LIBERTÀ. GIUSTIZIA. UGUAGLIANZA.

Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni per i diritti del popolo palestinese.

Fin dall'inizio dell'assalto israeliano a Gaza, sono emerse per tutta la Cisgiordania una raffica di campagne popolari che chiedono il boicottaggio dei prodotti israeliani.

Molti negozi hanno tolto dagli scaffali le merci israeliane e le hanno sostituite con gli equivalenti locali, mentre altri negozi hanno continuato a tenerle in magazzino ma evidenziando le merci palestinesi con allegre bandiere nazionali posti più visibili sugli scaffali.

Dopo quasi un decennio dal lancio della campagna mondiale di boicottaggio di Israele, gli ultimi due mesi hanno finalmente visto in tutta la Cisgiordania una massiccia effusione di entusiasmo per fermare "il sostegno al tuo occupante.”

Tuttavia, nonostante i manifesti celebrativi e gli scaffali riarrangiati, l'improvvisa ascesa del movimento di boicottaggio ha sollevato più ampie domande su quanto possa essere efficace un possibile boicottaggio all'interno del territorio occupato da Israele.

A causa degli Accordi di Oslo del 1993, che diedero a Israele controllo quasi totale e libero accesso all'economia palestinese, limitando fortemente allo stesso tempo le importazioni e le esportazioni palestinesi, in Cisgiordania è quasi impossibile trovare un solo negozio di alimentari non rifornito principalmente di merci israeliane.

Ma con il movimento di boicottaggio che non mostra segni di rallentamento e una manciata di aziende israeliane che, nella sua scia, stanno riportando crescenti perdite economiche, la campagna sta costringendo molti a porsi una domanda a lunga taciuta: è possibile boicottare Israele anche mentre si è sotto occupazione?

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Un ritorno alla coscienza di resistenza

"Negli ultimi anni, molti palestinesi pensavano che gli abitanti della Cisgiordania si fossero addomesticati e non più in grado di resistere," ha detto a Ma’an Tariq Dana, consigliere di politica per il gruppo think-tank palestinese Al-Shabaka.

Ma la campagna di boicottaggio è un “importanto segno ed indicatore rinascita della coscienza della resistenza palestinese in Cisgiordania,” ha detto.

Durante un'intervista nel della città meridionale della Cisgiordania di Beit Sahour, in un locale chiamato Singer Cafè, ritrovo politico locale le cui pareti sono ricoperte di ritratti di eroi della sinistra come George Habash e Che Guevara, Dana ha detto a Ma'an che, a seguito della recente offensiva israeliana su Gaza che ha causato più di 2.000 morti, è cambiato qualcosa nella mentalità ciosgiordana.

Dana ha sottolineato che la campagna di boicottaggio è "emersa spontaneamente" in tutta la Cisgiordania, suggerendo come la natura disorganizzata abbia permesso di evitare gli ostacoli che un’intifada su vasta scala avrebbe potuto affrontare.

“Ci sono state molte analisi sul potenziale di una Terza Intifada in Cisgiordania, ma ci sono un sacco di restrizioni attuate da Israele e dall'Autorità Palestinese, così come l'assenza di strutture politiche, partiti, società civile, e organizzazioni politiche basate sulle masse per dirigere la rabbia nella giusta direzione,” ha detto.

“Ma boicottaggio è un altro strumento di resistenza,” ha continuato, “E qualsiasi intifada è una forma di rivoluzione.”

Dana ha detto che, nonostante gli ostacoli che gli Accordi di Oslo hanno posto sulla strada per l’autosufficienza dei palestinesi - tra cui lo smantellamento delle istituzioni che hanno promosso il boicottaggio durante la prima Intifada – il boicottaggio è una grande occasione.

“Il boicottaggio deve diventare una cultura integrale nella società palestinese, e richiederà il cambiamento del nostro stile di vita... la gente deve boicottare i prodotti israeliani, indipendentemente se siano migliori o no, perché ci danneggiano e sostengono l'occupazione.”

Dana ha sottolineato la necessità di “garantire che la campagna sia sostenibile e istituzionalizzata, non solo gruppi qua e là, ma attraverso organizzazioni, comitati e partiti politici.”

Ha anche sottolineato l'esperienza della città di Beit Sahour durante la Prima Intifada, notando come il paese produsse "semplici forme di auto-sufficienza" per ridurre la dipendenza dai prodotti israeliani.

“Beit Sahour poteva fare pieno affidamento sulla sua base produttiva per la produzione di prodotti semplici, e inventarono i cosiddetti Victory Gardens - giardini comuni in quartieri che le persone condividevano. E' stato un modello semplice ma efficace.”

"Beit Sahour poteva completamente boicottare i prodotti israeliani per anni, e non si trovava nessun prodotto israeliano nei mercati locali,” ha aggiunto. "La prima Intifada era molto più di gente che lanciava pietre... comprendeva un cambiamento dello stile di vita.”

Infatti, il piccolo villaggio di Beit Sahour, vicino a Betlemme, è famoso per il suo uso innovativo delle campagne di boicottaggio, tra cui la ribellione del 1989, quando i residenti smisero di pagare le tasse con lo slogan "No taxation without representation” [No alla tassazione senza rappresentanza, ndt].

Sebbene l'esercito israeliano rispose con un assedio alla città durato 42 giorni, la ribellione - insieme a una caccia all'uomo israeliana per 18 mucche che gli abitanti locali utilizzavano per evitare l'acquisto di latte israeliano – fece di Beit Sahour un simbolo del desiderio palestinese per la libertà.

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“Non possiamo isolare le nostre case dalla rete” 

L’attuale sindaco di Beit Sahour, Hani Al-Hayek, tuttavia, è dubbioso che le strategie una volta utilizzate per ottenere tali risultati in città siano ancora funzionanti.

Anche se l'ufficio del sindaco dista solo una breve passeggiata lungo un vicolo che dal Singer Cafè porta nella tranquilla città vecchia di Beit Sahour, l’ufficio comunale sembra essere un mondo a parte, con i locali degli uffici e per le attività ufficiali adornati dentro e fuori con manifesti per la promozione del turismo.

“Quasi 4 miliardi di dollari all'anno vanno ad Israele attraverso prodotti che acquistiamo, ma la maggior parte di questa somme è composta da elettricità, acqua e carburante,” ha detto al-Hayek a Ma'an. “Cosa dobbiamo fare? Non possiamo isolare le nostre case dalla rete.”

Anche se al-Hayek riconosce come il movimento di boicottaggio abbia messo a frutto successi nelle ultime settimane, ha sottolineato che la salvezza non possa venire attraverso il boicottaggio di "yogurt e succo", a causa dei problemi economici strutturali che affrontano i palestinesi.

“Il boicottaggio non può essere un paio di cose qua e là, deve coinvolgere un ampio sostegno dei prodotti palestinesi.”

Al-Hayek ha sottolineato la necessità di un "programma pianificato sistematico ed organizzato per spingere il mercato palestinese in avanti," sostenendo che "dobbiamo sostenere la concorrenza, e non solo per due settimane. Il boicottaggio non può avvenire per due settimane a causa di quello che sta succedendo a Gaza.”

Al-Hayek ha detto che il comune ha allestito una mostra, nel mese di Agosto, per far familiarizzare i residenti locali con i prodotti palestinesi, nella speranza che questo incoraggiasse più persone a comprare locale.

La spinta per sostenere l'economia palestinese, tuttavia, affronta i principali ostacoli che non hanno origine né fine con la consapevolezza del pubblico.

Accanto al controllo israeliano su tutti i valichi di frontiera, i regolamenti israeliani in terra palestinese limitano la capacità degli imprenditori palestinesi di ampliare le proprie imprese produttive.

Un enorme 61% dei territori della West Bank è in Area C, sotto pieno controllo israeliano, e decine di migliaia di palestinesi -  grande maggioranza di questi agricoltori - sono stati sfrattati per la costruzione di insediamenti ebraici.

Costruire imprese in queste aree è un'impresa kafkiana, piena di permessi, potenziali demolizioni e molestie dell'esercito, che portando molti palestinesi a ricorrere invece alla cooperazione con l'occupazione attraverso l'importazione e la distribuzione dei prodotti israeliani.

Ad Ottobre, la Banca Mondiale ha stimato che il controllo israeliano sulla sola Area C - senza contare la grande varietà di restrizioni nel resto della Cisgiordania - costa all'economia 3,4 miliardi di dollari l'anno.

Anche se i palestinesi tentano di sostenere l'industria locale, le restrizioni israeliane su tutti gli aspetti della vita palestinese, istituzionalizzate dagli Accordi di Oslo, fanno sì che gli impedimenti strutturali alla realizzazione di un completo boicottaggio delle merci israeliane in Cisgiordania potrebbero essere insormontabili.

I critici della campagna affermano così che il boicottaggio può solo sperare di essere, al meglio, un atto simbolico, dando ai cisgiordani poca speranza.

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Una personale azione morale 

Tuttavia, non tutti vedono la potenziale natura simbolica del boicottaggio come un impedimento.

“Se vuoi parlare di simboli, questa intera struttura politica è simbolo del fatto che non abbiamo praticamente nessuna efficacia”, afferma in un’intervista via Skype a Ma’an l’artista palestinese Omarivs Ioseph Filivs Dinæ, alias Omar Joseph Nasser-Khoury.

"Ma se almeno abbiamo delle conseguenze su questi simboli, questi effetti hanno riverberi economici, internazionali e simbolici in tutto il mondo. Questo è sufficiente. Questo è un punto di partenza,” ha aggiunto, denunciando la "narrazione disfattista" che ha deriso il movimento di boicottaggio senza presentare chiare alternative.

Ai primi di Agosto, Nasser-Khoury ha lanciato una campagna chiedendo agli artisti palestinesi di rispettare il boicottaggio culturale di Israele, che ha ricevuto più di 200 firme.

Chiamata “Una ripetizione – un’escalation,” la campagna chiede il boicottaggio delle “piattaforme sioniste/israeliane e dei loro apologeti,” sottolineando che i palestinesi che lavorano con loro sono "direttamente complici... nell’oppressione, nell’omicidio, nell’espropriazione e nella pulizia etnica.” La campagna invita inoltre i creativi palestinesi “ad affrontare e rivalutare queste realtà oppressive e smantellarle.”

Il boicottaggio nel “settore artistico è molto più facile che in quello commerciale,” ha ammesso Nasser-Khoury “poichè , come artisti, non c'è bisogno di interagire con apparati ufficiali e burocratici del governo. Significa che siamo persone che hanno un privilegio, la creatività, e strumenti per creare degli esempi.”

Nasser-Khoury ha indicato esempi storici di resistenza culturale in Palestina, sostenendo che “la situazione non è cambiata”, e né dovrebbe esserlo la risposta.

“Prima del 1993, prima dell'OLP, tutta la Palestina era occupata, tutto lo spazio creativo e l'arte dissidente era sotto estrema costrizione e censura. Le persone rischiavano la prigione e venivano uccise (per la loro arte)... Non si poteva anche mettere i colori della bandiera insieme a qualsiasi tipo di scarabocchio.”

"Stiamo ancora sotto occupazione, veniamo ancora uccisi, oppressi, massacrati, e viviamo sotto un regime di apartheid. Solo perché c'è un governo dell’Autorità Nazionale Palestinese non significa che tutto questo è cambiato. Lo stesso vale per la Palestina del ’48.”

Riconoscendo che il BDS "non distruggerò Israele e il sionismo nottetempo” Nasser-Khoury ha affermato: "Almeno stiamo dicendo che siamo qui e che abbiamo capito. Noi non approviamo l’Autorità Palestinese, o Israele o il sionismo, o l'OLP, o chi è complice con loro, e abbiamo uno strumento con cui possiamo combattere. Si tratta di una forma di resistenza che non dovrà mai essere compromessa.”

Per Nasser-Khoury, anche se il boicottaggio economico non è riuscito a creare un cambiamento immediato sul campo, è un importante metodo per i palestinesi di affermare la loro esistenza e il loro rifiuto del colonialismo israeliano.

“Si tratta di un disimpegno che dice: mi rifiuto di avere relazioni con l'occupazione.”

"(Il boicottaggio) sono io che riconosco che, concedendoti la superiorità morale dimostrando quale sarebbe la normalità della situazione, sto approvando di quello che stai facendo. E non prendendo parte a questo, noi stiamo dicendo: No, questa non è una situazione normale.”

 

 

 

 

 

 

Fonte: maannews.net

Traduzione: BDS Italia