LIBERTÀ. GIUSTIZIA. UGUAGLIANZA.

Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni per i diritti del popolo palestinese.

Le analogie con il regime dell'apartheid a seguito della morte di Mandela potrebbero accelerare gli sforzi per ostracizzare Israele - soprattutto se crollasse il processo di pace di John Kerry.

E' successo nei giorni scorsi: l'azienda dell'acqua olandese Vitens ha rotto i suoi rapporti con la controparte israeliana Mekorot; la più grande chiesa protestante del Canada ha deciso di boicottare le tre società israeliane; il governo rumeno ha rifiutato di inviare lavoratori edili se impiegati nella costruzione di colonie; nel mondo accademico statunitense l'American Studies Association ha votato una misura per recidere i legami con le università israeliane.

Giungendo questi fatti subito dopo che il governo israeliano si è effettivamente piegato davanti al boicottaggio degli insediamenti per poter beneficiare di Horizon 2020, un accordo scientifico di cooperazione con UE, è difficile evitare la conclusione che il movimento BDS (Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni) stia guadagnando terreno. E il segno premonitore, se a qualcuno è mancato di notarlo, è diventato solo più chiaro e nitido sulla scia della morte di Nelson Mandela.

Ci sono stati argomenti validi sia a favore sia contro la partecipazione del Primo ministro Netanyahu alla cerimonia commemorativa per Mandela, ma non si può negare che la gestione (incapace, a singhiozzo, troppo costosa) di questa delicata questione abbia attirato pubblicità indesiderata e aggravato una situazione già precaria.

Un clamore imbarazzante ha indicato Israele come "terzo incomodo" e aumentato il controllo dei media per quanto riguarda la collaborazione passata tra Israele e il regime dell'apartheid, fornendo così munizioni preziose a chi vorrebbe equiparare i due Stati. Ciò che appare ancor più minaccioso dal punto di vista israeliano è che le analogie tra l'Israele di oggi e il Sud Africa di ieri potrebbero anche alimentare la convinzione che il primo possa essere messo in ginocchio più o meno allo stesso modo in cui fu piegato il secondo tra la fine del 1970 e l'inizio del 1980.

Quando le Nazioni Unite approvarono nel 1962 la loro prima risoluzione non vincolante che chiedeva il boicottaggio del Sud Africa, il provvedimento fu strenuamente avversato da un blocco di paesi occidentali, guidati da Gran Bretagna e Stati Uniti. Ma la campagna dal basso, che era iniziata con il boicottaggio accademico alla fine del 1950, a poco a poco si era estesa al mondo ello sport e dello spettacolo e da lì ai boicottaggi istituzionali e al disinvestimento. Durante il suo cammino, il movimento anti-apartheid ha aperto un varco sempre più grande nell'opinione pubblica occidentale, costringendo anche i governi dei paesi più restii, tra cui Israele e gli Stati Uniti, ad aderire al regime di sanzioni internazionali.

In un articolo del 1998 dal titolo Norme internazionali, cambiamenti dinamici e politici, le politologhe Martha Finnemore, oggi alla George Washington University, e Kathryn Sikking,della Università del Minnesota, hanno stabilito le basi del "ciclo vitale" con cui certe norme si evolvono modellando prima il comportamento degli Stati e quindi della Comunità internazionale nel suo insieme. Il primo passo -sostengono le due studiose- consiste in una "norma di emergenza", individuabile in un periodo in cui la nuova norma è sostenuta da ONG e "imprenditori comuni"; la seconda fase consiste invece in "norme a cascata", che si realizzerebbe nel momento in cui sono gli Stati ad allinearsi facendo propria la nuova norma. Il prerequisito per l'evoluzione dalla prima alla seconda fase è individuato in un "punto di non ritorno", che si verifica quando una massa critica di eventi e opinioni converge per creare l'effetto a cascata dei provvedimenti.

Nel caso del Sud Africa, il primo "punto di non ritorno", sarebbe individuabile negli scontri di Soweto del 1976, che scatenarono campagne di protesta e di disinvestimento fino allo strappo con le università americane, i fondi pensione e le società multinazionali. Il secondo "punto di svolta" sarebbe giunto a seguito della ribellione del Sud Africa nero contro la Costituzione razzista del 1983 e l'imposizione da parte del governo bianco di uno Stato di emergenza permanente nel 1984-1985, che portò il resto del mondo ad allinearsi nella richiesta di sanzioni.

I "punti di non ritorno ", naturalmente, sono difficili da prevedere, e gli sforzi per crearli sono stati il punto focale di una ricerca diffusa e multidisciplinare condotta negli ultimi anni. "Sai che il confine è là fuori, ma è buio e nebbioso. Siamo molto bravi a sapere dove sono le soglie dopo esser caduti giù dalla scogliera, ma non questo non è molto utile", ha affermato nel 2009 a Usa Today Stephen Carpenter, ecologista e ricercatore di "punti di non ritorno".

A ben vedere Israele potrebbe benissimo essere vicino a tale soglia. Tra i numerosi sviluppi, in grado di creare la massa critica necessaria, si possono citare fatti e posizioni seguiti agli attentati delle Torri Gemelle del settembre 2001, evento dal quale Israele si schierato al fianco di Stati Uniti e Occidente nella guerra al terrore: l'isolamento di Israele nella campagna contro i programmi nucleari dell'Iran, il venir meno di acerrimi nemici come Osama bin Laden, Muammar Gheddafi, Mahmoud Ahmadinejad e, in misura minore, Yasser Arafat; la relativa sicurezza e la mancanza di terrore all'interno di Israele da una parte e la persistente colonizzazione dall'altra, la pubblicità negativa causata dalle rivelazioni sul razzismo nella società israeliana, l'immagine dei suoi governanti come un'ala sempre più rigida e di destra, scontri interni al paese tra governo, clandestini africani e beduini israeliani, ampiamente percepiti come episodi permeati di preconcetti e pregiudizi.

Nei giorni scorsi gli statisti americani sono sembrati più preoccupati del solito per il pericolo incombente di una delegittimazione di Israele. Dinnanzi al Foro Saban e il Joint Distribution Committee il Segretario di Stato John Kerry ha descritto la delegittimazione come "un pericolo esistenziale." Il vice presidente Joe Biden, parlando dello stesso problema al JDC forum, è andato un passo oltre: "Il tentativo su larga scala di delegittimare Israele è il più intenso che abbia visto in 40 anni di servizio. E' la più grave minaccia, a mio parere, alla sicurezza e alla possibilità di esistenza a lungo termine di Israele. "

Bisogna sempre tener conto della possibilità di sviluppi imprevisti che potrebbero trasformare completamente la situazione intorno. Ma a parte questo, l'unica soluzione sulla scena internazionale che potrebbe trattenere Israele dal varcare la soglia e "precipitare giù dalla scogliera" è il tanto vituperato processo di pace di Kerry. La buona riuscita del processo sarebbe in grado di tenere a bada l'opinione pubblica e i governi stranieri e prevenire il "punto di non ritorno" per Israele che consisterebbe in un crescendo drammatico della campagna di boicottaggio.

L'unico argomento forte è quello espresso da Jeffrey Goldberg mercoledì su Bloomberg e cioè che Kerry sia "il migliore amico di Israele". Nell'articolo l'autore rende evidente, ancora una volta, come siano realmente gretti, miopi e pericolosamente deliranti i detrattori di Kerry, gli strenui oppositori del processo di pace e i paladini della colonizzazione (anche se si può stare certi che, se e quando il processo di pace crollerà e Israele sarà immerso in un isolamento sudafricano, costoro punteranno le dita in ogni direzione, ma non verso se stessi.)

Fonte: Haaretz

Traduzione di BDS Firenze