LIBERTÀ. GIUSTIZIA. UGUAGLIANZA.

Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni per i diritti del popolo palestinese.

L’intesa, raggiunta pochi giorni fa tra la società giordana National Electric Power Company e la compagnia statunitense Noble Energy, prevede l’importazione di gas naturale dal giacimento offshore israeliano del Leviatano. I manifestanti denunciano: “no alla normalizzazione con l’entità sionista”

di Roberto Prinzi

Duemila persone sono scese ieri in piazza ad Amman per protestare contro l’accordo giordano-israeliano sul gas firmato questa settimana. Al grido “il popolo vuole la dignità nazionale”, “no all’entità sionista” [Israele, ndr] e “alza la tua voce Amman” i manifestanti hanno sfilato pacificamente nel centro della capitale giordana.

L’accordo, raggiunto alcuni giorni fa dalla giordana National Electric Power Company (Nepco) e dalla società statunitense Noble Energy, prevede l’importazione di gas naturale dal giacimento offshore israeliano del Leviatano. Una decisione che non è passata inosservata a migliaia di cittadini giordani che hanno dato vita alla “Campagna nazionale per rovesciare l’accordo del gas con l’entità sionista”. I gruppi della società civile chiedono anche la creazione di una “corte del popolo” formata dagli uomini di legge del regno che si oppongono all’accordo.

Gli attivisti accusano il governo di pratiche anti-democratiche. Prima di tutto perché il parlamento ha votato contro l’intesa nel dicembre del 2014. In secondo luogo perché l’accordo è stato raggiunto approfittando del fatto che il parlamento era ancora sciolto per le recenti elezioni parlamentari. Infine gli organizzatori denunciano come non sia stata consultata l’opinione pubblica che, secondo quanto riferiscono alcuni sondaggi, sarebbe nettamente contraria all’import di gas israeliano.

“Abbiamo appreso la notizia dai media internazionali” ha detto al portale Middle East Eye Hisham Bustani, uno dei membri della campagna. “Il governo – ha aggiunto – preferisce essere un agente di una capitale estera piuttosto che sviluppare il suo Paese e conservare la sua sovranità”. Dietro l’accordo, secondo Bustani, ci sarebbero le forti pressioni che Washington avrebbe esercitato su Amman. Un’accusa che potrebbe avere un solido fondamento: la Giordania riceve infatti ingenti aiuti economici dagli Usa ogni anno.“C’è una specie di corruzione qui” sintetizza l’attivista che osserva con amarezza come il prezzo del gas israeliano sia più caro di quello che la Giordania importa dalla Shell da Aqaba.

Sulla stessa lunghezza d’onda il parlamentare Ahmad al-Armouti: “il governo non ha il diritto di siglare accordi contrari alla legge o alla costituzione”. Al-Armouti non è il solo politico ad aver alzato la voce contro il patto siglato: molti suoi colleghi hanno denunciato l’accordo perché “la normalizzazione [con Israele] è inaccettabile in tutte le sue forme”. Secondo le stime fornite dai promotori della campagna, infatti, il 56% della cifra pattuita nell’intesa (5.6 miliardi) e circa il 40% delle bollette elettriche pagate dalle famiglie giordane andranno ora direttamente alle casse del governo israeliano.

Un accordo che suscita ancora più rabbia da parte dei cittadini se si pensa che la NEPCO, sebbene sia una compagnia privata, è di fatto gestita dal governo e pertanto dovrebbe ascoltare la voce dei suoi cittadini. A sostegno di tale argomentazione, ricordano gli attivisti, c’è una clausola all’interno del diritto giordano secondo la quale qualunque accordo che ha conseguenze sui cittadini del regno o o va ad intaccare la sovranità del Paese deve passare attraverso il sistema giudiziario e parlamentare.

Per i manifestanti alternative ci sarebbero. In primo luogo l’importazione di gas naturale al porto di Aqaba già dà un surplus che viene riesportato in Iraq, Egitto e a Gerico, in Cisgiordania. Ci sono poi gli accordi in via di attuazione con Algeria e il Qatar (che ha una maggiore scorta di gas rispetto ad Israele) e il previsto oleodotto che da Basra dovrebbe arrivare in Egitto passando per la Giordania.

“La crisi energetica giordana è in primo luogo una crisi dovuta all’ignoranza” ha accusato l’attivista Safaa al-Jayyousi, a capo della Campagna dell’energia e del Clima. “Abbiamo un problema di sovranità energetica e invece di risolverlo producendo noi elettricità la importiamo da un Paese all’altro” ha aggiunto.

L’anno scorso l’industria giordana dell’energia verde ha avuto un boom grazie ai massicci investimenti internazionali stimati intorno al miliardo di dollari. Secondo gli attivisti, investire in questo settore potrebbe aiutare ad alleviare l’atavica crisi energetica del Paese.

Fonte: Nena News