LIBERTÀ. GIUSTIZIA. UGUAGLIANZA.

Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni per i diritti del popolo palestinese.

Di: Al-ShabakaD, Omar Barghouti

Al-Shabaka è un'organizzazione indipendente senza scopo di lucro la cui missione è di educare e stimolare il dibattito pubblico sui diritti umani palestinesi e sulla loro autodeterminazione nel quadro del diritto internazionale.

Omar Barghouti è un ricercatore, commentatore, e attivista indipendente. Egli è un membro fondatore della Campagna Palestinese per il boicottaggio accademico e culturale di Israele (PACBI) e del Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS) contro Israele. Egli è l'autore di “Boicottaggio, Disinvestimento, Sanzioni: lotta globale per i diritti palestinesi”.

Questa intervista con Barghouti, condotta dal direttore esecutivo di Al-Shabaka, Nadia Hijab, si è svolta in occasione dei recenti attacchi di Israele contro il movimento BDS e altri difensori dei diritti umani che vivono sotto l'occupazione, come il personale dell'organizzazione palestinese per i diritti umani Al-Haq, tra cui le minacce dirette effettuate dai principali funzionari israeliani contro gli attivisti BDS e in particolare contro Barghouti.

La loro discussione va oltre i titoli dei giornali, esaminando il continuo dibattito e discussione rivolti a promuovere il movimento BDS tra i Palestinesi in patria e all'estero, così come tra gli attivisti della solidarietà globale.

Omar ha iniziato chiarendo che tutti i punti di vista che qui esprime sono i suoi e solo suoi; essi non riflettono necessariamente il punto di vista del movimento BDS più esteso o della sua leadership palestinese, il Comitato Nazionale BDS (BNC).

Gli obiettivi del movimento BDS - autodeterminazione, libertà dall'occupazione, uguaglianza per i cittadini palestinesi di Israele, e il diritto al ritorno - comprendono i diritti dei palestinesi secondo le leggi internazionali. Ma sappiamo che il movimento BDS non  realizzerà con le proprie forze i diritti dei palestinesi. Di quali altri movimenti ci sarà bisogno e quale mix di strategie è necessario?

I boicottaggi sono stati storicamente una delle principali strategie di resistenza popolare a disposizione dei Palestinesi di tutti i ceti sociali, e oggi, nel campo della solidarietà internazionale, il BDS è la forma più importante e strategica di sostegno alla nostra lotta per l'autodeterminazione. Il movimento BDS non ha mai affermato che questa rappresenti l'unica strategia al fine di ottenere i pieni diritti dei Palestinesi sulla base del diritto internazionale. Né è possibile aspettarsi che esso consegni da solo i diritti ai Palestinesi. Tra le altre strategie ci sono, ad esempio, le resistenze popolari locali contro il muro e le colonie così come le strategie legali per rendere Israele ei suoi dirigenti responsabili per i crimini che hanno commesso contro il popolo palestinese.

In effetti, una delle strategie più importanti a nostra disposizione e che difficilmente viene perseguita è il lavoro diplomatico e politico con i parlamenti e i governi di tutto il mondo al fine di isolare il regime israeliano di occupazione, il colonialismo e l'apartheid, e ottenere nei suoi confronti sanzioni simili a quelle applicate al Sudafrica dell'apartheid. La realizzazione di questo percorso è bloccata in primo luogo da una burocrazia palestinese complice che manca di un mandato, di principi, di una visione democratici.

Una componente molto importante della resistenza palestinese al regime di Israele sono i Palestinesi in esilio, che rappresentano la metà del popolo palestinese. Non stiamo parlando solo delle comunità di rifugiati, che sono chiaramente le più importanti da prendere in considerazione, ma anche di Palestinesi come quelli attivi in Adalah a New York, gli Studenti per la Giustizia nelle sezioni della Palestina, i movimenti sociali nel Regno Unito o in Cile, e il loro equivalente in tutto il mondo delle comunità palestinesi in esilio, che svolgono un ruolo di primo piano nella promozione dei diritti dei Palestinesi, anche attraverso azioni BDS-correlate.

Anche i cittadini palestinesi in Israele sono spesso dimenticati quando si parla di resistenza palestinese, nonostante il loro ruolo cruciale non solo per la fermezza di fronte al regime sionista e colonialista di Israele, ma anche per la loro attiva resistenza popolare, accademica, culturale, legale e politica verso il regime e le sue strutture e le sue pratiche razziste istituzionalizzate e legalizzate.

Alcuni Palestinesi in esilio, tuttavia, sostengono che non sono disposti a sostenere il BDS perché "i Palestinesi non 'offrono' solidarietà alla nostra stessa gente." Ma il tradizionale dibattito politico palestinese degli anni '60, '70 e '80 è in gran parte esaurito. In Sud Africa, il movimento di liberazione nazionale rimase attivo fino all'ultimo minuto, ma noi abbiamo, purtroppo, perso gran parte di ciò che ha caratterizzato il movimento di liberazione nazionale palestinese in larga misura a causa degli accordi di Oslo.

La leadership palestinese, con l'approvazione esplicita o implicita della maggior parte dei partiti politici palestinesi, ha ceduto i diritti fondamentali dei Palestinesi e ha accettato i dictat dagli Stati Uniti e dell'Unione Europea per adattarsi in gran parte al regime di oppressione coloniale di Israele. Il popolo palestinese è ora in uno stato di smarrimento e confusione. Non c'è più un  "consenso nazionale" palestinese, se mai ce ne sia stato uno. Anche i partiti politici palestinesi, a destra e a sinistra, islamisti e laici, quasi senza eccezione, parlano di "indipendenza" e non di liberazione nazionale, spesso dimenticando i profughi e sempre omettendo i cittadini palestinesi di Israele dalla definizione stessa del popolo palestinese.

Spetta a tutto il popolo palestinese determinare il proprio futuro e la soluzione di questo conflitto coloniale. Nel frattempo, ogni individuo,  gruppo o coalizione palestinesi devono sforzarsi di indebolire il regime israeliano di oppressione, come prerequisito per acquisire i diritti dei Palestinesi in base alla giurisdizione internazionale.

Noi del movimento BDS abbiamo optato per lo sviluppo di una linea ormai consolidata di resistenza palestinese e del tipo più efficace di solidarietà  internazionale di fondo con la stessa, basata sui diritti, non su soluzioni politiche. Il BDS, naturalmente, riconosce che ci sono altre strategie e approcci; stiamo solo dicendo che abbiamo scelto di concentrarci sui diritti, non sulle soluzioni, in quanto, affinché qualsiasi soluzione politica - determinata dalla maggioranza dei Palestinesi in tutto il mondo -  sia giusta, esauriente e sostenibile, essa deve soddisfare i nostri diritti ai sensi della giurisdizione internazionale.

Inoltre, perché sia efficace, è necessario ottenere qualcosa legato ad un consenso palestinese, e per raggiungere questo obiettivo dovremmo attenerci ad un comune denominatore quanto più centrato sui principi e quanto meno sulle strategie, sugli obiettivi più significativi e meno controversi del popolo palestinese che quasi nessuno possa obiettare: Fine dell'occupazione del 1967, fine del sistema dell'apartheid, e piena realizzazione del diritto al ritorno dei profughi palestinesi alle loro case e proprietà, da cui sono stati espulsi attraverso una pulizia etnica durante e dopo la Nakba. E noi ci atteniamo fermamente a questi diritti.

Questo approccio ci ha portato un ampio sostegno tra i Palestinesi. Il BNC ha recentemente organizzato una manifestazione relativamente estesa a Ramallah in una dimostrazione di sostegno popolare palestinese per il BDS. Io personalmente non ritengo che questo genere di mobilitazioni di piazza sia un indicatore decisivo del sostegno popolare, ma i miei colleghi hanno insistito che avremmo avuto la necessità di farlo per dimostrare al mondo l'adesione popolare al BDS.

Ci sono state oltre 2.000 persone e molti oratori di partiti politici e di movimenti di base e sindacati, i quali hanno espresso un forte sostegno per il BDS. Uno dei risultati di questa manifestazione è stato quello di disinnescare la percezione tra alcuni circoli locali che il BDS fosse "elitario". Ci sono quelli che non vogliono sostenere il movimento nonviolento BDS perché è "al di sotto delle loro mire politiche".

Essere rivoluzionari, a mio avviso, non consiste nel sostenere slogan "rivoluzionari" che non sono attuabili e che quindi hanno poche possibilità di contribuire ai processi volti a porre fine alla realtà dell'oppressione. Ciò che è veramente rivoluzionario è sostenere uno slogan che si basi su dei principi e che sia  moralmente coerente e insieme favorisca azioni sul terreno tali da portare a un reale cambiamento nella direzione della giustizia e dell'emancipazione. In caso contrario, si rimane un intellettuale da salotto.

E tuttavia il modo in cui il movimento BDS viene talvolta rappresentato fa pensare che esso solo sia effettivamente in grado di realizzare i diritti dei Palestinesi. I frequenti riferimenti al Sudafrica trasmettono questa impressione, intenzionalmente o meno.

Noi Palestinesi confrontiamo sempre le nostre strategie e i progressi al Sud Africa e ad altri movimenti per la giustizia, l'autodeterminazione e i diritti umani - e sappiamo che ci mancano dei pilastri fondamentali che sono stati essenziali per il loro successo.

In Sud Africa, per esempio, la lotta guidata dall'African National Congress ha individuato quattro pilastri strategici per la lotta per la fine dell'apartheid: Le mobilitazioni di massa, la resistenza armata, un movimento politico sotterraneo e la solidarietà internazionale (in particolare sotto forma di boicottaggi e sanzioni). Non esiste una strategia "copia-incolla" per ottenere la liberazione e i diritti umani - ogni esperienza coloniale è diversa e ha le sue particolarità uniche.

Noi ci siamo impegnati nel far evolvere le nostre personali strategie di Palestinesi in modo da adattarle al nostro contesto di lotta per la giustizia e la dignità. Nel caso della lotta palestinese, il pilastro del movimento sotterraneo è limitato a Gaza, dove è isolato.

Le leggi internazionali sostengono il diritto di ogni nazione posta sotto un'occupazione straniera di resistere con tutti i mezzi, tra cui la resistenza armata, a condizione che tutte le forme di resistenza aderiscano ai principi della legalità e dei diritti umani internazionali. A parte questo, come difensori dei diritti umani, siamo obbligati a considerare il costo-beneficio di questo pilastro in questa fase e a valutare il costo umano di qualsiasi resistenza.

Per quanto riguarda la mobilitazione di massa, quel che possiamo fare nel territorio palestinese occupato, in termini di resistenza popolare, per esempio, contro il muro, è abbastanza limitato. E non si tratta in realtà di un movimento di massa, ad esempio, in quanto popolare, nel caso del recente sciopero degli insegnanti, oppure degli attacchi contro il neoliberismo del governo Salam Fayyad o contro la legge sulla sicurezza sociale, in quanto erano popolari. L'intera questione dell'efficacia delle diverse forme di resistenza è la chiave e noi del movimento BDS siamo impegnati sulla questione dell'efficacia delle nostre strategie non violente, rispettose, in ogni momento, del diritto internazionale.

Un'altra preoccupazione è che qualche discorso del movimento BDS da l'impressione che i palestinesi siano in procinto di acquisire i loro diritti. Il che viene fuori non solo nei frequenti riferimenti al  "frangente" Sud Africa, ma anche in dichiarazioni che dicono che un "punto di svolta" è stato raggiunto.

Sì, ma quando si parla di un punto di svolta, si intende un punto di svolta solo nei termini  dello specifico pilastro riguardante l'isolamento internazionale. La misura dell'efficacia è  (nel quesito, nd.t.) se stai realizzando i tuoi obiettivi o no. Il BDS è una delle strategie di resistenza interna ed è anche la più importante strategia internazionale. Non abbiamo mai affermato altro. Perché, allora, il BDS dovrebbe  essere ritenuto responsabile, per esempio, per l'incapacità del popolo palestinese di raggiungere i nostri obiettivi di autodeterminazione e liberazione nazionale?  Dateci almeno il credito di essere realistici.

Ci sono molte e crescenti critiche da parte dei quadri del diritto internazionale. Questo vuol rappresentare un problema per il movimento BDS dato che si fonda il diritto internazionale?

Per essere efficaci, così come moralmente coerenti, nel mobilitare la pressione internazionale da parte di gruppi e individui di coscienza contro il regime di oppressione israeliano, dobbiamo adottare i principi sui diritti umani che siano i più universali possibile così come un linguaggio che possa toccare le persone in tutto il mondo e li (possa, n.d.t.) motivare all'azione. Questo è il linguaggio del diritto internazionale. Sappiamo, come tutti, dei difetti intrinseci del diritto internazionale. Ma sappiamo anche che esiste quello oppure la legge della giungla, e quest'ultima non funziona per noi, in linea di principio e praticamente, visto che siamo la parte di gran lunga  più debole fisicamente.

Noi non vogliamo una retorica simbolica: Siamo stanchi del sostegno retorico. Abbiamo bisogno di una azione efficace, strategica, che abbia una possibilità di indebolire il sistema di oppressione al fine di rendere più realistico per il popolo palestinese  il conseguimento i nostri diritti sanciti dall'ONU.

Il minimo che possa fare la gente è porre fine alla sua complicità. Il porre fine a questa ingiustizia è un profondo obbligo legale e morale; non è un atto di carità. Quali sono le alternative alle leggi internazionali? E' vero che le hanno scritte gli imperi coloniali. E' vero che non sono calibrate in favore dei popoli del mondo, ma non sono un dogma o un insieme statico di leggi incise sulla pietra.

Vi è una visione semplicistica del diritto internazionale che non lo intende come qualcosa di dinamico, come qualcosa di cui noi, attraverso le nostre lotte persistenti e di massa, siamo in grado di influenzare l'interpretazione e l'applicazione. Dopo tutto, non stiamo chiedendo la luna; stiamo semplicemente lavorando per applicare in modo coerente il diritto internazionale a Israele e porre fine al suo status eccezionale di stato al di sopra della legge. Questa è una semplice domanda ma di vasta portata che richiede anni di lotta strategica.

C'è una mancanza di chiarezza intorno alle linee guida sulla normalizzazione, che è spesso fonte di tensioni con gli attivisti - e soprattutto tra i palestinesi che hanno la possibilità di impegnarsi in attività che sono dette "normalizzanti" e che non apprezzano quello che sembra chiamare in causa il loro nazionalismo.

Le linee guida della normalizzazione sono molto chiare. Il documento di riferimento è stato adottato all'unanimità in occasione della prima conferenza del BDS nazionale palestinese, tenutasi nel novembre 2007. Normalizzazione, in tale contesto, viene interpretato dagli Arabi, inclusi i Palestinesi, nel senso di fare in modo che qualcosa che è intrinsecamente anormale, come un'interazione (basata sulla, n.d.t.) oppressione coloniale, appaia ingannevolmente normale.

Secondo le linee guida del BDS, ci sono qui due principi fondamentali, perchè una relazione tra una parte palestinese (o araba) e una parte israeliana non debba essere considerata una normalizzazione. La parte israeliana deve riconoscere i diritti globali dei Palestinesi secondo le leggi internazionali, e la relazione stessa dovrebbe essere di co-resistenza all'oppressione, non di "co-esistenza", sotto l'oppressione. Il punto principale è che tali rapporti non dovrebbero legittimare, (come, n.d.t.)  foglia di fico o copertura, le violazioni israeliane dei diritti dei Palestinesi.

Diciamo che una organizzazione negli Stati Uniti stia organizzando una conferenza e abbia ricevuto una sponsorizzazione da parte di Israele o di un'istituzione israeliana che è complice nelle violazioni dei diritti dei Palestinesi. E diciamo che l'organizzazione statunitense è disposta ad stilare un programma che includa relatori palestinesi in modo da fornire lo spazio per una voce palestinese. Una partecipazione in questi termini significherebbe che stiamo normalizzando in modo efficace la sponsorizzazione di Israele - in altre parole, normalizzando le violazioni dei nostri diritti. Questo è un prezzo troppo alto da pagare perchè la nostra voce venga ascoltata, ciò tanto più importante considerata la soppressione di queste voci da parte dei media tradizionali. Quindi lavoriamo a stretto contatto con i partner per applicare una pressione per rescindere la sponsorizzazione di Israele, e se fallisce invitiamo al boicottaggio.

Ci sono ancora zone d'ombra, ed è nelle zone d'ombra che possono sorgere problemi - soprattutto perché alcune persone si fanno carico di parlare a nome del movimento BDS e di imporre regole quando in realtà non hanno alcuna autorità per farlo.

Ci sono sempre zone d'ombra. Direi che il 90 per cento dei casi di cui ci occupiamo sono davvero grigi. Quando ci imbattiamo in una zona d'ombra, torniamo al principio e  facciamo il possibile per mettere a confronto il profitto con le perdite. Il BDS, dopo tutto, non è destinato ad essere un dogma, ma piuttosto una strategia efficace per contribuire alla nostra lotta per i nostri diritti.

Alcuni Palestinesi vogliono avere la botte piena e la moglie ubriaca. Si permettono di impegnarsi in progetti e attività che sono chiaramente in conflitto con le linee guida anti-normalizzazione, eppure rifiutano ogni caratterizzazione di tali attività come  normalizzazione semplicemente perché esse sono "patriottiche" e "nessuno dovrebbe metterlo in discussione."

Nel movimento BDS, noi non  in mettiamo in discussione il patriottismo di nessuno e non abbiamo mai etichettato nessuno o ricorso ad attacchi personali; il che sarebbe in contrasto con i nostri principi come movimento. Inoltre rifiutiamo ogni soppressione della libertà di parola e il rigetto semplicistico e dannoso di coloro che sono impegnati  come attivisti nella normalizzazione, come "traditori". Il Comitato Nazionale Palestinese  del BDS (BNC) utilizza semplicemente una pressione morale per mettere in luce gli interventi di normalizzazione, al fine di indebolire la normalizzazione. Ciò è fondamentale per contrastare le attività di normalizzazione perché queste costituiscono un'arma fondamentale che Israele ha usato contro il movimento e contro la lotta palestinese per i diritti in generale.

E a volte facciamo cose che sono viste come in anticipo sui tempi o usiamo un linguaggio che ancora non viene accettato. Per esempio, quando abbiamo illustrato per primi l'apartheid come un aspetto chiave del regime di oppressione di Israele, o insistito nei nostri comunicati internazionali sul diritto al ritorno , entrambi (gli argomenti, n.d.t.) sono stati disapprovati non solo nel mainstream, ma anche in alcuni ambienti occidentali solidali con la Palestina.

Inoltre, quando l'appello del 2004 del PACBI (la Campagna Palestinese per il boicottaggio accademico e culturale di Israele) ha menzionato il sionismo come di una ideologia razzista, che ha costituito un pilastro per il regime coloniale di Israele, la questione è stata a stento discussa nella maggior parte dei circoli di solidarietà palestinese occidentali del periodo post-Oslo.

E' importante non confondere l'opposizione al sionismo e al regime israeliano di oppressione coloniale e di apartheid come una opposizione agli Ebrei: non lo è assolutamente. Il movimento BDS ha costantemente e categoricamente respinto ogni forma di razzismo, compresi l'islamofobia e l'antisemitismo. Il fatto che, secondo un sondaggio del 2014, il 46 per cento degli Ebrei-Americani non-ortodossi sotto i 40, sostenga il boicottaggio completo di Israele per porre fine alla sua occupazione e alle violazioni dei diritti umani, attesta in parte il carattere inclusivo, antirazzista del movimento.

Questa è una versione condensata dell'intervista, originariamente pubblicata sul sito di Al-Shabaka il 14 giugno 2016.

Fonte: Ma'an News

Traduzione di BDS Italia