LIBERTÀ. GIUSTIZIA. UGUAGLIANZA.

Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni per i diritti del popolo palestinese.

Il fondo per gli aiuti allo sviluppo della Palestina non ha funzionato, visto che milioni di persone continuano a soffrire nonostante i miliardi di dollari investiti in questo ambito. È il momento per i palestinesi dell’autodeterminazione e di prendere il controllo della situazione.

Quella degli aiuti umanitari è una grande industria globale il cui successo non è affatto ovvio. Nonostante alcuni progressi, la povertà non è stata debellata, il cambiamento climatico non è stato arrestato e i diritti umani non vengono rispettati. Tuttavia questi scarsi risultati vengono esclusivamente attribuiti a problemi tecnici, mentre le carenze fondamentali insite nella politica degli aiuti non sono prese in considerazione.. La Palestina è un esempio importante di questo, visto il suo elevato livello di dipendenza dagli aiuti, i numerosi donatori internazionali e i milioni di palestinesi che stanno soffrendo da decenni nonostante i miliardi di dollari elargiti.

Fin dal mio arrivo in Palestina nel 2004, fui subito delusa dalla politica degli aiuti allo sviluppo applicata in questa terra; trovammo inoltre  le ONG locali che modificavano i loro programmi a caccia di finanziamenti internazionali, diffondendo anche per questo informazioni  in inglese piuttosto che in arabo e assumendo personale superfluo solo per  presentare relazioni finanziarie in valuta estera. In risposta a questa situazione,  ho contribuito a fondare l'Associazione Dalia, una ONG palestinese che promuove l'autodeterminazione attraverso il controllo locale delle risorse.

Dalia ha pubblicato uno studio sulle priorità della società civile per la riforma degli aiuti, ha distribuito un cortometraggio, e lanciato una petizione internazionale per ampliare la consapevolezza su queste tematiche. Gli abitanti del posto ne erano entusiasti, ma a livello internazionale non ci sono state risposte.  Forse queste organizzazioni di aiuti internazionali ritengono che  le loro buone intenzioni li liberi  dalle  responsabilità in merito all’impatto globale di una certa politica degli aiuti sulla popolazione palestinese.

Speravo comunque che avremmo potuto influenzare in qualche modo tale politica, rendendo ad esempio i donatori responsabili della messa in pratica di quei principi  cui aderiscono - quali la proprietà locale, la responsabilità reciproca, e l'armonizzazione dei progetti finanziati con i piani di lavoro locali. Mi sono impegnata con i processi formali, anche partecipando al forum ad alto livello sull'efficacia degli aiuti e la promozione del nuovo accordo per l'impegno negli Stati fragili. Ma sono rimasta delusa. Buona parte della società civile sembra ora impegnata a livello globale  in un processo formale di "riforma degli aiuti", con una visione del problema diluita, sprecando risorse preziose e spesso si trova nell’impossibilità di mettere in pratica ciò che predica – a causa di inaccettabili vincoli troppo rigidi previsti dai donatori.

Così, abbiamo preferito focalizzarci su ciò che i palestinesi stessi vorrebbero venisse realizzato in questo ambito. A questi soggetti in causa abbiamo chiesto: "Se i palestinesi vogliono gli aiuti internazionali alle loro condizioni, quali sono queste condizioni?" I partecipanti lamentano: "Perché i donatori finanziano le nostre scuole e non fanno nulla quando Israele le bombarda?  Perché i donatori sanzionano i palestinesi che perseguono legalmente  i loro diritti attraverso le Nazioni Unite?"

Sappiamo che il principale ostacolo allo sviluppo per il popolo palestinese è costituito dall’occupazione, dalla colonizzazione e dall’espropriazione di terra. L'unico mezzo per raggiungere uno sviluppo vero e proprio, quindi, è una giusta soluzione politica del conflitto israelo-palestinese. Ciò che è emerso è che questi palestinesi, non vogliono in definitiva un generico "aiuto" . Ciò che auspicano è un intervento politico e il sostegno finanziario a cui hanno diritto, al fine di perseguire il proprio sviluppo autonomamente. Proprio per questo hanno rifiutato falsi progetti di sviluppo che, nel migliore dei casi,  sono mere distrazioni e ,nel peggiore dei casi, risultano addirittura dannosi per la dignità palestinese, l’indipendenza e la sostenibilità da parte della popolazione palestinese.

Sebbene alcuni tipi di aiuti siano utili, il sistema nel suo complesso è chiuso ed egoista. Per questo motivo, non possiamo cambiare la politica degli aiuti attraverso la partecipazione della società civile. Gli attori internazionali sanno esattamente quello che stanno facendo in Palestina: essi vogliono perpetuare uno status quo diseguale ma controllabile, e non vogliono cambiare. E noi non possiamo costringerli a farlo.

Forse non possiamo cambiare le politiche di aiuto dei donatori, ma i palestinesi possono interrompere la partecipazione alla loro stessa oppressione, rifiutando aiuti offerti a condizioni per loro dannose. Attraverso il boicottaggio, il disinvestimento e le sanzioni (BDS), i palestinesi e i loro sostenitori mettono in atto il rifiuto di fare affari con persone o organismi che minino le loro prospettive di ottenere una pace giusta. Ritengo che i gruppi BDS debbano focalizzare la loro attenzione su ciò che possono controllare - la propria politica su quali tipi di  aiuti sono disposti ad accettare o rifiutare – di modo che i palestinesi possano prendere il controllo del loro sviluppo.

La sfida è formidabile. Ci saranno pressioni politiche, milioni di persone possono diventare ancora più povere, e gli appartenenti all’elite possono combattere gli sforzi per cambiare un sistema da cui traggono profitto. Ma i palestinesi non possono più essere così dipendenti dagli aiuti internazionali. Se prendiamo un progetto da 10 milioni di € e ne deduciamo le spese inutili -, quella parte dell'importo erogato da donatori e utilizzato dalle ONG internazionali per l'amministrazione, sprecato per priorità non attinenti ai bisogni  locali e speso per costosi consulenti stranieri e per le forniture provenienti dall’ Europa - il credito residuo potrebbe non essere più così ingente.

In effetti le alternative alla dipendenza dagli aiuti ci sono. E con l'aiuto dei palestinesi della diaspora e dei sostenitori in tutto il mondo, i palestinesi possono sviluppare nuovi modelli di sostenibilità che non richiedano loro di far dipendere il loro stesso futuro da attori internazionali la cui visione della Palestina è inaccettabile.

Sono tempi duri per proporre l'assunzione di rischi, ma forse ci troviamo in momenti così difficili proprio per il protrarsi ormai da troppo tempo della scelta di andare sul sicuro.

Fonte: The Guardian

Traduzione di Teresa Pelliccia