di Flavia Lepre
L’articolo uscito il 13 novembre 2015 dal titolo “Boicottiamo i boicottatori. Comprate prodotti israeliani”, firmato dalla redazione [de Il Foglio], è uno splendido esempio del modo di funzionare della propaganda in generale. La sua elementare grossolanità fa emergere con nettezza il meccanismo su cui è costruito, che poi è lo stesso responsabile dell’imbarbarimento delle comunicazioni sociali e della diffusione dell’incapacità di pensiero razionale e argomentativo.
E’ la scelta della strategia emotiva (contro quella cognitiva), quella che nella formulazione dei titoli fa parlare di “titoli caldi” e che fa leva in modo quasi esclusivo sulla emotività, in cui la razionalità è scavalcata, tutt’al più frammentata in pillole di nessi di base stereotipati la cui applicabilità non è né dimostrata né tematizzata.
Non sorprende che alle prove di logica, negli INVALSI e nei test d’ingresso universitari, i nostri studenti diano risultati particolarmente scadenti. Se il contesto culturale nel quale sono inseriti è normale ricorrere a pseudo ragionamenti che offendono ogni criterio logico, è particolarmente arduo per loro sviluppare quella dimensione generalmente negata e omessa.
In questo modo il Foglio, in realtà, più che promuovere i prodotti israeliani, promuove semmai se stesso.
Esaminiamo il catenaccio:
“Stellette di Davide no grazie. Il Foglio apre un comitato di solidarietà anti boicottaggio per promuovere la vendita di prodotti israeliani e invitare ad acquistare ciò che l’Europa vuole invece follemente marchiare. Si firma qui”.
“Stellette di Davide” è un’espressione del tutto impropria per indicare i prodotti in questione (torneremo poi su quali siano). Il diminutivo è usato in modo ironico? Richiama le stellette militari. E’ forse un lapsus? Effettivamente i prodotti di cui si parla sono proprio quelli dell’occupazione militare israeliana dei Territori Palestinesi. Quindi sì, hanno un legame forte con la militarizzazione di quei territori e la dimensione d’oppressione che il diminutivo richiama. Autogol in apertura, ma deviante: non è la matrice ebraica quella in questione. L’assurdità reale e logica è la falsa identità data per scontata tra “israeliano” ed “ebreo” o, ancora più assurda e in vero quella che fortemente s’insinua senza esplicitarla, tra “ebreo” e “israeliano”. Quelli di cui si parla non sono “i prodotti ebraici” nella loro totalità né per antonomasia. Bensì israeliani, cioè di un sottoinsieme di “ebrei”, cioè non si tratta di loro “in quanto” ebrei, ma che “sono anche” ebrei.
Il testo conferma “l’equivoco”, consolidando la falsa equivalenza che fa aderire completamente due totalità di “israeliani” ed “ebrei”. “Per la prima volta in settant’anni, l’Europa marchia i prodotti del popolo ebraico.” Il meccanismo è il medesimo: se quella israeliana può essere considerata tutta (e non lo è) popolazione ebraica, non può in alcun modo essere affermato l’inverso: che tutti gli ebrei siano israeliani. Dunque, non si può parlare di prodotti israeliani come de “i prodotti del popolo ebraico”. A meno che non si voglia implicitamente escludere dal popolo ebraico tutti gli ebrei che non vivono in Israele.
Se nella redazione de “Il Foglio” si fosse studiato un pochino Aristotele, non si sarebbero commessi errori così grossolani.
Lo stesso meccanismo di confondere, facendole coincidere perfettamente, due categorie che invece hanno estensione diversa, viene ripetuto nell’altro pseudo-ragionamento sovrapposto al primo appena esaminato.
L’altra falsa identità creata ad opera è quella tra i prodotti israeliani ed i prodotti nelle colonie illegali israeliane. Infatti, i prodotti di cui si parla in realtà la Nota interpretativa dell’UE sull’etichettatura oggetto degli strali dell’articolo non riguarda tutti i prodotti israeliani, bensì solo quelli realizzati in prevalenza nelle colonie illegali, cioè sui Territori Palestinesi, che Israele occupa militarmente dal 1967, incurante delle numerose Risoluzioni ONU perché da essi si ritiri.
L’articolo, lo scrive, non potrebbe non farlo.
Il medesimo meccanismo di sostituzione del particolare al generale è all’origine dello “scandalo” che si vorrebbe suscitare per un supposto ostracismo contro i prodotti in questione. Questi, contrariamente per quanto è accaduto per anni con Cuba, non sono banditi dal commercio europeo, come invece sarebbe ragionevole aspettarsi, vista la loro origine illegale, ma semplicemente etichettati in modo conforme alla realtà della loro provenienza. Questa volta l’impropria sovrapposizione riguarda azioni: eliminare ed identificare (minore incisività dell’azione).
Il seguito dell’articolo è un “compendio” piuttosto confuso degli pseudo argomenti più utilizzati dalla vulgata dei sostenitori acritici dello Stato d’Israele, saltando da un’affermazione all’altra senza un minimo di consequenzialità logica, con piroette e capovolgimenti o di nuovo utilizzando un disinvolto spostamento sulle estensioni diverse dei concetti, così si procede ad allargare l’oggetto di cui si parla, per dedurne inappropriate conclusioni particolari: “Ci sono duecento contese territoriali nel mondo”. Ma i Territori Palestinesi occupati da Israele nel 1967 non sono “contesi”. (A meno che “Il Foglio” non si metta fuori della legalità internazionale, con posizioni contrastanti con quelle dell’ONU e della Corte Internazionale di Giustizia) Ancora una volta l’articolo opera uno scambio indifferente di quantità differenti. “Si tratta di una forma di emarginazione, di intolleranza e di ostracismo che prende di mira Israele”. Dai prodotti di aree specifiche: le illegali colonie, si passa ad Israele nel complesso”
In modo diverso, ma forse riconducibile a questo stravagante passaggio da dimensioni di entità diverse, si effettua l’uscita dal fosco quadro accennato (omettiamo il come) dell’attuale fase di conflitto con improbabili quanto brusche prospettive di “pace stabile e duratura” ma, con un’ulteriore inversione quantitativa e qualitativa, ostacolata dal boicottaggio.
Dove l’alterazione della rappresentazione quantitativa si colora di una certa dose di cinismo è nella proposizione di una “una campagna terroristica contro i suoi civili: la Terza Intifada dei coltelli”. Indubbiamente civili israeliani hanno perso la vita, ma non è possibile tacere le quantità molto più grandi di Palestinesi che sono stati uccisi, né l’estensione del terrore che i Palestinesi possono generare è minimamente confrontabile con quella di gran lunga più ampia diffusa e potente che Israele agisce anche in questi giorni e di cui i dolorosi e tristi numeri dei morti sono una parte della testimonianza.
La chiusura è a suo modo omogenea con il testo nel suo complesso.
“Per questo tutte le persone civili e coloro che hanno a cuore la sopravvivenza di Israele, pegno dell’Europa dopo la Shoah, dovrebbero mobilitarsi contro questo odioso boicottaggio.” Nel proporre un odioso ricatto, facendo un uso del tutto improprio ed irrispettoso della Shoah, si mettono sullo stesso piano entità ed eventi del tutto incomparabili.
Fonte: Nena News