La traduzione di alcuni estratti dell’intervento di Mahmood Mamdani in occasione dell’incontro “Palestine’s South African Moment? The Boycott, Divestment, and Sanctions Movement”, tenutosi a New York il 2 dicembre, presso il Center for Palestine Studies della Columbia University.
Gli estratti sono stati inizialmente pubblicati sul blog Mondoweiss. La traduzione è a cura di Nicola Perugini.
Voglio iniziare con una considerazione: la vittoria contro il Sud Africa dell’apartheid non è stata una vittoria militare. La fine dell’apartheid è stata il risultato di un negoziato.
Il boicottaggio e la collaborazione sono i due estremi di una gamma di tattiche. Nel mezzo vi è tutta una serie di forme di impegno critico. Il boicottaggio è uno dei vari strumenti possibili, e vederlo separato dagli altri sarebbe fuorviante. Vedere il boicottaggio in un contesto più ampio significa comprendere la politica in cui boicottaggio si inserisce. Di qui la mia domanda: qual è stata la svolta nella lotta contro l’apartheid in Sud Africa? Qual è stato il momento cruciale sudafricano?
Il mio argomento è il seguente. Credo che la svolta sudafricana sia consistita in una svolta su tre fronti. In primo luogo una svolta che ha portato dalla richiesta della fine dell’apartheid all’offerta di un’alternativa all’apartheid. In secondo luogo una svolta in termini di rappresentanza politica: dalla rappresentanza del popolo nero del Sud Africa (la maggioranza) a una rappresentanza dell’intero popolo sudafricano. In terzo luogo una svolta dalla resistenza all’interno dei termini fissati dall’apartheid a un ripensamento su come governare il Sud Africa dopo la fine dell’apartheid.
Provo a spiegare più nei dettagli il mio argomento.
La svolta sudafricana si è costituita nel tempo e in risposta a una serie di sfide a cui la lotta contro l’apartheid ha dovuto far fronte. Voglio iniziare con il 1963, Sharpeville, la nascita della lotta armata, la guerriglia volta a liberare la popolazione disarmata, la rivoluzione organizzata sulle orme della questione di Lenin “Che fare?”, la creazione di un’avanguardia la cui missione era guidare e liberare il popolo. Nell’immaginario marxista le guerriglie erano come pesci nella loro acqua: la guerriglia, il pesce, era attiva, e l’acqua pronta a sostenerla. Mentre si sviluppava, la lotta armata ha prodotto risultati insoddisfacenti, per non dire negativi. Più gli attivisti venivano esiliati più la popolazione era pacificata. Il capitale prese il sopravvento. Gli anni Sessanta erano anni di rapido sviluppo economico. Erano gli anni del grande influsso di capitale straniero in Sud Africa. Gli storici che si occupano di economia definiscono gli anni Sessanta il decennio della seconda industrializzazione sudafricana. Dal punto di vista del popolo, gli anni Sessanta furono un periodo di relativo silenzio, il silenzio dei morti.
Quel silenzio è stato rotto dai fatti di Soweto nel 1975. Soweto ha prodotto tre effetti. In primo luogo ha spostato l’iniziativa politica dai rivoluzionari di professione in esilio agli attivisti sul territorio sudafricano. In secondo luogo ha spostato l’attenzione dalla lotta armata all’azione diretta. I giovani di Soweto non avevano armi, ma solo pietre. Da questi due punti di vista Soweto evoca la prima Intifada. Ma, in terzo luogo, Soweto ha prodotto anche una svolta ideologica nell’immaginario popolare, una profonda trasformazione. Prima di Soweto la resistenza in Sud Africa si era sviluppata all’interno dei termini fissati dall’apartheid. Poi qualcosa cambiò.
Per comprendere questo quadro dobbiamo guardare all’apartheid come a una forma di governo. L’apartheid ha diviso la popolazione in razze, africani, indiani, gente di colore, bianchi e altri gruppi. In risposta a questa logica, ciascuna popolazione si è organizzata come una razza: gli africani nell’African National Congress; gli indiani organizzati da Ghandi come Natal Indian Conference (mi dispiace ma il Ghandi classico, per così dire, non può corrispondere all’immagine di Ghandi che si chiede di creare in Palestina); la gente di colore nel Coloured People’s Party, e i bianchi nel Congress of Democrats.
Il Congress era un’alleanza che includeva tutti questi gruppi separati di resistenza basati sull’appartenenza razziale. È così che il modo di governo dell’apartheid fu naturalizzato dalla resistenza. All’interno di questo quadro di naturalizzazione si svilupparono due rotture. La prima fu nel 1955, con l’atto costitutivo dell’ANC, che conteneva la frase seguente: «Il Sud Africa appartiene a tutti i suoi abitanti». Questa dichiarazione fu prodotta da un’élite, ma conteneva un profondo significato ideologico. Essa segnò la nascita di un pensiero non-razziale.
La seconda rottura, altrettanto importante, fu il lavoro di Steve Biko e del Movimento della Coscienza Nera. Questo movimento nacque dall’alleanza dal basso tra persone ordinarie, soprattutto studenti, e la sinistra. L’atto costitutivo dell’ANC creò le basi per un’alleanza non-razziale dall’alto; il suo effetto fu l’inclusione di singoli bianchi nella lotta contro l’apartheid. Il Sud Africa si autodefiniva come la sola democrazia a sud del Sahara, al pari di Israele, che si autodefinisce la sola democrazia del Medio Oriente. Entrambe erano/sono democrazie, ma solo per un gruppo razziale ben definito. Entrambe erano/sono definite in base alla razza: una democrazia per soli ebrei in Israele e una democrazia per soli bianchi in Sud Africa. Entrambe usano la democrazia come una foglia di fico che nasconde il privilegio razziale.
L’ANC sviluppò una nozione radicale di democrazia. Non una democrazia per un solo gruppo razziale; non una maggioranza contrapposta a una minoranza; ma una democrazia per tutti. È così che singoli attivisti bianchi che si opponevano all’apartheid incominciarono a entrare nelle fila dell’ANC. Sono molto contento di sapere che vi sono membri ebrei nel movimento per il Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni contro Israele (BDS). Non ne ero al corrente e ne sono molto felice.
Coscienza Nera e il lavoro di Steve Biko si svilupparono dal basso. Questo movimento rappresentava l’unità di tutti gli oppressi, poiché Coscienza Nera includeva gli africani, gli indiani e le genti di colore. Il modo di governo dell’apartheid aveva frammentato la popolazione. Il censo registrava la popolazione in gruppi frammentati. La grande conquista storica del Movimento della Coscienza Nera fu il rovesciamento del modo di governo dell’apartheid. Il nero, diceva Biko, non è un colore, ma un’esperienza. Se sei oppresso sei nero.
Penso che in questa storia ci sia una lezione valida anche per la lotta contro il Sionismo.
La situazione palestinese è diversa da quella del Sud Africa dell’apartheid. Negli anni Sessanta una delegazione palestinese giunse a Dar es Salaam, in Tanzania, e incontrò [il Presidente Julius] Nyerere. Nyerere gli disse: «La vostra situazione è molto peggio di tutto ciò che abbiamo visto in questo continente. Noi abbiamo perso la nostra indipendenza, voi avete perso il vostro Paese». Infatti solo una piccola parte della popolazione sudafricana è stata espulsa dal proprio Paese. Mentre la maggioranza dei palestinesi vive al di fuori della Palestina storica.
Questa è una catastrofe inaudita.
Ma dall’altro lato ciò che vi è di positivo è la straordinaria resilienza della popolazione palestinese di fronte a questa catastrofe; una resilienza che non sfugge a nessuno. Viviamo in un’epoca in cui la violenza politica e la violenza criminale vengono confuse, un’epoca in cui tutte le forme di resistenza sono ridefinite come terrore e in cui la repressione viene chiamata guerra al terrore. La principale eccezione in questa tendenza è la Palestina. Questa eccezione è un omaggio della tenacità del popolo palestinese, guidata dagli abitanti di Gaza e dal lavoro politico svolto dalla resistenza palestinese, incluso il movimento per il Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni. È grazie a loro che Israele e gli Stati Uniti non sono stati in grado di archiviare la resistenza popolare nella Palestina storica come una forma di terrorismo. Il mondo è convinto più che mai che la causa del popolo palestinese è una causa giusta.
Dunque cosa ci impedisce di fare passi avanti? La forza militare degli Stati Uniti e di Israele? Credo che si commetterebbe se si pensasse questo. Dal mio punto di vista il problema è duplice.
Certo, gli Stati Uniti e Israele sono ancora convinti che la resistenza palestinese possa essere vinta militarmente. Ma il problema centrale è che la popolazione ebrea di Israele non è ancora convinta che vi sia un’alternativa al Sionismo. Questa è la sfida. Il messaggio sionista alla popolazione ebrea di Israele è il seguente: il Sionismo è la sola garanzia contro un nuovo Olocausto. La sola difesa contro un nuovo Olocausto è lo Stato di Israele.
La vera sfida per la resistenza palestinese è politica, non militare. Proviamo a tornare al Sud Africa dell’apartheid per chiarire ulteriormente questo punto. Consideriamo due fatti.
Il partito dell’apartheid, il National Party, è salito al potere negli anni Sessanta, attraverso un processo elettorale, ed è rimasto saldamente al potere in ogni elezione successiva. La dissoluzione dell’apartheid è avvenuta anche attraverso un referendum per soli bianchi in cui la popolazione bianca ha autorizzato il proprio governo a negoziare con i rappresentanti della maggioranza nera. Questo referendum ha avuto luogo in concomitanza con un ampio dibattito sia tra la popolazione bianca sia tra la popolazione nera. Tra i neri il punto di vista oltranzista era portato avanti dal Pan African Congress, il PNC. Il suo slogan era “un colono, una pallottola” e la soluzione che prospettava una soluzione all’algerina: fuori tutti i coloni. Tra i bianchi il punto di vista oltranzista fu messo in discussione da tutta una serie di organizzazioni, dal Partito Conservatore all’AWB [Afrikaner Resistance Movement], e sostenuto con argomenti riassunti molto chiaramente nel libro Il cuore del mio traditore [My Traitor’s Heart], del giornalista Rian Malan. Malan era il discendente di uno degli ex-presidenti del Sud Africa. [Mamdani spiega che il libro di Malan era un insieme di report sui crimini raccapriccianti commessi da neri contro neri in zone nere di Johannesburg]. Il messaggio del libro era: se questo è ciò di cui sono capaci contro se stessi, che cosa potrebbero fare ad altri? Questo è ciò che sono i neri sudafricani. Ma Malan non riuscì a convincere la maggior parte dei bianchi sudafricani. Perché? Perché parti consistenti del movimento di liberazione avevano ormai iniziato a pensare in termini olistici. La lotta in Sud Africa non era contro i coloni ma contro il potere dei coloni. Senza uno stato che sanciva legalmente i privilegi dei coloni, i coloni sarebbero diventati dei migranti ordinari.
Dunque la svolta sudafricana ha avuto luogo quando parti consistenti del movimento di liberazione hanno ridefinito il nemico non come il colono ma come lo stato dei coloni; non come il bianco ma come il potere dei bianchi. In questo modo hanno offerto un’alternativa ai bianchi: non una democrazia per soli bianchi ma una democrazia non-razziale.
Nel 1993 mi trovavo a Durban quando il capo del Partito Comunista Sudafricano, Chris Hani, fu assassinato in un sobborgo di Johannesburg. Centinaia di migliaia di persone gli resero omaggio nel suo funerale, dove ascoltarono le parole di Nelson Mandela. La polizia disse di non essere sicura di poter controllare la folla. I minatori dissero che ci avrebbero pensato loro—e ci riuscirono. Mandela non parlò solo ai presenti, ma all’intera nazione. Da quel giorno, nonostante Frederik Willem de Klerk continuasse a essere formalmente il presidente del Sud Africa, Mandela divenne il nuovo leader indiscusso.
[Mamdani fa poi riferimento alla sua esperienza di insegnamento all’Università di Capetown, dove tenne una lezione inaugurale nel 1998].
Il titolo della mia lezione inaugurale era Quando un colono diventa un nativo?L’auditorium era pieno di bianchi! Volevano una risposta! Quando un colono diventa nativo? La mia risposta è stata: “mai”. Mai. Mai perché il nativo è una creazione dello Stato dei coloni. Il nativo è inventato come l’altro del colono. Si dice che il colono è definito dalla storia e che il nativo dalla geografia. Si dice che il colono fa la sua storia e che il nativo è prigioniero di abitudini invariabili. E così via. La mia conclusione fu che il colono e il nativo vanno insieme. Si riproducono attraverso una relazione tra i due. Nessuno dei due può esistere in una condizione di isolamento. Quando se ne distrugge uno anche l’altro cessa di esistere.
In Sud Africa la liberazione è stata il risultato di una combinazione di fattori: la guerra regionale, l’azione diretta all’interno del Paese, e il cambiamento degli equilibri di potere globali. La battaglia decisiva nella guerra regionale fu quella di Cuito Cuanavale [1987-1988], in Angola, dove le forze cubane sconfissero l’esercito sudafricano. Ciò risultò nell’indipendenza della Namibia. L’isolamento regionale del Sud Africa fu totale, così come i suoi limiti militari.
Ma il fattore decisivo fu quello interno, l’azione diretta. Da Durban 1973 a Soweto 1975, passando per l’insurrezione nelle township e il disinvestimento e boicottaggio degli anni Ottanta, a cui si aggiunse la fine della Guerra Fredda— e con la sua fine non vi furono più ragioni morali per sostenere l’apartheid. Tutti questi sviluppi furono importanti ma, come ho detto, l’elemento decisivo fu quello interno.
L’azione diretta iniziò negli anni Sessanta e continuò negli anni Settanta e Ottanta, e costituì una risposta a ciò che ormai era evidente agli occhi di tutti: la lotta armata era uno strumento di propaganda, nella migliore delle ipotesi, o un vuoto motivo di vanto, nella peggiore. L’azione diretta cominciò negli anni Sessanta con la divisione all’interno dell’organizzazione liberale degli studenti bianchi. L’organizzazione ammise studenti neri al suo interno, e alla fine degli anni Sessanta i membri neri decisero di formare la propria organizzazione, AZASO, da cui nacque Coscienza Nera. Entrambe le anime del movimento studentesco, bianca e nera, riuscirono a mobilitare varie componenti delle loro comunità contro l’apartheid. Gli studenti neri si spostarono nelle township e mobilitarono le loro comunità e i lavoratori contro l’apartheid. Gli studenti bianchi si spostarono negli ostelli per mobilitare i lavoratori migranti.
A distanza di un decennio una dall’altra nacquero due federazioni. La prima è stata FOSATU (Federation of South African Trade Unions), la cui leadership comprendeva molti studenti o ex-studenti bianchi. La seconda è stata COSATU (Congress of South African Trade Unions), la cui leadership proveniva dalla comunità stessa. L’importanza degli studenti bianchi non era numerica. Erano pochi, ma erano figure chiave nell’organizzazione dei lavoratori migranti. Essi entrarono a far parte dell’ANC e del Partito Comunista Sudafricano, e diventarono il loro canale di comunicazione decisivo con la popolazione bianca.
Ho due conclusioni.
La prima è che la lotta contro l’apartheid ha educato il Sud Africa bianco, visto che l’affermazione secondo cui non c’è sicurezza per i bianchi senza il potere bianco si è rivelata una farsa. Invece è vero il contrario. Per avere sicurezza i bianchi hanno dovuto abbandonare il monopolio del potere.
La sfida palestinese consiste nel persuadere la popolazione ebrea e il mondo, come in Sud Africa, che la sicurezza a lungo termine per una patria ebrea nella Palestina storica richieda lo smantellamento dello stato ebraico. La lezione per la Palestina e per Israele è che la Palestina storica può essere una patria per gli ebrei, ma non per soli ebrei. Gli ebrei possono avere una patria in Palestina, ma non uno Stato.
La mia seconda conclusione è la seguente. L’apartheid legale e politico è finito nel 1994. Il 1994 è un evento critico nella storia contemporanea africana. È il momento in cui due eventi differenti si sono verificati: la fine dell’apartheid in Sud Africa e il genocidio in Ruanda. Entrambi gli eventi si sono verificati nella prima metà del 1994. Se dieci anni prima, nel 1984, aveste detto a degli intellettuali africani che dieci anni dopo ci sarebbe stata una riconciliazione in uno di questi due Paesi e un genocidio nell’altro, e se gli aveste chiesto in quale dei due sarebbe successo cosa, scommetto che tutti si sarebbero sbagliati. Tutti. Perché? Perché gli anni Ottanta erano il periodo delle battaglie delle township in Sud Africa. L’esercito sudafricano occupava le township, sparava, uccideva, metteva la gente in prigione. E gli anni Ottanta erano il periodo in cui il regime ruandese stava cercando una riconciliazione.
Dieci anni dopo tutto è cambiato. Questa è la testimonianza che nulla è impossibile in politica.
Fonte: Lavoro Culturale
Originale in inglese: Mondoweiss
Traduzione di Nicola Perugini