di Ramzy Baroud
La disonestà intellettuale dei sostenitori di Israele è atroce. Tuttavia, in qualche strana maniera, è anche comprensibile. In quale altro modo potrebbero reagire al movimento per il boicottaggio, disinvestimento e sanzioni (BDS) che sta crescendo considerevolmente?
Quando un movimento nonviolento – sostenuto da migliaia di attivisti della società civile, dal Sudafrica alla Svezia e da buona parte dei paesi di mezzo – conduce una campagna morale per isolare e tenere responsabile una nazione di apartheid, come Israele, tutto quello che i sostenitori di quest’ultima possono fare è diffondere menzogne e disinformazione. Non ci può essere altra strategia, a meno che, ovviamente, gli amici di Israele non abbiano il loro momento di risveglio morale e non si uniscano all’ondata del BDS che ha già spazzato via molte barriere e liberato tante menti dalla morsa della hasbara (propaganda) israeliana.
Secondo la loro logica, e quella del rabbino Shmuley Boteach, che ha scritto sul New York Observer il 12 dicembre, il leggendario musicista e campione dei diritti umani Roger Waters è un ‘anti-semita’. Infatti, secondo lo scrittore, è un ‘anti-semita’ del peggior genere. “Nella mia vita, ho letto dei pesanti attacchi contro Israele e gli ebrei, ma questi impallidiscono di fronte alla diatriba anti-semita offerta recentemente da Roger Waters, co-fondatore ed ex leader del leggendario gruppo rock britannico Pink Floyd.”
Naturalmente Waters è lontano dal razzismo quanto Boteach è lontano dal rappresentare il popolo ebraico o l’ebraismo. Invece quello che ha garantito a Waters un tale titolo, che spesso viene conferito senza esitazione a chiunque osi contestare ad Israele le sue politiche criminali, la sua occupazione militare e la sua insistenza nel violare oltre 70 risoluzioni dell’ONU, è il fatto che Waters è un forte critico di Israele. In una recente intervista a Counter Punch, Waters ha affermato l’ovvio, descrivendo Israele come un ‘regime razzista di Apartheid’, denunciando la sua ‘pulizia etnica’ dei palestinesi, e, già, si rifiuta di esibirsi in un paese che considera come l’equivalente del “governo di Vichy nella Francia occupata”.
Boteach è particolarmente coraggioso nel prendere di mira Waters, adorato da milioni di persone, e non solo per la sua musica leggendaria, ma anche per le sue ben note coraggiose posizioni morali. Ma, ancora una volta, il panico provato nei circoli filo-israeliani è comprensibile. Quello che i funzionari israeliani descrivono come la delegittimazione di Israele sta giungendo a un punto in cui sta per creare una massa critica. È quella che il Dottor Haidar Eid, palestinese di Gaza e attivista BDS, in una recente intervista, ha chiamato il momento sudafricano della Palestina.
In un articolo sul quotidiano israeliano Haaretz del 12 dicembre, Barak Ravid ha cominciato il suo pezzo con una drammatica ma onesta affermazione: “Gli attivisti e i diplomatici occidentali stanno prendendo di mira gli insediamenti israeliani nei territori palestinesi, e se falliscono i colloqui di pace, la pioggia di boicottaggi e sanzioni potrebbe diventare un’inondazione”. Intitolato “Un crescendo di boicottaggi sta conducendo Israele all’isolamento internazionale” l’articolo di Ravid presenta un argomento concreto del perché il movimento per il boicottaggio sta crescendo in modo senza precedenti nella storia di Israele.
Scrivo queste parole dalla Spagna, l’ultima tappa di un giro di incontri in Europa che mi ha portato in quattro nazioni europee: Francia, Svizzera, Lussemburgo e Belgio. Lo scopo del mio giro era di promuovere le versioni francesi dei miei ultimi due libri, pubblicate di recente, il secondo dei quali si intitola Mio padre era un combattente per la libertà: La storia sconosciuta di Gaza (Resistant en Palestine: une histoire vrai de Gaza). Però al centro di tutte le mie conferenze c’era la promozione di quello che chiamo ‘ridefinire i nostri rapporti con la lotta in Palestina’, basato soprattutto sul ‘disinvestimento morale’ da Israele. Solo allora possiamo trasformare il nostro ruolo da spettatori e simpatizzanti in quello di partecipanti attivi come difensori dei diritti umani. La principale sede di tali attività si può riassumere nel acronimo: BDS.
Quello che ho imparato durante tutta la tournée, molto partecipata e trattata dai media francesi, è stata una sorpresa persino per me. Il dibattito sul BDS è in una fase così avanzata e ha, infatti, superato le mie aspettative. Nel mio ultimo giro europeo del 2010, molti di noi stavamo cercando di spingere i limiti del dibattito e dovevamo affrontare molta resistenza, perfino da parte di gruppi e movimenti considerati progressisti. La situazione ora è cambiata in modo talmente chiaro, che in certe occasioni sono stato invitato dal pubblico a discutere le strategie più efficaci del BDS, invece di dover difendere semplicemente le virtù di questa tattica.
E nelle prime due settimane dei miei viaggi, c’è stata una valanga di notizie di governi, compagnie e istituzioni accademiche occidentali che si univano al boicottaggio oppure prendevano in considerazione la possibilità di farlo. Il governo rumeno, per esempio, rifiuta di permettere ai suoi lavoratori di lavorare negli illegali insediamenti ebraici. Pochi anni fa, questo genere di notizie sarebbe stato impensabile.
Ma che cosa è cambiato? Per certi versi, niente, e questo è il punto cruciale della questione. L’occupazione israeliana è più radicata che mai; gli insediamenti illegali stanno crescendo e si stanno espandendo; il cosiddetto processo di pace rimane una farsa mantenuta soprattutto per ragioni politiche egoistiche – una copertura per le politiche coloniali di Israele e una condizione per proseguire il sostegno finanziario e politico da parte degli Stati Uniti e dell’Occidente all’Autorità Nazionale Palestinese – e così via. Però altri fattori stanno cambiando. Gli attivisti del movimento BDS hanno trovato una strategia comune e stanno formulando un discorso unificante che sta finalmente liberando i discorsi sulla Palestina dai mali della faziosità, dagli slogan vuoti e dai i limiti dell’ideologia. La nuova piattaforma è sia decisiva nella sua moralità e nei suoi obiettivi che flessibile nella sua capacità di includere gruppi, religioni e nazionalità senza limiti.
Infatti, non c’è alcuno spazio per il razzismo o discorsi di odio nella piattaforma del BDS. Ciò che è ugualmente importante è che non può esserci spazio neanche per i “guardiani” che sono troppo attenti alle sensibilità motivate dal razzismo di Israele, o per quelli sempre disponibili a manipolare la storia in modo furbo per impedire che venga portata avanti una strategia proattiva. La nave ha già navigato attraverso tutto questo, e il boicottaggio sta diventando in larga misura la sede nuova e permanente della solidarietà internazionale con la resistenza e la lotta collettiva del popolo palestinese.
Certo, quando Roger Waters ha assunto quelle posizioni, sapeva benissimo delle persone come Boteach, che lo avrebbero immediatamente tacciato come ‘anti-semita’. Il fatto è, però, che il numero di ‘Roger Waters’ in circolazione sta crescendo velocemente e il potere dei loro argomenti morali si sta diffondendo rapidamente. Le tattiche israeliane di diffamazione non sono soltanto inefficaci, ma anche controproducenti.
Ramzy Baroud (www.ramzybaroud.net) è un autore e editore del sito PalestineChronicle.com. I suoi lavori sono stati pubblicati su numerosi giornali, riviste e antologie in tutto il mondo. È autore di La seconda intifada palestinese: La cronaca di una lotta popolare (Pluto Press, London). Il suo ultimo libro è Mio padre era un combattente per la libertà: La storia sconosciuta di Gaza (Pluto Press, London).
Fonte: Common Dreams
Traduzione di BDS Italia