LIBERTÀ. GIUSTIZIA. UGUAGLIANZA.

Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni per i diritti del popolo palestinese.

Victoria Brittain

La nuova generazione di giovani attivisti negli Stati Uniti è in gran parte il risultato della molteplicità e della coerenza di una narrazione che emerge nei nuovi media da parte di una nuova generazione di palestinesi istruiti e sicuri di sé. 

Prima di tutto voglio ricordare la grande importanza strategica accordata ai media dal governo di Israele e dai suoi alleati.

In secondo luogo, voglio parlare di quella che io chiamo la guerriglia intellettuale dei nuovi media nel mondo anglofono.

In terzo luogo, per  illustrare questa guerra porterò alcuni esempi di come il potente e influente New York Times sia stato costretto a misurarsi in questa battaglia.

Infine, esaminerò la crescente ondata di attivismo per il Boicottaggio, il Disinvestimento e le Sanzioni nelle università statunitensi e il ruolo degli intrepidi e professionali scrittori palestinesi dei nuovi dei media nella creazione di questo nuovo momento di lotta popolare globale.

1.  La lunga relazione di compiacenza della stampa occidentale con la versione ufficiale israeliana sulla progressiva spoliazione del popolo palestinese per più di 60 anni è stata esaurientemente esplorata in innumerevoli ed eccellenti libri - e nuovi lavori su questo argomento vengono pubblicati in continuazione. (Non c'è pero ancora nulla di meglio del fondamentale libro del 1983 del professor Noam Chomsky, Il triangolo fatale. Gli Stati Uniti, Israele e i palestinesi, che, come il suo La fabbrica del consenso scritto in collaborazione con Edward Herman e uscito cinque anni più tardi, va al cuore delle relazioni di potere dietro alla storica compiacenza dei media).

Trent'anni dopo questi libri i dirigenti israeliani e i loro alleati e collaboratori nei media occidentali sono costretti a lavorare molto di più e a spendere ingenti somme di denaro nella lotta per mantenere il loro predominio nella narrazione. Il governo israeliano e i suoi amici stanno certamente spendendo quei soldi sia in patria che all'estero - con risultati alterni.

Solo il mese scorso, per esempio, il miliardario americano Sheldon Adelson, un forte sostenitore del primo ministro Benyamin Netanyahu, ha speso 5 milioni di dollari per comprare Makor Risho, un piccolo giornale israeliano della destra religiosa, che si aggiunge alla forza travolgente all'interno dei media israeliani dell'affermato giornale gratuito Israel Hayom. (L’operazione è stata duramente criticata in Israele sia da destra che da sinistra).

E, per relazionarsi al mondo esterno, per più di un decennio il governo israeliano ha organizzato in modalità semi-militare studenti e altri gruppi, che hanno sistematicamente inondato Internet con materiale hasbara, come ben sa chiunque abbia mai scritto qualcosa di critico sul governo di Israele.  Delle "cellule segrete" del Sindacato degli Studenti Israeliani all'interno delle sette università israeliane sono impegnati nelle relazioni diplomatiche online e fanno parte dell'arsenale di public diplomacy del Primo Ministro.

Nel frattempo, è stato ideato e lanciato Brand Israel, con un budget di svariati milioni di dollari e aziende internazionali leader nel campo delle pubbliche relazioni per promuovere l'immagine di Israele attraverso la cultura e il turismo (comprese cartine geografiche dove la Palestina non esisteva) in Europa e negli Stati Uniti. La cartina geografica è stato un errore che ha generato una grande quantità di critiche, mentre il forte impegno profuso nel tentativo di giustificare l'operazione Piombo Fuso a Gaza o gli attacchi alla Freedom Flotilla Mavi Marmara non ha avuto molto successo a livello internazionale. Tuttavia la narrazione politica israeliana di base domina ancora in Occidente. E a cosa possano arrivare il governo Israeliano e i suoi alleati nello sforzo di controllare la narrazione è emerso alcuni anni fa, in un articolo di Electronic Intifada sulla sistematica modifica delle voci di Wikipedia riguardanti Israele.    

2.  Contro questa potente corrente è in questi ultimi anni iniziata una sorta di guerriglia intellettuale che sfida il vecchio dominio attraverso una serie di iniziative, modestamente finanziate, nei nuovi media.

In molte aree sono visibile delle ammaccature nella vecchia narrazione principale di Israele, in cui rappresentata come l'unica democrazia in Medio Oriente, senza interlocutori fra i palestinesi, che minacciano la sua esistenza. Ecco tre esempi recenti e i loro effetti:

Un primo esempio è stato il modo in cui il movimento BDS ha abilmente tratto vantaggio dalla promozione da parte di una star del cinema di un prodotto proveniente da un insediamento illegale in Cisgiordania, con una campagna online diventata virale. Significativamente, l'azienda produttrice - SodaStream - ha assistito a uno slittamento del 14% del valore delle proprie azioni nel primo trimestre del 2014 dopo la debacle nella campagna di pubbliche relazioni affidata all’attrice Scarlett Johansson. Il mondo degli affari avrà preso nota: prodotto nelle colonie = pessima notizia per il valore delle azioni.

Un secondo esempio è la serie febbrile di controversie pubbliche nelle università statunitensi sul boicottaggio accademico delle università israeliane, e le proteste pacifiche degli studenti per la demolizione delle case, il Muro dell'apartheid ed altre ingiustizie affrontate dai palestinesi.

In terzo luogo vi è stata la decisione del New York Times all'inizio di quest'anno di pubblicare un editoriale del prominente attivista palestinese BDS Omar Barghouti.  Il NYT è un simbolo del giornalismo e della politica degli Stati Uniti. Il suo status prestigioso lo rende particolarmente importante per il conflitto intellettuale che esamino qui di seguito.

La fabbrica della SodaStream nell'insediamento illegale di Ma'ale Adumim era lì da 20 anni prima di assurgere a fama mondiale e Scarlett Johansson ha dovuto ritirare il suo sostegno all'ONG britannica Oxfam, quando ha scelto di continuare a sostenere SodaStream nonostante le polemiche. E la società civile palestinese aveva già lanciato l'appello per il boicottaggio, il disinvestimento e le sanzioni già da dieci anni prima di raggiungere l'attuale fase in cui vengono coinvolti amministratori universitari e politici nel tentativo recentemente avvenuto di mettere a tacere le opinioni e l'attivismo degli studenti. Il libro di Barghouti sul movimento BDS è stato pubblicato nel 2010 ed era stato largamente ignorata dai principali media.

Da dove viene questo cambiamento di atteggiamento e comportamento? Non dai leader politici palestinesi. E’l'effetto dei molti stranieri che visitano i Territori Palestinesi Occupati e di una moltitudine di iniziative mediatiche dal basso, soprattutto di giovani accademici, giornalisti, scrittori, cineasti e avvocati palestinesi. Hanno trovato un punto d’incontro nella campagna BDS lanciata nel 2005, e ora hanno creato un movimento di lotta popolare basata sulla moralità, la legittimità e la giustizia.

La Campagna per il Boicottaggio, il Disinvestimento e le Sanzioni (BDS) ha allontanato le dinamiche di potere dalla vuota diplomazia e ha spostato la battaglia per la Palestina nel regno della consapevolezza globale e della partecipazione pubblica ad una lotta di liberazione. Proprio di questo parla il rapper statunitense Jasiri X nella canzone Checkpoint.

Ovunque Internet ha spostato l'equilibrio di potere nel giornalismo rispetto a, diciamo, 20 o 30 anni fa. Semplicemente, non è più necessario lavorare per un grande conglomerato mediatico per raggiungere un pubblico di dimensioni decenti o perché la propria voce venga ascoltata. In tutto il mondo ci sono giornalisti, commentatori e attivisti che non hanno mai lavorato per una grande organizzazione dei media che hanno accumulato migliaia, o decine di migliaia, o anche più seguaci su Twitter - molti ma molti di più di quelli dei giornalisti e degli editorialisti a tempo pieno che lavorano per quelle consolidate organizzazioni.

In un mondo in cui le organizzazioni dei media sono finanziariamente in difficoltà e sono alla disperata ricerca di rumore e traffico mediatico, questi giornalisti e attivisti indipendenti possono avere una reale influenza. Le grandi organizzazioni dei media hanno bisogno di loro.

Negli ultimi dieci anni o giù di lì, Internet ha ovviamente reso disponibile una grande quantità di informazioni su quasi qualsiasi angolo del mondo. Questo è vero per la Palestina come per tutti gli altri posti. Quello che è diverso nel caso della Palestina è che diversi blog e siti web, per lo più scritti in inglese da una giovane generazione di palestinesi altamente istruiti, ora producono coraggiosamente un corpo coerente di reportage e di analisi che sta raggiungendo un nuovo pubblico - come nel caso SodaStream - e, con l'aiuto di YouTube, alimentano la nuova disponibilità degli studenti americani ad affrontare dure sanzioni per le azioni di protesta.

Citerò solo alcune delle nuove iniziative mediatiche che credo stiano creando questa coerente contro-narrazione sulle questioni palestinesi, in particolare negli Stati Uniti e nel Regno Unito: Al Shabbaka, Electronic Intifada, Jerusalem Fund / Palestine Centre di Yousef Munayer, Jadaliyya, e Palestine Chronicle di Ramzy Baroud. Il blog di Omar Barghouti sul movimento BDS e il giornalista britannico basato a Nazareth Jonathan Cook fanno parte dello stesso mosaico, così come The Real News e Al Monitor.  Mondoweiss, il blog israeliano 972, e Tikun raggiungono, in particolare, un pubblico ebraico di dimensioni significative degli Stati Uniti, che è uno dei settori in cui sono in corso dibattiti di tipo completamente nuovo, e vecchie certezze nell'atteggiamento verso Israele stanno subendo un'erosione. Altri media indipendenti di sinistra che scrivono spesso sulla Palestina, come Counterpunch, e Al Jazeera fanno parte di questo scenario in mutamento, che sta cominciando a cambiare anche nei principali media statunitensi.    

3. Uno di questi filoni è l'instancabile scrutinio a cui viene sottoposto il New York Times. I caposezione e i reporter del quotidiano che si occupano di Israele / Palestina sono invariabilmente basati a Gerusalemme Ovest e alcuni hanno avuto rapporti personali con Israele (per esempio: il figlio dell'ex responsabile della redazione di Gerusalemme Ethan Bronner ha presto servizio nell'esercito israeliano). Il Jerusalem Fund / Palestine Center con sede a Washington , la Electronic Intifada e Mondoweiss producono sistematicamente dettagliate critiche ai servizi del NYT. Si misurano con la professionalità del NYT - producendo ammaccature nella credibilità del principale giornale statunitense, e queste critiche sono amplificate da un numero incalcolabile di collegamenti nei nuovi media.

Ecco solo tre esempi recenti:

Primo: Il modo in cui è stato raccontato il passaggio della nuova legge che permette ad Israele di detenere i migranti africani senza processo per un anno:

Ecco il titolo della Reuter: Israele approva la detenzione senza accuse per i migranti africani

 Ecco il titolo di Haaretz: La Knesset da l'ok alla detenzione di migranti senza processo 

 Ecco il titolo del Los Angeles Times: Israele passa la legge volta a dissuadere i migranti africani

 Ecco titolo della AFP: Israele passa una legge per la detenzione dei migranti africani clandestini

 Ecco il titolo del New York Times: Israele: una legge riduce la detenzione dei migranti

 Secondo, il tono combattivo di Electronic Intifada:  

"Non sarà una notizia per i lettori abituali di The Electronic Intifada il fatto che il New York Times escluda sistematicamente tutte le voci palestinesi, tranne alcune ben selezionate. Ma sotto il regime del caporedattore di Gerusalemme Jodi Rudoren il silenziamento dei palestinesi ha scandagliato nuovi fondali.

 Il 29 novembre, il Times ha pubblicato un articolo di Isabel Kershner su una mostra fotografica a Gerusalemme organizzata dall'UNRWA, l'agenzia Onu per i profughi palestinesi.

 La mostra propone parte del prezioso archivio fotografico dell'UNRWA sui profughi palestinesi dalla Nakba, Nell’articolo del Times, come ha notato Adam Horowitz su Mondoweiss, Kershner non cita un solo palestinese, mentre, come scrive Horowitz: "Per qualche motivo Isabel Kershner dà più spazio al portavoce del ministero degli Esteri israeliano Yigal Palmor, che critica la mostra, che allo staff dell'UNWRA, che la spiega. E, naturalmente, l'articolo ignora completamente i profughi palestinesi."

Terzo, come EI di Ali Abunimah è entrata di nuovo in azione l'1 dicembre 2013, con un articolo sulla deportazione di migliaia di beduini e la demolizione dei loro villaggi nel Negev:

"Il Times ha pubblicato quello che sembra essere il suo primo articolo [36] mai pubblicato sul piano Prawer.

 Il 30 novembre, le proteste in tutta la Palestina storica contro il piano sono state represse della polizia israeliana con brutalità e, secondo testimoni oculari, violenza non provocato contro, tra gli altri, un bambino di 14 anni, come ho oggi raccontato oggi in un post.

 Ma Kershner presenta quello che è successo come colpa dei manifestanti:

"Nelle scene che ricordano le rivolte palestinesi in Cisgiordania, i manifestanti hanno lanciato pietre contro le forze di polizia, hanno bruciato pneumatici e bloccato per ore una strada principale nei pressi della città beduina di Hura nel Negev. La polizia ha usato cannoni ad acqua, gas lacrimogeni e granate assordanti per disperdere i manifestanti. "

 Non c'è da stupirsi che Kershner segua pedissequamente la narrazione ufficiale israeliana, dato che cita solo funzionari israeliani: il portavoce della polizia Micky Rosenfeld, la ministra della giustizia e persona sospettata di crimini di guerra Tzipi Livni e l'ufficio del primo ministro israeliano.

In questo - l'unico articolo pubblicato dal Times sul Piano Prawer - Kershner non riesce a parlare con un solo dei beduini direttamente interessati".

 Il divertente aneddoto di Abunimah sul suo casuale incontro con l'ex responsabile della redazione di Gerusalemme del NYT Ethan Bronner - una breve parentesi in una lunga intervista sul suo nuovo importante libro La battaglia per la giustizia in Palestina - illustra chiaramente come il modo di fare giornalismo di EI abbia colpito un nervo scoperto al NYT, anche se questo non viene mai riconosciuto.

Ma, se non nell’ufficio di Gerusalemme, le cose stanno cambiando altrove al New York Times.

Il mese scorso (in aprile), Mondoweiss ha rivelato che il NYT si è adeguato alla censura israeliana riguardo l'arresto e la detenzione in isolamento in una cella senza finestre e senza un letto del giornalista palestinese Majid Keyyal al suo ritorno da una conferenza in Libano. Per il capo sezione del NYT a Gerusalemme obbedire alla censura significava "rispettare le regole del traffico". Tuttavia in un editoriale sul NYT Margaret Sullivan ha detto lo vedeva proprio così e non ha parlato di censura: "Trovo preoccupante che il Times debba aspettare il via libera dal governo prima di decidere cosa pubblicare." E dando credito a EI, che ha più volte trasgredito alla censura, Sullivan ha chiarito che forse non il caporedattore, ma lei almeno aveva capito l’importanza di questa notizia per i palestinesi.

All'inizio di quest'anno Jonathan Cook ha scritto un resoconto della sua esperienza di come è cambiato il vento al NYT nell'ultimo decennio. In un commento scritto allora per l'International Herald Tribune (ora International New York Times) ha sostenuto che il muro di Israele, la cui costruzione stava proprio allora per iniziare in Cisgiordania, non era altro che un furto di terra.

"Subito dopo il giornale ha ricevuto "la più grande quantità di lettere della nostra storia ", come mi ha detto un redattore - un fatto non sorprendente se si considera che la Anti-Defamation League degli Stati Uniti aveva esortato a protestare e aveva persino pubblicato un modello di lettera di condanna sul suo sito web. Il risultato: il giornale ha pubblicato una pagina intera di lettere che mi attaccavano e non mi ha più chiesto di scrivere degli articoli."

Più di recente, Cook ha notato come sia arrivata una valanga di lettere in seguito a tre articoli sul movimento BDS sia sul NYT che sull'INYT a fine gennaio 2014: uno è stato l'articolo di Omar Barghouti già citato, negli altri due, opera dei giornalisti del NYT Jodi Rudoren e Roger Cohen, il movimento BDS veniva invece attaccato, dal primo implicitamente e dal secondo esplicitamente.

Come ha scritto Cook:

"Quello che è cambiato è che però questa volta nella pagina delle lettere dell'INYT prevalgono i lettori che appoggiano Barghouti e criticano Rudoren e Cohen. Non solo, ma gli argomenti utilizzati per sostenere il movimento BDS sono intelligenti e ben documentate, mentre le poche lettere che lo avversano suonano stanche e stereotipate.

Il fatto che il NYT ha permesso il dibattito sul Boicottaggio, il Disinvestimento e le Sanzioni nelle sue pagine è un trionfo per la causa. Che la sua testata internazionale (e il sito del NYT) abbia poi permesso che la sua pagina di lettere fosse dominata dai sostenitori del BDS è un altro piccolo segnale di progresso".

In realtà il NYT ha pubblicato anche alcuni editoriali con forti prese di posizione contro le colonie. Sembra che più il governo israeliano diventa estremista nelle sue politiche razziste ed espansionistiche con gli insediamenti- così ben documentate nelle infinite immagini del Muro in circolazione -  più il NYT diventa aperto alle critiche alle politiche governative - anche se continua a omettere la prospettiva dei palestinesi nei suoi articoli. Anche la testata domenicale Sunday Magazine è andata contro la linea generale pubblicando un lungo e buon articolo sulla resistenza popolare a Nabi Saleh.

I siti web che ho citato pubblicano anche il tipo di notizie esclusive che provengono da fonti molto buone e che erano una volta appannaggio e orgoglio dei potenti mezzi di comunicazione occidentali come il NYT. Ad esempio, il recente e molto importante articolo del professore newyorkese Joseph Massad sulla rivalità tra Abbas e Dahlan e i collegamenti con la corruzione in Egitto, apparsa sul sito web di Al Jazeera per alcune ore prima di essere sommariamente rimosso, è stata prontamente ri-pubblicata da Electronic Intifada con un commento del professor Massad che spiegava gli scambi avvenuti con Al Jazeera. E' diventata virale.

4. Questi importanti autori dei nuovi media che operano in reti che si intersecano hanno un grande impatto in quanto essi appaiono in veste di commentatori autorevoli nelle TV statunitensi, come pure a conferenze accademiche e incontri come quelli ospitati dal Palestine Fund a Washington, disponibile in streaming in tutto il mondo. Dove una volta avevano campo libero nelle discussioni su Israele / Palestina facce familiari del governo degli Stati Uniti come quelle di Dennis Ross o di Aaron David Miller (che sono, naturalmente, sempre di stanza in questi dibattiti), ora si vedono, tra gli altri, l'avvocato e docente univeritario Noura Erekat, un consigliere di Al Shabaka, o Nadia Hijab, uno dei suoi fondatori, o Ali Abunimah, fondatore di Electronic Intifada, prolifico autore di libri e articoli, o Omar Barghouti, o la romanziera e poeta Susan Abulhawa (guardatela su YouTube con Alan Dershowitz, e in una indimenticabile demolizione [44] del giudice israeliano Itamar Marcus. Anche questa è diventata virale.) 

Questo nuovo filone di narrazione non ha, naturalmente, eccessivamente influenzato la narrazione principale dei media e dei governi occidentali della "soluzione dei due stati", del "processo di pace", ecc. E di recente, quando il New York Times ha riferito le parole di Kerry che "i piani israeliani sugli insediamenti portano i colloqui di pace al fallimento" in un articolo di cronaca che citava la testimonianza di Kerry in Senato, non ci sono volute molte telefonate di protesta perché il titolo fosse trasformato in "Ancora frustrazione in Medio Oriente". La versione riscritta dell'articolo che poi è apparsa era ammorbidita da un’introduzione storica e conteneva anche una nuova citazione di Aaron David Miller che lamentava che la dichiarazione di Kerry non era utile alla pace. Mondoweiss ha messo entrambe le versioni di quel pezzo, insieme a qualche commento sarcastico sul web, molto rapidamente. Inoltre ha inserito un collegamento all'articolo completo sul NYT che dava conto del netto rifiuto di Israele della proposta di Kerry, e conteneva un commento del Dipartimento di Stato che si riferiva alle critiche rivolte a Israele dal ministro degli esteri statunitense.

Questi torrenti di dibattito e informazione scorrono nei campus universitari degli Stati Uniti come non era più successo dai tempi del Vietnam. Le risposte ufficiali sono diventate ancora più estreme delle lezioni annullate, dei posti di lavoro persi, e delle carriere rovinate che da alcuni accademici statunitensi apertamente pro-palestinesi hanno sofferto. (E sullo sfondo ci sono le ombre del prezzo ancora più pesante pagato in in casi giudiziari riguardanti americani / palestinesi di spicco come il professor Sami El Arian e l'ente benefico Holy Land Foundation. Uno di questi casi estremi si è concluso con gli arresti domiciliari a tempo indeterminato, l'altro con pene detentive tra i 15 e i 65 anni).

Negli ultimi mesi le pacifiche attività di studenti e docenti pro-palestinesi, nei campus della Nord-Estern University a Boston, nel Michigan, in Florida, in California, e alla Colombia University di New York (solo per citarne alcune), o l'aperto sostegno alla campagna BDS da parte di istituzioni accademiche come l'American Studies Association e l'Association for Asian American Studies sono stati accolti da reazioni che rasentavano il panico e l'isteria. Alcuni studenti di Students for Justice in Palestine sono stati sospesi per aver volantinato o partecipato a proteste pacifiche, altri sono stati interrogati dalla polizia, altri hanno avuto una diffida dall'università, altri sono in attesa di provvedimenti disciplinari e altri ancora sono obbligati a delle sedute di rieducazione condotte da amministratori universitari.

La risposta di Israele è stata duplice.  Come hanno notato alcuni giornalisti israeliani , Israele ha impiegato la tattica collaudata dei negoziati per "accordi interinali," in cui il Segretario di Stato John Kerry è stato recentemente attirato. Secondo un articolo di Haaretz, oltre a "far progredire il processo di pace con i palestinesi [per] allontanare le minacce di boicottaggio," altre tattiche includono "una massiccia campagna di pubbliche relazioni contro le organizzazioni pro-boicottaggio," la promozione di "azioni legali nei tribunali americani e del Nord Europa contro organizzazioni che sostengono il movimento BDS," azioni di lobbying per l'emanazione di nuove leggi in base al quale diventa possibile perseguire chi boicotta Israele e, infine, l'aumento della sorveglianza agli attivisti BDS, con il coinvolgimento del Mossad e dello Shin Bet.

Forse l'eccessiva reazione ufficiale non è così sorprendente se si considera che l'American Studies Association è aumentata di 700 nuovi soci dopo il suo invito al boicottaggio, e altri accademici hanno scritto articoli di opinione in numerosi media statunitensi in sostegno dell voto dell'ASA.

Nel frattempo, l'associazione Palestine Solidarity Legal Support ha segnalato 100 casi di minacce di cause legali, intimidazioni e sospetti di sorveglianza ad attivisti universitari. Si è tentato di legiferare contro il boicottaggio accademico in sette stati e nel Congresso degli Stati Uniti, e sono state presentati progetti di legge in Illinois e a New York. Ne è passato uno solo, nel Maryland, in una versione molto annacquata.

Come ho detto prima, il nuovo attivismo di questa generazione di giovani negli Stati Uniti è in gran parte il risultato della molteplicità e della coerenza di una narrazione mediatica nuova che trae alimento nella sicurezza di sé di una nuova generazione di palestinesi istruiti.

Contemporaneamente, e nutrendosi di questa narrazione palestinese, anche alcune giovani comunità ebraiche statunitensi stanno producendo letteratura dissidente, sui siti web che ho menzionato in precedenza, e in libri straordinariamente informativi come Goliao mea culpa di Max Blumenthal, o La ragazza che ha rubato il mio Olocausto di Noam Chayut.

Tutto questo comincia a cambiare i termini del dibattito su questi temi ben oltre quello che si vede nei campus in questi giorni. Washington e Tel Aviv non hanno ancora cambiato le loro politiche come risultato di questa lotta intellettuale, e il NYT è ancora in gran parte bloccato nelle sue vecchie certezze autoreferenziali. Ma il momento mi ricorda molto i seminari sui media e le conferenze degli anni in cui  cominciò a incrinarsi l'apartheid. Eventi che hanno contribuito a un cambiamento nei media. I potenti mezzi di comunicazione che avevano sostenuto il regime bianco in Sudafrica hanno cominciato a rendersi conto che raccontavano storie di perdenti e che gli mancava l'analisi del futuro. Gli scrittori Palestinesi dei nuovi media oggi mostrano al mondo un futuro diverso.

 

 

Fonte: opendemocracy.net

Traduzione: Federico Zanettin