Ci sono sempre più segnali che indicano che Israele ed Unione Europea stiano per risolvere la mini-crisi creata dalla pubblicazione delle nuove linee guida che limiterebbero i finanziamenti europei agli enti israeliani che hanno attività al di là della Linea Verde, e che sanciscono nuove più severe regole riguardo l’uso di borse di studio e premi finanziari europei.
Alcuni iniziali report dei media non sono stati accurati nel spiegare la natura delle linee guida, le quali, da quanto si dice, non hanno mai davvero inteso forzare le istituzioni israeliane che ricevono finanziamenti dall’Unione a cessare le loro attività nei Territori Occupati. Tuttavia, gli sforzi europei finalizzati ad aggiustare le relazioni con il governo di destra israeliano dicono: se l’Europa voleva mandare un monito contro le colonie e a favore della soluzione a due Stati, il messaggio di ‘tutto come prima’ da Bruxelles sta avendo l’effetto opposto, dimostrando che la destra israeliana aveva ragione nel dichiarare che il mondo non avrebbe mai affrontato Israele sulla questione dell’occupazione.
Infatti, quando si separa la retorica dal settore delle azioni, la comunità internazionale sembra essere invece indifferente, e anzi sostenitrice, alla colonizzazione dei Territori Occupati.
L’esempio più ovvio sono gli Stati Uniti, la cui collaborazione è vitale per il controllo di Israele della Cisgiordania sotto ogni aspetto. Gli Stati Uniti forniscono ad Israele la copertura diplomatica necessaria sulla questione delle colonie ponendo il loro veto nelle risoluzioni in materia al Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Gli Stati uniti, inoltre, usano la loro influenza in altre istituzioni internazionali per soffocare qualsiasi azione legale possa essere mossa contro Israele e i suoi ufficiali, forniscono ad Israele le armi che vengono usate in Cisgiordania (il gas lacrimogeno usato contro i protestanti disarmati è fabbricato in Pennsylvania) e finanzia perfino l’acquisto israeliano di queste armi. L’amministrazione di Washington supporta anche l’Autorità Palestinese, che opera come collaboratore subalterno di Israele in Cisgiordania e, in alcuni casi, a Gaza.
Per farla corta, non bisogna farsi prendere in giro dalla retorica del Dipartimento di Stato: gli Stati Uniti sono coloro che mettono in grado Israele di continuare l’occupazione. Ci si potrebbe davvero chiedere se Israele porta avanti una sua politica autonoma che riguarda i palestinesi o se ha semplicemente un ruolo di stato clientelare con proprie poche ambizioni.
L’Unione Europea non è tanto differente. Nonostante la linea politica verso lo stato israeliano può occasionalmente variare da stato membro a stato membro, l’Unione Europea - come entità la cui influenza è fuori discussione, essendo il primo partner commerciale di Israele – ha impiegate l’ultimo decennio ad impegnarsi a rafforzare i legami con Tel Aviv, indipendentemente dalle azioni israeliane nei confronti dei palestinesi. E quando queste relazioni entrano in conflitto con le linee politiche ufficiale dell’Unione su Cisgiordania e Gaza, Israele prevale sempre.
Israele è diventato uno degli stati esterni più importanti dell’Europa, e le sue relazioni con l’Unione godono di speciali benefits in quasi ogni aspetto, dalla cooperazione scientifica all’economia passando per lo sport. A qualsiasi livello, i funzionari europei fanno del loro meglio per scudare Israele dall’attivismo contro l’occupazione, dagli appelli al boicottaggio e alle sanzioni e da qualsiasi altro meccanismo che vuole mettere Israele davanti alle sue responsabilità per le violazione dei diritti dell’uomo in Cisgiordania. E proprio come gli Stati Uniti, l’Unione Europea concretizza il progetto dell’occupazione israeliana fornendo sostegno all’Autorità Palestinese.
Ci sono motivi interni che spiegano il supporto europeo e statunitense all’occupazione. Negli USA sono le politiche locali, che sono influenzate dalle forti lobby pro Israele, da sentimenti islamofobici a livello nazionale e dalla visione dello stato israeliano come parte del grande impero americano. In Europa, l’Unione è capace di produrre politiche estere coerenti solo in materia economica, , e non sul piano dei diritti umani e delle sicurezza – discrepanza che gioca a favore di Tel Aviv. Altre forze entrano ovviamente in gioco, ma la ragione principale è il consenso tra i politicanti deii due lati dell’Atlantico di voler evitare a qualsiasi costo confronti con Israele.
Gli attivisti che vogliono davvero arrivare a vedere dei cambiamenti nelle politiche dovrebbe riconoscere questa realtà. La pressione diplomatica dall’esterno non porterà verosimilmente alla creazione di uno Stato palestinese, principalmente perché nessuno ha voglia di pagare prezzi o vedere cambiamenti politici per arrivare a questo obiettivo: l’influenza americo-europea funziona più a favore dell’occupazione che altro.
L’Europa e gli Stati Uniti continueranno a limitare le conseguenze della situazione palestinese, mettendo a volte paletti agli abusi dei diritti umani, alle operazioni militari israeliane e alla colonizzazione dei Territori Occupati, così come hanno fatto a partire dal 2005, anno del disimpegno israeliano da Gaza. Solamente un grande cambiamento sul terreno, come il collasso dell’Autorità Palestinese o un’altra intifada palestinese, può cambiare questo trend.
I progressisti israeliani dovrebbe abbandonare la speranza di un cambiamento che arriva dall’esterno, almeno sul piano diplomatico, e riconoscere la realtà di una soluzione a stato unico mentre i palestinesi dovrebbero domandarsi che ruolo l’ANP sta avendo per il futuro di uno Stato palestinese in queste circostanze.
Fonte: 972mag.com
Traduzione: BDS Italia