Un nuovo rapporto del team di giornalismo investigativo DanWatch evidenzia in modo inquietante il modo in cui le imprese danesi aiutano ad alimentare l’occupazione militare israeliana in Palestina.
Il rapporto sostiene che fondi di investimento danesi investono 689 milioni di corone danesi (circa 94 milioni di euro) in società che hanno attività negli insediamenti illegali israeliani in Cisgiordania. Questi fondi, quindi, contribuiscono al mantenimento dell'apparato dell'occupazione israeliana, tra cui la il muro di separazione ("Apartheid") e gli insediamenti.
Inoltre, dice DanWatch, i fondi pensione danesi investono più di 1 miliardo di corone in società coinvolte nella costruzione o nella cooperazione con i posti di blocco militari, il Muro e gli insediamenti. Questi investimenti sono stati evidenziati in una precedente relazione di DanWatch. Sebbene non abbiano l’intenzione di disinvestire completamente, aziende come G4S e ISS hanno ridotto le loro attività nei territori occupati in seguito alla denuncia internazionale del loro sostegno all'occupazione. Secondo il diritto danese, gli investimenti in società che traggono profitto dall'occupazione sono illegali.
I fondi di investimento citati da DanWatch sono Danske Invest, Nykredit Invest, Bank Invest, Nordea Invest, Sydinvest, Jyske Invest, Sparinvest e SEB Invest. Tutti questi fondi sono soggetti al rispetto dei principi guida delle Nazioni Unite sul commercio e i diritti umani. In effetti, l'ONU, l'UE e il governo danese hanno ripetutamente messo in guardia le aziende dai rischi derivanti da investimenti nell'occupazione israeliana. Gli insediamenti, il muro di separazione e i posti di blocco in Cisgiordania minano il diritto internazionale in quanto violano i diritti umani del popolo palestinese.
Ciò nonostante, questo nuovo rapporto ha individuato ingenti investimenti danesi in aziende che forniscono apparecchiature di sorveglianza per i posti di blocco, cemento e materiali di costruzione per la manutenzione del muro di separazione e ruspe per l'esercito israeliano. Così facendo, queste società di investimento rischiano l’accusa di complicità in violazioni dei diritti umani nei territori occupati.
Il rapporto DanWatch rivela le contraddizioni insite negli investimenti di queste imprese. Tutte queste aziende, per esempio, sostengono di attenersi alle linee guida delle Nazioni Unite in quanto sostengono che tali operazioni rientrano tra gli "investimenti etici". Bank Invest, Jyske Invest e Sydinvest sovvenzionano la Cemex, che fornisce cemento per gli insediamenti israeliani, i posti di blocco e il Muro. La Cemex è nella lista nera della Nordea Invest, che ha partecipazioni nella Banca israeliana Hapoalim che, a sua volta, offre prestiti a progetti di costruzione negli insediamenti, ed è, di conseguenza,nella lista nera della Danske Invest.
Secondo DanWatch tutti i fondi, tranne uno, hanno investimenti nella società statunitense Caterpillar. Questa azienda fornisce i bulldozer D9 all'esercito israeliano, che li utilizza per le devastanti e talvolta letali demolizioni di case palestinesi. Secondo Human Rights Watch, è con questi bulldozer che nel 2010 l’esercito israeliano distrusse gli edifici mentre i civili si trovavano ancora all’interno.
Gli investimenti continuano, nonostante le sollecitazioni del governo danese alle aziende affinché evitino di intraprendere affari con imprese coinvolte, o che stanno traendo benefici, dagli insediamenti israeliani. "Il governo", ha detto il ministro del commercio e dello sviluppo Mogens Jensen lo scorso settembre, "ha più volte ricordato al pubblico che i cittadini e le imprese danesi non dovrebbero partecipare in attività e commerci che possono beneficiare gli insediamenti israeliani. Lo dirò ancora una volta."
È interessante notare che la Municipalità di Copenhagen ha un totale di 2,21 milioni di corone danesi investiti in sette aziende che contribuiscono alla costruzione o alla gestione di posti di blocco, del Muro o di insediamenti nella Cisgiordania occupata.
L’ampio risalto dato agli investimenti illegali negli insediamenti israeliani ha avuto l'effetto di far togliere dai rivenditori danesi i prodotti di bellezza Ahava dagli scaffali. Un certo numero di supermercati vendono frutta comprata dall’ esportatore israeliano Mehadrin, che ha prodotti coltivati in Israele e negli insediamenti. La catena di supermercati Coop ora vuole che gli esportatori israeliani firmino un accordo formale che garantisca di fornire solo prodotti da Israele e non dagli insediamenti.
Un altro esempio di una società con sede in un insediamento colpita dal boicottaggio è Sodastream, che quest'anno ha dovuto spostare la produzione in Israele, a seguito di una pubblicità negativa nel 2014. Un certo numero di aziende danesi continua a rifornirsi dei prodotti Sodastream.
Fonte: Middle East Monitor
Traduzione di BDS Italia