LIBERTÀ. GIUSTIZIA. UGUAGLIANZA.

Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni per i diritti del popolo palestinese.

Appello di 16 paesi Ue alla Mogherini: Bruxelles si impegni a promuovere l’etichettatura dei beni provenienti dalle colonie nei Territori Occupati. In Israele la Corte Suprema conferma la legge anti-boicottaggio.

Bruxelles torna a fare pressioni per attuare le linee guida della Ue che prevedono l’etichettatura dei prodotti israeliani provenienti dalle colonie in Cisgiordania. Un tentativo cominciato ormai tre anni fa quando l’Unione Europea annunciò l’intenzione di prendere misure in merito alle attività economiche israeliane nei Territori Occupati.

Nel febbraio 2013, la Ue raccomandò ai paesi membri di evitare transazioni con compagnie impiegate nelle colonie e di etichettare i prodotti così da non ingannare i consumatori europei sulla loro reale provenienza. Un percorso lungo che ancora oggi muove i suoi primi passi, come se la raccomandazione fosse stata pubblicata solo poco tempo fa.

E così ieri sedici ministri degli Esteri della Ue hanno scritto alla rappresentante degli Affari Esteri europei, Federica Mogherini, chiedendo l’implementazione del processo di etichettatura dei beni delle colonie. Tra loro i ministri di Francia, Italia, Spagna, Gran Bretagna, Olanda, Belgio, Svezia, Danimarca, Irlanda, Croazia, Malta, Portogallo, Slovenia, Austria, Lussemburgo e Finlandia. “La continua espansione delle colonie israeliane illegali nei Territori Palestinesi occupati e in altri territori occupati da Israele nel 1967 minaccia la prospettiva di un accordo di pace finale e giusto – si legge nella lettera dei 16, pubblicata dal quotidiano israeliano Haaretz – La corretta e coerente implementazione della legislazione Ue sulla protezione dei consumatori e l’etichettatura è necessaria per garantire che i consumatori non siano ingannati da false informazioni. Devono conoscere le origini dei beni che comprano”.

 

Non tutti hanno però aderito alla richiesta: fermi nelle loro posizioni di sostegno a Israele – anche se questo intacca alla base la soluzione a due Stati che a parole tutt’Europa sostiene – restano Germania, Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria, Bulgaria, Cipro, Romania.

Alcuni paesi, in autonomia e dietro la precedente richiesta di Bruxelles (che, ricordiamo, era una mera raccomandazione che rimandava alla volontà dei singoli Stati membri), hanno già cominciato a etichettare i prodotti delle colonie israeliane in territorio occupato. Una sorta di boicottaggio istituzionale, ben poco gradito a Israele che continua a definire le colonie in Cisgiordania e a Gerusalemme Est come legali, proseguendo indisturbato nella costruzione. Perché il governo di Tel Aviv sa che le pressioni dalla comunità internazionale sono del tutto sopportabili.

A preoccupare di più i vertici israeliani sembra il boicottaggio della base, una campagna globale partita nel 2005 in Palestina e diventata internazionale: il Bds fa paura, tanta paura che nel 2011 il parlamento israeliano votò a favore di una legge che criminalizzava chiunque – associazione o individuo – facesse appello al boicottaggio contro Israele. La legge era rimasta sospesa, in attesa del verdetto della Corte Suprema.

Il verdetto è arrivato ieri: la corte ha confermato la legittimità della “Legge per la Prevenzione dei danni allo Stato di Israele attraverso il boicottaggio”, aprendo la strada alla repressione del movimento dentro il paese. La normativa permette a chi si senta danneggiato di denunciare e chiedere rimborsi a individui o organizzazioni impegnate nel boicottaggio economico, culturale a accademico di Israele. Al ministro delle Finanze è dato poi il potere di penalizzare qualsiasi organizzazione che riceva fondi statali se partecipa alla campagna, revocare esenzioni dalle tasse e cancellare benefici legali o economici.

L’unica concessione che la corte ha fatto al movimento del boicottaggio è stata cancellare l’articolo che permetteva di muovere denunce e chiedere risarcimenti anche senza presentare prove del danno subito. Troppo anche per la Corte Suprema.

Subito si è sollevata la galassia delle organizzazioni per i diritti umani, sia palestinesi che israeliane: Sawsan Zaher, avvocato di Adalah (centro per i diritti della minoranza araba in Israele), ha avvertito del pericolo che la legge danneggi “soprattutto i palestinesi che più di ogni altro sono in prima linea nella lotta contro l’occupazione e la violazione dei diritti di chi vive sotto occupazione”. Adalah fa parte di una coalizione di 8 associazioni, sia palestinesi che israeliane, che avevano presentato alla Corte una petizione per impedire l’approvazione definitiva della legge.

“La legge sul boicottaggio è una legge che mette sotto silenzio le critiche legittime – si legge nel comunicato delle otto Ong – La sentenza è un duro colpo alla libertà di espressione e ai diritti fondamentali di partecipazione politica”. “Anche se non era mai stata usata, la sua conseguenza più visibile è l’effetto di paura che ha generato – aggiunge il direttore del blog israeliano 972mag, Michale Omer-man – Le organizzazioni si sono autocensurate per proteggersi da cause civili”.

Una legge che si abbatte su una forma di resistenza del tutto non-violenta, ormai alla base di numerose iniziative di protesta sulla scia del modello sudafricano, che regala speranza a tanti. Ma soprattutto il Bds ha segnato vittorie inattese, colpendo l’occupazione dove fa più male: negli affari.

Fonte: Nena News