La Corte ha annullato una disposizione di poca importanza della legge, che ha concesso un risarcimento straordinario più consistente senza la necessità di provare i danni, ma ha lasciato invariato il resto della legge.
Stanotte, 15 aprile 2015, l’Alta Corte Israeliana ha emesso una sentenza di 233 pagine in cui si rigetta la maggior parte di una petizione promossa da organizzazioni per i diritti umani e movimenti politici contro la legge antiboicottaggio.
La legge, promulgata nel luglio 2011, impone sanzioni nei confronti di individui o enti che promuovano il boicottaggio economico, culturale o accademico delle colonie israeliane in Cisgiordania o dello stesso Israele. Consente a soggetti di richiedere ed ottenere risarcimenti da parte di individui o organizzazioni che abbiano promosso il boicottaggio. Permette inoltre al Ministero delle Finanze di imporre pesanti sanzioni a persone, gruppi e istituzioni [israeliane] che ricevano aiuti statali nel caso in cui invitino o partecipino ad un boicottaggio.
Le organizzazioni che hanno presentato il ricorso contro la legge hanno aspramente criticato la sentenza dell’Alta Corte:
“Oggi l’Alta Corte si è astenuta dal fare una cosa imprescindibile – difendere la libertà di espressione. La Legge antiboicottaggio è una legge per “ tappare la bocca”. Il suo unico scopo è mettere a tacere le critiche legittime. La decisione della Corte permette di sanzionare la libertà di espressione e il diritto all’azione politica relativamente a temi di discussione oggetto di aspre contestazioni.”
Ma’ayan Dak della Coalizione Donne per la Pace, che promuoveva il boicottaggio e il disinvestimento prima dell’entrata in vigore della legge, ha affermato che “il boicottaggio e il disinvestimento sono riconosciuti a livello mondiale come strumenti legittimi e nonviolenti di protesta. Con la sua decisione, l’Alta Corte ha approvato la messa a tacere e la limitazione della legittima protesta mirata a criticare e modificare la politica israeliana.”
Sawsan Zaher, legale di Adalah [ organizzazione per i diritti umani e appoggio giuridico che intende promuovere la parità di diritti per i palestinesi citta dini israeliani e per quelli che vivono nei Territori Palestinesi Occupati. N.d.tr.], ha dichiarato che “questa legge arbitraria colpisce soprattutto i palestinesi, poiché essi sono in prima linea nella lotta contro l’occupazione e la violazione dei diritti umani del loro popolo sotto occupazione in Cisgiordania e a Gaza.” Ha inoltre evidenziato che la legge è ancor più problematica per i palestinesi residenti a Gerusalemme est occupata, poiché impedisce loro di utilizzare il fondamentale strumento di protesta civile del boicottaggio per porre fine all’occupazione.
I promotori del ricorso hanno sottolineato che la legge viola il fondamentale principio dell’uguaglianza, poiché in altri ambiti, come le proteste dei consumatori, le persone possono invitare al boicottaggio senza essere soggette a cause per danni. Inoltre l’Alta Corte ha concesso allo stato di allocare risorse in base all'orientamento politico delle organizzazioni e di escludere da tali risorse gli enti che sono critici verso le politiche statali. Questo è un fatto grave perché le risorse pubbliche dovrebbero essere distribuite in parti uguali alle diverse componenti della società, anche se, e specialmente quando, vi sono importanti divisioni.
Hassan Jabareen e Sawsan Zaher, avvocati di Adalah, e l’avvocato dell’ACRI Dan Yakir hanno sostenuto, nel ricorso [contro la legge] e di fronte all’Alta Corte, che la legge ha imposto un “prezzo da pagare” [un richiamo al gruppo di estremisti israeliani "Price tag", che compie attacchi contro i palestinesi per "fargli pagare il prezzo". N.d.tr.] per opinioni politiche legittime ed ha minato il dibattito pubblico sulle questioni più controverse della società israeliana. La legge ha avuto un “effetto di congelamento” impedendo l'appello al boicottaggio come strumento politico.
Il ricorso è stato presentato a nome di otto organizzazioni della società civile, comprese cinque tra le principali organizzazioni israeliane per i diritti umani – Adalah; Associazione per i Diritti Umani in Israele (ACRI); Comitato Pubblico contro la tortura in Israele (PCATI); HaMoked-Centro per la Difesa dell’Individuo; Yesh Din. Tra i promotori della petizione sono incluse anche tre organizzazioni che promuovono un boicottaggio economico come strumento per porre fine all’occupazione: la Coalizione Donne per la Pace; l’Alto Comitato di Monitoraggio per i Cittadini Arabi di Israele; il Centro di Gerusalemme di Assistenza Legale e Diritti Umani.
Riferimento della causa: HCJ 2072/12, Coalizione Donne per la Pace ed altri versus Ministero delle Finanze ed altri (sentenza emessa il 15 aprile 2015)
Fonte: Adalah
Traduzione di BDS Italia