di Thomas Friedman
RAMALLAH, Cisgiordania — Per un po' di tempo mi sono chiesto perché non ci fosse nessuna Terza Intifada. Cioè, nessuna terza rivolta palestinese in Cisgiordania, la prima delle quali ha contribuito a stimolare il processo di pace di Oslo e la seconda - con più munizioni da parte israeliana e attentati suicidi da parte palestinese - ha portato alla rottura di Oslo. Molte sono le spiegazioni da parte palestinese: sono troppo poveri, troppo divisi, troppo stanchi o che il risultato di queste rivolte, alla fine, ha fatto più male che bene, soprattutto nel caso della seconda. Ma, da qui, appare ovvio che una Terza Intifada sia in corso. È quella che Israele da sempre temeva di più: non un’ Intifada con pietre o kamikaze, ma portata avanti da una resistenza non violenta ed economica.
Ma questa Terza Intifada non è guidata in realtà dai palestinesi a Ramallah. È guidata dall'Unione europea a Bruxelles e da altri oppositori dell'occupazione israeliana della Cisgiordania in tutto il mondo. Indipendentemente dalla provenienza, però, sta diventando una vera e propria ragione di forza per i palestinesi nei loro negoziati con Israele. [In realtà la campagna BDS che ha portato a questi risultati è guidata dai palestinesi, ndt]
Il Segretario di Stato americano John Kerry è stato di recente contestato dai leader israeliani per aver messo in guardia pubblicamente sul fatto che il boicottaggio e la campagna per delegittimare Israele si rafforzerà, se i colloqui di pace in corso falliranno. Ma Kerry ha ragione.
Il ministro delle Finanze israeliano Yair Lapid lunedì ha detto alla Radio dell'esercito israeliano che se non sarà raggiunta una soluzione dei due Stati con i palestinesi "saranno colpite la tasche di ogni cittadino israeliano". L’economia di Israele dipende dalla tecnologia, dalle esportazioni agricole verso l'Europa e dagli investimenti europei nelle sue industrie high-tech. Secondo Lapid, anche un boicottaggio limitato, in grado di bloccare le esportazioni israeliane verso l'Europa del 20%, costerebbe ad Israele più di 5 miliardi di dollari all'anno e migliaia di posti di lavoro. Ecco perché ha aggiunto: "Israele non baserà la sua politica sulle minacce. Ma farà finta che non esistano le minacce o che queste non siano gravi, oppure che non stia accadendo niente o che comunque non ci sia niente di grave".
Proprio di recente il quotidiano israeliano Haaretz ha riferito che la più grande società di gestione dei fondi pensione dei Paesi Bassi, PGGM, "ha deciso di ritirare tutti i propri investimenti dalle cinque maggiori banche di Israele perché hanno filiali in Cisgiordania e / o sono coinvolte nel finanziamento delle costruzioni negli insediamenti". Anche il Jerusalem Post ha riferito che la Danske Bank, la maggiore banca della Danimarca, ha deciso di boicottare l’israeliana Bank Hapoalim “per motivi legali ed etici, legati al suo operato negli insediamenti”.
Questa Terza Intifada, a mio avviso, ha molto più potenziale di impatto a lungo termine delle altre, perché, a differenza delle prime due, coincide, nell’ambito delle trattative per i due Stati, con l'offerta del Presidente palestinese, Mahmoud Abbas, di lasciare che le truppe israeliane concludano in cinque anni un graduale ritiro dalla Cisgiordania entro i confini del 1967 e che successivamente siano le forze della NATO, a guida Usa, a colmare qualsiasi vuoto strategico per rassicurare Israele.
Per dirla con parole diverse, la Terza Intifada si basa su una strategia che mira a rendere gli israeliani strategicamente sicuri, ma moralmente insicuri.
Le prime due Intifade hanno fallito alla fine perché non hanno mai incluso in una mappa la soluzione dei due Stati e misure di sicurezza. Si trattava più che altro di scoppi di rabbia contro l'occupazione. Non è possibile spostare la maggioranza silenziosa di Israele finché si fanno sentire i cittadini insicuri strategicamente, ma moralmente sicuri: questo è ciò che Hamas ha fatto con il suo folle bombardamento di Israele dopo il ritiro da Gaza; alcuni israeliani sono stati infastiditi dal sentirsi presi a pugni alle spalle. Il presidente egiziano Anwar Sadat, invece, ha ottenuto tutto ciò che voleva facendo sentire gli israeliani strategicamente sicuri, ma moralmente insicuri.
Questa Terza Intifada sta guadagnando forza a causa della scomparsa dalla scena di due leader chiave: Nelson Mandela e l'ex presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad. Per Israele, Ahmadinejad ha rappresentato una manna continua: un presidente iraniano, che ha negato l'Olocausto e respinto gli sforzi globali per fermare la costruzione di una bomba nucleare, era difficile da amare. La sostituzione di Ahmadinejad con Hassan Rouhani, un moderato favorevole ai negoziati e che riconosce l’Olocausto, invece, è molto più problematica per Israele. Ma il mio istinto mi dice anche che la morte di Mandela ha lasciato molti dei suoi seguaci alla ricerca di modi per onorare la sua eredità e portare avanti il suo lavoro. In alcuni campus universitari i suoi seguaci hanno trovato questo modo: il boicottaggio di Israele fino a quando non cesserà l'occupazione della Cisgiordania.
Gli israeliani hanno ragione a sospettare che alcuni boicottatori utilizzino questa causa come copertura per l'antisemitismo, dando modo di puntare il dito contro i misfatti di Israele. Ma questo non significa che l'impianto di 350.000 coloni in Cisgiordania e l’acquiescenza verso decine di insediamenti selvaggi - che anche Israele ritiene "illegali" - avvengano nell'interesse di Israele o che rappresentino una mossa brillante.
Se Israele volesse davvero rallentare la campagna di boicottaggio, dovrebbe dichiarare che, fintanto Kerry sta cercando di raggiungere un accordo e non si intravede nessuna speranza di successo, Israele congelerà ogni attività di insediamento per dare alla pace un’opportunità. Non è facile, lo so. Ma una cosa so per certa: questo cestinare continuamente le proposte di Kerry da parte dei ministri israeliani e la loro richiesta ai palestinesi di fermare qualsiasi "incitamento" - ma che Israele da parte loro sia libero di portare avanti la costruzione degli insediamenti - non porterà Israele a conquistare nuovi amici in Europa o in America. Piuttosto darà solo forza ai suoi boicottatori.
Fonte: New York Times
Traduzione di Sara Montagnani