in Asia?
«Sì, in forma di gas liquido, trasportato con le navi. Si potrebbe sostituire il petrolio iraniano. Nel 2004 la Cina aveva firmato con l’Iran un contratto da 75 miliardi per gas e petrolio per i prossimi 30 anni. Sia la Cina che la Russia dipendono molto dall’Iran e vorrebbero che l’attuale regime restasse al potere».
Intanto anche gli Usa stanno diventando un Paese esportatore di gas grazie alla tecnica del «fracking».
«Sì, è vero».
E qual è la posizione del suo governo sui negoziati in corso con l’Iran?
«Il primo ministro Nethanyau ha messo in guardia il segretario di Stato americano Kerry e ha telefonato al presidente Obama, al presidente Putin, al presidente Hollande, alla cancelliera Merkel e al primo ministro Cameron, avvertendoli tutti di non commettere un errore enorme nei colloqui di Ginevra con l’Iran: secondo noi, non ci sono valide ragioni per rimuovere le sanzioni prima che Teheran interrompa l’arricchimento di uranio. Le sanzioni sono importanti, perché sull’Iran hanno forti conseguenze. La moneta si è deprezzata dell’80% e la disoccupazione è in aumento e questi elementi potrebbero contribuire alla fine del regime. Sarebbe sbagliato fargli un regalo senza un vero risultato nel processo di denuclearizzazione».
Come sta cambiando la situazione tra Israele e mondo arabo?
«Egitto, Arabia Saudita e Turchia hanno sull’Iran opinioni simili alle nostre. In Egitto i Fratelli Musulmani non sono più al potere, mentre in Siria osserviamo la situazione. Vorremmo investire di più con i palestinesi in modo da ridurre il divario esistente, ma non è facile. Con la Giordania, invece, abbiamo ottimi rapporti».
Lei è anche ministro dell’Acqua: qual è la situazione oggi?
«Nel 2014 avremo molta acqua in più grazie a un nuovo progetto di dissalazione. Per la prima volta avremo più acqua di quella che ci serve».
Avete intenzione di esportarla?
«Forse in Giordania e ai palestinesi. Altri Paesi, intanto, utilizzano la nostra esperienza e la nostra competenza. Abbiamo inventato nuovi processi di irrigazione e sappiamo anche come riciclare l’87% dell’acqua».
Intendete aiutare la Cina che ha gravi problemi con l’acqua?
«Vorremmo aiutare i cinesi e siamo in contatto con Pechino. Siamo forti in questo settore tecnologico e siamo al secondo posto dopo il Canada per numero d’imprese high-tech».
E i rapporti con l’Italia?
«Ottimi: ci siamo incontrati con il presidente dell’Eni, oltre che con Enel ed Edison e personale della Fiat è venuto in Israele per aiutarci a convertire i nostri autocarri, da diesel a gas».
Ora il ministro deve tornare alla sua riunione e mi dice che arriverà in Italia a inizio dicembre per l’incontro bilaterale che si terrà a Torino. Intanto a Gerusalemme si aspetta la visita del presidente francese François Hollande. È chiaro che Israele sta attraversando un momento cruciale di cambiamenti che potranno influenzare la geopolitica del Medio Oriente.
Fonte: La Stampa